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Russia. Settimo giorno di incursione, usate anche armi occidentali? Senatori Usa vedono Zelensky e chiedono a Biden: basta divieti

 I residenti di un condominio danneggiato dai bombardamenti ucraini a Kursk - foto Ap

Assieme ai mezzi militari e ai soldati, l’operazione ucraina a Kursk ha messo in moto anche rappresentanti politici, opinioni pubbliche, annunci e speculazioni. Ieri John Kirby è stato molto diretto, e provocatorio: «Se la cosa non piace a Vladimir Putin, se la cosa lo mette un po’ a disagio, allora c’è una soluzione semplice: può semplicemente andarsene dall’Ucraina e farla finita», ha detto il portavoce per la sicurezza nazionale statunitense durante una conferenza stampa. Washington, insomma, non sembra avere grossi dubbi sulla strategia delle forze armate di Kiev di sconfinare in territorio russo – azione in corso ormai da una settimana.

John Kirby, portavoce sicurezza nazionale Usa

Se questa cosa non piace a Vladimir Putin, allora c’è una soluzione semplice: può semplicemente andarsene dall’Ucraina e farla finita
A DARE FORZA a questa posizione c’è stata anche la visita bipartisan dei senatori Richard Blumenthal (democratico) e Lindsey Graham (repubblicano), che hanno incontrato nella capitale ucraina il presidente Zelensky. «La breccia aperta a Kursk è qualcosa di storico», ha commentato il primo. «Coraggiosa, brillante, meravigliosa!», è invece il crescendo con cui il secondo si è espresso sull’operazione. Entrambi, inoltre, hanno fatto appello a Biden affinché venga tolto il divieto di colpire obiettivi in territorio russo con missili statunitensi.

PURE LE AUTORITÀ ucraine provano a insistere su questo punto. Dopo il grande riserbo mantenuto durante i primi giorni dell’incursione, dalla parte di Kiev si inizia a parlare e ci si spinge oltre i proclami. Il portavoce del ministero degli esteri Tykhy ha rassicurato sul fatto che l’Ucraina non ha alcuna intenzione di annettere i territori che sono per ora sotto il suo controllo, aggiungendo che si era reso necessario liberare le zone di confine con le proprie forze armate «dal momento che non era possibile colpire con le armi a lungo raggio disponibili». Il segretario del comitato parlamentare della sicurezza e della difesa Kostenko, in un’intervista all’Ukrainska Pravda, ha parlato di «operazione militare asimmetrica», paventando la possibilità che possano essercene altre in futuro in diverse zone. È chiaro che con questo successo Kiev stia cercando di rinvigorire il morale sia dei propri uomini che quello dei propri alleati, per strappare magari ulteriori aiuti e concessioni per colpire in maniera ancora più decisa dentro la Federazione: uno scenario che, tuttavia, non pare sia vicino a verificarsi.

Nel frattempo sarà necessario osservare e valutare quali evoluzioni si daranno sul campo. Al momento, le forze ucraine sembrano mantenere le posizioni conquistate in territorio nemico. Il governatore dell’oblast di Kursk Aleksei Smirnov, nel fare rapporto sulla situazione al presidente russo, ha riferito che le truppe di Kiev sono avanzate di 12 chilometri nella regione e controllano 28 località in un’area di ampiezza di 40 chilometri (Zelensky ha parlato su X di 74 comunità). Ieri, il ministero della difesa ha affermato che «la neutralizzazione delle unità ucraina è in corso», e arrivano report di scontri e battaglie così come di consistenti rese da parte di soldati russi (dovrebbero essere almeno un centinaio già in mano ucraina).

LA GRANDE DOMANDA è relativa all’entità delle forze di cui Mosca avrà bisogno per respingere l’incursione e, soprattutto, se sarà costretta ad attingere uomini e mezzi da altre zone del fronte. Il portavoce dell’esercito di Kiev Dmytro Likhoviy, citato da Politico, ha sostenuto che alcune unità sono state fatte rientrare dalle zone di Zaporizhzhia e Kherson ma, per ora, la dinamica non sembra tale da poter modificare in maniera sostanziale il resto della linea del fronte. Anzi, sebbene in maniera lenta e con notevole dispendio di mezzi e uomini, la Russia sta continuando a rosicchiare territorio ucraino nelle regioni orientali del Donbass.

INTANTO LA CRISI umanitaria si approfondisce. L’afflusso di sfollati dalle aree di Kursk ma anche di Belgorod, oblast appena più a sud, continua e sta apparentemente interessando qualcosa come 130mila persone. Ieri, le autorità di Bolshesoldatsky, distretto nella regione di Kursk che non confina con l’Ucraina, hanno annunciato di essere in procinto di organizzare un’evacuazione anche da quel punto. Si tratta dunque di un’emergenza su più livelli: Putin e i suoi da una parte tuonano contro il nemico che «verrà punito», dall’altra rassicurano la popolazione di avere tutto sotto controllo. Ma, da qui in poi, conteranno i risultati concreti.

 

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Fronte orientale. Mosca non riesce a respingere l’incursione nel Kursk: già evacuati in 120mila, 12 morti
L’Ucraina: ora controlliamo mille chilometri di Russia Famiglie evacuate dalla zona di guerra in fila per ricevere aiuti umanitari nel Kursk foto Ap

Mentre le operazioni militari sul fronte di Kursk proseguono avvolte nella “nebbia di guerra”, una buona parte dello scontro si accende sul piano della retorica e della propaganda. Se Kiev continua a mantenere uno strategico riserbo sui propri piani, a parte l’annuncio del capo delle forze armate ucraine Oleksandr Syrsky di «avere sotto controllo mille chilometri quadrati di territorio russo», ieri il presidente della Federazione Vladimir Putin si è riunito con ufficiali della sicurezza e governatori regionali mentre la crisi nelle zone di confine sembra sempre più ingrossarsi. Secondo Aleksei Smirnov (governatore dell’oblast di Kursk), la cifra degli sfollati è salita a oltre 121mila persone, con 12 vittime fra i civili, 121 feriti e 2mila dispersi. Inoltre, circolano informazioni relative a un alto numero di soldati russi che si arrendono e vengono catturati dalle forze ucraine: alcune stime arrivano a contarne centinaia, e il canale del progetto per il trattamento dei prigionieri di guerra dell’esercito di Kiev ha diffuso un video in cui si vedono diversi membri del battaglione dell’ex-presidente ceceno Achmat Kadyrov nelle mani delle truppe avversarie.

«LE AZIONI del nemico riceveranno una risposta adeguata», è per ora il commento di Putin. Il leader del Cremlino ha provato a ribaltare l’impressione di vulnerabilità delle proprie linee difensive, dicendo che l’incursione nasce da una condizione di debolezza dell’Ucraina. «Il loro intento è quello di fermare la nostra avanzata nel Donbass e di rafforzare la propria posizione in vista di futuri negoziati di pace – ha affermato – ma è difficile sostenere colloqui con chi prende di mira la popolazione, le infrastrutture civili o cerca di minacciare la sicurezza delle centrali nucleari». Non sono mancate allusioni al coinvolgimento dell’occidente nel preparare l’operazione, con l’intento di destabilizzare la situazione interna russa. A questo proposito, le parole di Putin non sembrano presagire grossi sommovimenti ai vertici (ipotesi su cui si sta speculando da giorni, visto il chiaro fallimento delle forze armate della federazione nel prevenire la breccia ucraina e viste le accuse mosse da diversi blogger militari russi al capo di stato maggiore Gerasimov): il presidente ha esortato il ministero della difesa a respingere il prima possibile le truppe nemiche oltre i confini e ha affidato ai servizi di sicurezza dell’Fsb e alla Guardia nazionale compiti di antiterrorismo e controspionaggio.

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INSOMMA, massima coordinazione per contrastare un’emergenza ormai sotto gli occhi di tutti. Al momento, questo pare sicuramente essere un primo obiettivo centrato da Kiev: mettere sotto pressione Mosca, distogliere attenzione ed energie da altri punti del fronte e risollevare il morale delle proprie truppe. In particolare, l’elemento che sta forse più di tutti dando del filo da torcere al Cremlino è l’alone di imprevedibilità che sta mantenendo l’operazione: può essere che le forze ucraine provino ad approfondire la loro avanzata nella regione di Kursk, magari provando a occupare qualche posizione strategica di rilevo; può essere che si verifichino nuove incursioni più a sud, nell’oblast di Belgorod, da cui infatti si sta procedendo con evacuazioni civili oppure con manovre ancora più a sorpresa da altre parti che rischiano di ritrovarsi più sguarnite di uomini e mezzi dell’esercito russo. Verso sera Zelensky ha provato ad aggiungere carne al fuoco delle dichiarazioni: «24 anni fa si verificava il disastro di Kursk, che segnava simbolicamente l’inizio del dominio di Putin», ha detto il presidente ucraino facendo riferimento all’anniversario dell’incidente di un sottomarino militare russo nel Mare di Barents in cui persero la vita 118 persone e la cui gestione da parte del Cremlino sollevò numerose critiche (“Kursk” era appunto il nome dato al sommergibile, in onore di una delle battaglie più famose della seconda guerra mondiale). «Ora ecco che siamo di fronte alla fine di questo dominio, e ancora una volta questo ha a che fare con Kursk. La Russia ha voluto muovere guerra agli altri, e ora la guerra le sta arrivando dentro casa».

IL LEADER UCRAINO sceglie parole altisonanti e, soprattutto, menziona la pace come l’unico obiettivo che sta perseguendo Kiev. Sebbene l’operazione in territorio russo sia una mossa che sta dando i suoi frutti e che ha rimesso in oscillazione l’equilibrio del conflitto, è improbabile che possa rivelarsi decisiva: le forze a disposizione dell’Ucraina rimangono troppo esegue affinché l’attuale incursione si possa trasformare in una ampia controffensiva. A lato, con questa piccola svolta negli sviluppi bellici, il tema di cosa debba intendersi per “pace” ha riacceso alcune frizioni fra gli alleati del paese aggredito: se in Usa e in Europa c’è un sostanziale via libera per lo sconfinamento a Kursk, ieri Svizzera e Italia hanno siglato una dichiarazione congiunta in cui si impegnano a includere la Russia nei prossimi colloqui di pace. E il ministro degli esteri Tajani ha avvertito: «Le nostre armi non possono essere usate in Russia»

 
 
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«La Repubblica riconosce qui le sue radici», dice Mattarella nell’80esimo della strage nazifascista di Sant’Anna di Stazzema. Ma il governo è assente, ignora l’invito e piccona la memoria anche nel solenne anniversario

Memoria e resistenza. Ottantesimo anniversario dell’eccidio nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, il sindaco Verona: «Chi ha ruoli importanti doveva venire»

«Meloni invitata, ma da lei nessuna risposta» Ansa

È un anniversario tondo e quindi importante, l’80esimo dell’eccidio nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, dove il 12 agosto 1944 furono trucidati dalle SS 560 civili, quasi tutti donne, anziani e anche molti bambini. Ma alle celebrazioni, che si sono svolte per l’intera mattinata di ieri tra le case del borgo sulle alture alle spalle di Pietrasanta, in provincia di Lucca, la chiesa e più in alto l’ossario dove sono state sepolte le vittime, il grande assente era il governo. Non c’era la presidente del Consiglio Meloni, né il resto del governo o sottogoverno. Non c’erano gli esponenti di centrodestra, se non rappresentanti locali come il consigliere regionale FdI, Vittorio Fantozzi, e il sindaco di Lucca Mauro Pardini, che guida una coalizione di centro-destra e quello di Pisa, il leghista Michele Conti.

C’ERANO INVECE, il presidente delle regione Toscana, il Pd Eugenio Giani e il sindaco di Sant’Anna Maurizio Verona, insieme a molti sindaci della regione (circa 200 sui 270 totali), di diverso colore politico tra cui anche quelli del centrodestra. Un motivo che ha permesso al sindaco Verona di non sentirsi solo, dato che al suo fianco c’erano comunque tante fasce tricolori. Ed è stato proprio il primo cittadino a non risparmiare critiche agli assenti, colpevoli di non aver mandato «un bel messaggio» rispetto a chi si impegna per trasferire la memoria alle giovani generazioni. Una memoria, ha ricordato Verona, trasferita dai superstiti – sempre di meno quello rimasti oggi – «con dolore», a costo di riaprire la ferita della loro vita « pur di trasmettere ai giovani un messaggio, ovvero che il fascismo e il nazismo sono stati il male assoluto e che durante le guerre le vittime civili sono all’ordine del giorno». Non a casso, Verona fa sapere di aver condiviso in pieno il messaggio «pieno di significato» del presidente Mattarella «baluardo delle istituzioni del nostro paese».

NELL’OCCASIONE delle celebrazioni, alla presidente del Consiglio è stato rivolto un invito formale da parte del comune toscano teatro dell’eccidio. Lo conferma al

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Nella foto: La prima medaglia d’oro di sempre della pallavolo femminile alle Olimpiadi @Lapresse

 

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Il limite ignoto. «Gioco di scacchi» e spostamenti di truppe. Mentre i civili ucraini continuano a morire

La bomba russa non ferma l’incursione di Kiev a Kursk Fermo immagine di un video del ministero della Difesa russo, in cui le truppe trasportano equipaggiamenti militari nella regione di Kursk

900 giorni di invasione russa in Ucraina e sei giorni di operazioni militari ucraine in territorio russo. L’incursione delle forze armate di Kiev nella regione di Kursk (nord di Kharkiv), cominciata martedì scorso, ancora procede alimentando speculazioni sulla sua vera natura: diversivo destinato a esaurirsi a breve oppure controffensiva pianificata per raggiungere obiettivi di rilievo? La realtà sul campo – al netto delle informazioni che arrivano col contagocce e quasi sempre da “fonti terze”, dal momento che sia le autorità ucraine che quelle russe hanno i loro motivi per non rivelare troppo di quanto sta succedendo – potrebbe forse essere quella di una sorta di “incontro a scacchi” fra le due parti in gioco.

SE KIEV deve presumibilmente valutare passo per passo quali mosse effettuare, anche in base alle risposte dell’avversario, Mosca dal canto suo è costretta a mettere in sicurezza le proprie regioni sapendo però che in vista di questo compito grava la spada di Damocle delle truppe che stanno combattendo nel Donbass ucraino: spostare forze da quel fronte significherebbe ridurre la pressione, pur lieve, della propria offensiva e, chissà, fare esattamente quello che vorrebbe il nemico. È un’ipotesi corroborata fra gli altri dal think tank britannico Institute for the Study of War, che nel suo ultimo report fa notare come la Russia stia per ora facendo affidamento su unità e battaglioni già presenti sul proprio territorio e operativi nelle retrovie, composti principalmente da coscritti e forze irregolari – dunque non gli elementi migliori a disposizione di Mosca. Altri aiuti potrebbero essere sottratti a fronti meno caldi, come Kherson o Zaporizhzhia.

A ogni modo, nelle tre regioni di Kursk, Bryansk e Belgorod sono in stato d’allerta ormai da giorni e sono iniziate le cosiddette operazioni di controterrorismo. Il portavoce del ministero per le situazioni d’emergenza ha dichiarato ieri alla Tass che sono state evacuate oltre 76mila persone dai luoghi in cui si stanno verificando gli attacchi. Le autorità militari affermano di aver inviato truppe e carri armati e di essere riuscite a bloccare l’avanzata ucraina, grazie a diversi attacchi aerei e anche all’utilizzo di una bomba termobarica. Tuttavia, le analisi confermano che le truppe ucraine stanno mantenendo le proprie posizioni e controllano buona parte della città di Sudzha, nella regione di Kursk a meno di 10km dal confine, da cui passa un importante snodo del gasdotto che dalla Federazione russa rifornisce alcuni paesi dell’Europa centrale come Ungheria, Slovenia e Austria.

È APPARSA anche un rivendicazione da parte di Kiev di aver occupato il piccolo villaggio di Poroz, a ovest di Belgorod, ma potrebbe trattarsi di un semplice tentativo di confondere le acque a livello informativo. Sul suo canale Telegram, il governatore della regione fa sapere di numerosi attacchi condotti con droni e di alcuni colpi di artiglieria che hanno raggiunto la città di Shebekino, ferendo una persona. Molta attenzione viene diretta anche alla centrale atomica di Kurchatov, sulla direttrice di avanzamento delle truppe ucraine.
Nella serata di venerdì il presidente dell’agenzia atomica russa Rosatom Alexey Likhachev, in un colloquio telefonico con il capo dell’agenzia internazionale per l’energia atomica Rafael Grossi, ha denunciato che l’incursione di Kiev nel territorio della Federazione costituisce una «minaccia diretta» non solo per la struttura che potrebbe essere interessata dagli sviluppi militari, ma per «l’intero settore dell’energia atomica a livello globale». Che la centrale di Kurchatov sia un obiettivo delle forze ucraine, però, rimane improbabile: al momento è comunque distante decine di chilometri dall’area in cui sono presenti le truppe di Kiev e una sua eventuale occupazione sarebbe particolarmente gravosa da mantenere.

NEL FRATTEMPO, nella vicina Bielorussia, anche Lukashenko si è messo in stato d’allerta: dopo l’annuncio della distruzione di alcuni «obiettivi aerei» provenienti dall’Ucraina «in violazione dello spazio aereo», è stato introdotto un regime di operazione antiterroristica nelle zone di confine.
Zelensky e i suoi, invece, continuano a mantenere un certo riserbo sull’incursione. Anche perché, intanto, in Ucraina proseguono combattimenti, morti e distruzione: mentre ieri si terminava la rimozione delle macerie nel luogo in cui è avvenuta la strage di Kostiantynivka (14 vittime e 44 feriti è il bilancio finale), altri missili russi colpivano città come Kramatorsk, sempre nel Donbass, dove è deceduto un civile. A Sumy, il governatore della regione ha ordinato l’evacuazione di 20mila abitanti di 28 diverse località lungo il confine.

UN REPORT pubblicato due giorni fa dalla missione di monitoraggio dei diritti umani della Nazioni unite ha reso noto che luglio è stato il mese più letale per la popolazione ucraina dall’ottobre del 2022 e che, in generale, la tendenza è andata crescendo per via dell’offensiva russa nell’est del paese. In mezzo all’apprensione per come si evolveranno le operazioni fra Kursk e Belgorod, la sofferenza dei civili rimane purtroppo una solida certezza

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All’alba missili israeliani colpiscono un’altra scuola-rifugio a Gaza City: oltre 100 uccisi. I soccorritori: molti bambini straziati. Tel Aviv: presi di mira 20 miliziani. Il nuovo massacro a pochi giorni dal tavolo negoziale sulla tregua. Il mondo condanna, la strage continua

Striscia di sangue. L’attacco aereo è scattato all’alba contro la scuola Al Tabain di Gaza City. Per Tel Aviv dentro c’erano militanti di Hamas e Jihad. Il massacro è avvenuto mentre si prepara il tavolo negoziale, il 15 agosto, per la tregua nella Striscia

100 palestinesi uccisi da missili israeliani L'ospedale Ahli di Gaza city dopo la strage - Ansa

«Siamo riusciti a identificare solo 70 corpi, delle altre vittime ci sono arrivati pezzi, braccia, gambe e altre parti, avvolti dentro coperte. C’è stato un incendio dopo le esplosioni che ha reso irriconoscibili diversi degli uccisi». Fadel Naim, direttore dell’ospedale Ahly di Gaza city, si affannava ieri a dare informazioni ai giornalisti mentre i soccorritori della Protezione civile e della Mezzaluna rossa, aiutati da decine di volontari continuavano a portare i feriti dalla scuola Al Tabain nel quartiere di Daraj. Da mesi rifugio per circa 2.400 sfollati, la scuola è stata centrata ieri da missili sganciati da un cacciabombardiere israeliano durante il Fajr, la preghiera dell’alba. «Abbiamo ricevuto feriti molto gravi, alcuni hanno perduto uno o entrambi gli arti e subito ustioni su gran parte del corpo», ha aggiunto Naim.

L’attacco aereo sulla Al Tabain è scattato mentre centinaia di persone pregavano. Due missili hanno preso di mira i due piani della scuola: il primo ha colpito la zona occupata dalle donne, il secondo ha centrato in pieno il piano terra usato come sala di preghiera in aggiunta alla moschea. È stato un massacro. I video arrivato da Gaza mostrano corpi e arti carbonizzati sparsi sul pavimento della sala di preghiera, in gran parte rosso per il sangue; persone sconvolte che, tra urla e pianti, cercano i loro cari; un ragazzino con ustioni e ferite su tutto il corpo bendato e disteso su una barella in un corridoio dell’ospedale Ahli. E decine di corpi coperti da teli con i parenti che provano a riconoscerli. I morti sono tra 70 e 100 secondo alcune fonti. 93 per il ministero della sanità di Gaza, in prevalenza uomini che pregavano al piano inferiore della scuola ma anche donne e bambini.

Le forze armate israeliane ridimensionano il

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