«La risposta sarà durissima». Il premier israeliano Netanyahu minaccia il Libano dopo la strage di bambini drusi di sabato. Hezbollah: non c’entriamo, ma siamo pronti. Voli sospesi all’aeroporto di Beirut, diplomazie al lavoro per impedire l’ennesima escalation
UNA GUERRA TIRA L'ALTRA. Dopo la strage di sabato, il Libano attende la reazione israeliana. Diplomazie al lavoro per fermare un nuovo, più feroce conflitto
La cittadina libanese di Qlayaa colpita ieri da ordigni israeliani foto Ap
Si attende. Da un momento all’altro potrebbe scatenarsi la furia israeliana sul Libano, su Beirut, sui centri più importanti del paese. È una delle opzioni. L’altra potrebbe essere un attacco agli obiettivi militari sensibili di Hezbollah e quindi una prosecuzione – seppure su un piano diverso – dello scontro già in atto tra Israele e la milizia sciita dall’8 ottobre. Così si eviterebbe in teoria una guerra totale che potrebbe vedere coinvolto, oltre al Libano, l’Iran, la Turchia e altre potenze dell’area e internazionali.
HEZBOLLAH ha fatto sapere ieri che in caso di necessità ha già posizionato missili di precisione pronti all’utilizzo. La posizione della milizia non è cambiata – dichiarano dall’interno del partito – e Hezbollah non vuole una guerra totale, ma se dovesse accadere si batterà «senza limiti».
«Abbracciamo tutte le famiglie che stanno affrontando questo indescrivibile dolore. Lo stato di Israele non può ignorare quello che è successo e non lo farà. La nostra risposta arriverà e sarà durissima», ha detto Netanyahu ieri a Majd el Sham ai funerali dei 12 ragazzini che hanno perso la vita sabato e dove si è recato con il ministro dell’economia di estrema destra Smotrich e altri ministri. L’Afp ha messo a disposizione i video delle contestazioni da parte della comunità drusa che ha accolto il premier e i ministri con slogan come «Andate via da qui criminali. Non vi vogliamo nel Golan».
I lotofagi della politica Usa (e italiana)
Occupato dal 1967 dopo averlo sottratto alla Siria e la cui annessione a Israele è stata dichiarata illegale e nulla dall’Onu, è a maggioranza drusa. Appelli anche dalla comunità drusa libanese e dal suo leader storico Jumblatt a non strumentalizzare la tragedia. Hezbollah ha da subito negato ogni coinvolgimento e continua a proclamarsi estraneo
Commenta (0 Commenti)DOPO L'ADDIO ALLA VIA DELLA SETA. Oggi l’incontro con il leader cinese. Ma sul tavolo c’è anche la questione Ucraina (edizione 28/7)
Mano nella mano con la figlia Ginevra mentre scende per la prima volta dalla scaletta di un aereo atterrato in Cina. Giorgia Meloni inizia così la sua prima attesa visita nella Repubblica popolare, quasi due anni dopo l’invito ricevuto da Xi Jinping al summit del G20 di Bali e 700 anni dopo la scomparsa di Marco Polo. Proprio la presenza della figlia, mostrata in tutti i video della televisione di stato, pare l’argomento di maggiore interesse sui social cinesi. C’è chi intravede la volontà di dare al viaggio un aspetto umano, chi invece parla di una sensazione vacanziera, all’alba di una missione che i media cinesi presentano come un tentativo di «compensare il rammarico del ritiro dalla Via della Seta e di chiarire alcune incomprensioni».
Proprio la complicata gestione del dossier Belt and Road ha inciso molto sui primi due anni di politica del governo Meloni sulla Cina. Abbandonati in fretta, anzi in frettissima, i battaglieri toni della campagna elettorale durante la quale si era fatta fotografare col rappresentante taiwanese in Italia e conversava col Dalai Lama su Twitter, la premier si è convertita al pragmatismo. Ha gestito sottotraccia l’uscita dalla Via della Seta, evitando di politicizzarla, e ha avviato una serie di missioni diplomatiche per evitare ritorsioni e dare garanzie sulla tenuta dei rapporti bilaterali.
La visita del ministro degli Esteri Antonio Tajani dello scorso settembre era servita a dirottare l’attenzione sul ventennale del partenariato strategico, che verrà rinnovato e ampliato in questi giorni. Pechino vuole comunque inserire nel testo un richiamo alla prosecuzione dello «spirito della Via della Seta», passaggio simbolico con afflato più storico-culturale che politico-commerciale. La missione di inizio mese del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, protagonista di una completa giravolta sulla postura nei confronti della Cina, ha invece posto le basi di un nuovo partenariato col ministero dell’Industria e della tecnologia informatica. Resta da capire che cosa ci finirà dentro.
Il governo Meloni mira a un ribilanciamento della bilancia commerciale, che presenta un disavanzo superiore ai 40 miliardi di euro a favore di Pechino. Tessile, lusso, industria pesante e agroalimentare sono alcuni dei settori su cui si vuole incrementare le esportazioni. Ma poi il grande obiettivo è anche quello di attrarre investimenti cinesi in Italia, in particolare nel settore dell’industria tecnologica verde e dell’energia. Si mira a un accordo con uno dei colossi delle auto elettriche per un impianto di produzione, ma non è scontato l’esito positivo immediato. Attenzione anche a possibili accordi sulle turbine eoliche, altro settore nel mirino della Commissione europea e su cui Pechino potrebbe avere interesse a investire in Italia per aggirare i nuovi dazi.
Degli aspetti economici, Meloni parla oggi col premier Li Qiang, col quale apre anche il business forum bilaterale. Il fulcro politico della visita sarà invece nell’incontro di domani con Xi. Meloni incontra il leader cinese in una congiuntura piuttosto favorevole, visto che nei giorni scorsi il governo cinese ha ospitato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, guadagnando dei punti in occidente circa la sua posizione sulla guerra. Per Xi, incontrare Meloni in questo momento ha un valore soprattutto simbolico, visto che l’Italia detiene ancora la presidenza del G7. E sui media l’arrivo di Meloni viene raccontato come la prova che l’Italia, e in generale l’Europa, sa di avere bisogno della Cina e non vuole seguire la “fatwa” degli Stati uniti nei suoi confronti
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Un’equilibrista sulla fune durante la Cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi@Ap
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PARIGI 2024. «L’ultima cena» pantagruelica e la testa mozzata della Regina scatenano gli istinti reazionari. Per Malan (Fratelli d'Italia) le simbologie parigine istigano alla «disobbedienza blasfema»
La testa mozzata di Maria Antonietta - foto Faralla
Il ribaltamento è sotto gli occhi di tutti, roba da triplo salto carpiato all’indietro con medaglia d’oro d’ufficio. A destra denunciano le varie culture woke, la cosiddetta «dittatura del politicamente corretto», e sostengono che il linguaggio e la comunicazione siano l’ultima, fragile, trincea dietro cui si sono barricate le sinistre (meglio ancora se radical chic), ma la verità è che sono terrorizzati dalla potenza di parole, immagini e narrazioni. Insomma, l’ossessione è diametralmente opposta: è dell’altro giorno la proposta di legge leghista (poi ritirata) che voleva vietare l’utilizzo del genere femminile per alcune professioni. Ed è di queste ore lo scandalo per la messa in scena della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi. Siamo passati dal «Non si può dire più niente» utilizzato per giustificare ogni bestialità all’esplicita invocazione della censura.
IL PASSAGGIO che ha destato maggiore scalpore è la riproposizione in chiave pantagruelica (nel senso del romanzo di Rabelais) dell’Ultima cena di Leonardo Da Vinci. Tutto un mondo variamente reazionario (si va dai complottisti di ogni colore ai rossobruni fino a, ça va sans dire, i fascisti più o meno mascherati) ha visto nella rappresentazione dell’altra sera l’intenzione di macchiare l’immagine sacra con gli stilemi delle drag queen. O, peggio ancora signora mia, della propaganda gender. Ne deriva, a cascata, tutto il campionario degli allarmismi di estrema destra sul laicismo che mette in scena «la debolezza e la disintegrazione dell’Occidente» (il presidente ungherese Viktor Orbán), sulla «Francia di oggi che sembra in mano a filoislamici» (Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo FdI alla camera). Per il golden boy del destrapensiero Francesco Giubilei, poi, «se l’Occidente vuole salvarsi dalla decadenza deve guardare alla Francia e fare l’opposto». Il leghista Simone Pillon si è spinto a chiedere che l’Italia ritiri la sua delegazione in modo da «lasciare Macron a correre solo verso l’abisso» rappresentato da «le radici cristiane ridicolizzate, l’umanità priva di identità sessuale, tutto ridotto a un gigantesco gay pride dionisiaco». Il fatto che siano intervenuti anche i vescovi francesi ha fatto rievocare a più di una persona il precedente tutto italiano de Il Papocchio, il film di Renzo Arbore del 1980 ambientato in Vaticano con tanto di drag queen e tricolori (erano le Sorelle Bandiera) che venne accusato di vilipendio alla religione. Ma non ditelo a Vannacci, sarebbe capace di far risalire a quella pellicola l’inizio del degrado morale. Del resto, sempre ieri nell’acme della paranoia tradizionalista, il senatore Lucio Malan di FdI ha scambiato il toro di bronzo della fontana del Trocadero per un vitello d’oro messo lì ad hoc per evocare la «blasfema disobbedienza» (sic).
DEL RESTO, possiamo facilmente immaginare che ai destri si siano rizzati i capelli in testa quando i metallari Gojira hanno reinterpretato il canto rivoluzionario Ah Ça Ira! con tanto di ingresso in scena della regina Maria Antonietta con la testa mozzata in mano in mezzo a un tripudio di coriandoli rosso sangue. La stessa Giorgia Meloni per svicolare da fascismi e postfascismi si riallaccia al conservatorismo, inteso non come generica postura moderata ma come specifica ideologia che si contrappone allo spirito di uguaglianza, libertà e fraternità (cui saggiamente l’altro giorno a Parigi è stata aggiunta la sororité, la sorellanza) innescato dal 1789 francese. La linea reazionaria che corre da Edmund Burke a Roger Scruton esprime il panico, un sentimento morale prima che politico, che provano i privilegiati quando le masse si riprendono la storia. Da quel cliché sono nate tutte le culture reazionarie. La grande paura della Rivoluzione francese, della nuova era che andava inaugurando rappresenta il rifiuto della modernità: «Il mondo cambia e non so come interpretarlo, dunque mi invento un passato immaginario al quale tornare». La grande paura della ghigliottina sopravvive e forse supera persino il terrore per la Rivoluzione russa, soprattutto da quando nell’immaginario collettivo se n’è appropriato (abusivamente) un tradizionalista, antiglobalista e finanziatore di svariate destre internazionali come Vladimir Putin.
A PIÙ di un destro saranno saltate le coronarie quando tra le statue dorate delle donne che hanno fatto la storia, è comparsa quella della comunarda Louise Michel, che sfidò la corte che doveva giudicare la sua attività rivoluzionaria con queste parole: «Se mi lascerete vivere, esorterò incessantemente alla vendetta». Qualcuno dirà, giustamente, che tutto ciò è anche espressione della sussunzione dell’immaginario giacobino dentro il sistema politico francese. Il che in parte è vero, basti ricordare che la mascotte di Parigi 2024 è ispirata al berretto frigio. Ma in situazioni del genere è impossibile distinguere il palco dalla platea, i grandi eventi nello spazio pubblico sono fatti anche dall’uditorio e non possiamo evitare di notare che il presidente Macron è stato fischiato durante la proclamazione dell’inizio dei Giochi. A testimonianza del fatto che quello spirito rivoluzionario che tanto ha terrorizzato i benpensanti ha contagiato la gente in piazza. Ecco perché da quest’anno avremo un motivo in più per portare un fiore ai caduti della Comune dell’ala sud del cimitero di Père-Lachaise. Il fatto che spaventino i controrivoluzionari anche da morti è la migliore celebrazione della loro vita
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Tre bombe su una scuola di Deir al-Balah, ora rifugio per gli sfollati: 30 palestinesi uccisi. A Gaza è successo già 200 volte. Attacchi anche a nord: Israele colpisce il Libano, poi missili sul Golan occupato. Undici vittime nella città drusa, Hezbollah nega: non siamo stati noi
SENZA APPELLO. Colpito l’istituto Khadija a Deir al-Balah, ospitava 4mila sfollati. Israele: era un centro di Hamas. Ma, di nuovo, non fornisce prove. In Cisgiordania feriti due bambini a Ramallah, ucciso un 17enne da un drone nel campo profughi di Balata
La scuola Khadija di Deir al Balah colpita ieri - ZumaPress/Omar Ashtawy
«Non so dove sia mia figlia. I suoi vestiti e le sue cose sono laggiù, distrutti, ma non so se è stata soccorsa, se è morta, se sta bene. Non so dove sia». È il racconto di una donna, Umm Ahmed Fayed, all’agenzia Middle East Eye. Nel video continua a parlare, dice che la scuola era «piena di sfollati da ogni parte di Gaza, tanti amputati, sulle sedie a rotelle». Umm Ahmed si era allontanata, era andata a preparare del cibo in una tenda: la scuola veniva usata per dormire, per rendere un po’ meno opprimente il caldo estivo.
È SUCCESSO di mattina, come altre duecento volte prima: un bombardamento israeliano ha centrato una scuola, l’istituto femminile Khadija a Deir al-Balah. Nelle aule oggi vivono 4mila persone, ci è stata allestita dentro anche una clinica da campo. Come ogni altra scuola di Gaza, dal 7 ottobre è un rifugio per sfollati, l’intera o quasi popolazione dell’enclave.
A marzo scorso l’Onu aveva contato almeno 200 scuole prese di mira dai raid israeliani. Ne sono seguite tante altre. Nel bombardamento di ieri sono stati uccisi almeno
Leggi tutto: Bombe su una scuola a Gaza, almeno 30 uccisi. È successo 200 volte - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti)Netanyahu chiude il viaggio negli Usa a Mar-a-Lago, ed è un voto per Trump. Che ringrazia e promette sobriamente che se vince «risolverà tutto in fretta», altrimenti «si andrà verso la terza guerra mondiale»
L'ENDORSEMENT. La visita del premier israeliano a Mar-a-Lago. Dove The Donald promette «pace in Medioriente e fine dell’antisemitismo»
L’incontro in Florida di Trump e Netanyahu foto di Alex Brandon/Ap
Dopo il discorso al Congresso e gli incontri con il presidente Joe Biden e la sua vice, nonché candidata democratica Kamala Harris, il premier israeliano Benyamin Netanyahu è arrivato in Florida, a Palm Beach, per incontrare Donald Trump a Mar-a-Lago, mentre un piccolo gruppo di manifestanti sventolava per protesta bandiere della Palestina.
«Se vinciamo, sarà molto semplice. Si risolverà tutto e molto rapidamente – ha detto Trump ai giornalisti all’inizio dell’incontro – Se così non sarà, ci ritroveremo con grandi guerre in Medio Oriente e forse una terza guerra mondiale. Non siamo mai stati così vicini a una terza guerra mondiale, e lo siamo perché abbiamo persone incompetenti alla guida del nostro Paese». «Trump si è impegnato a portare la pace in Medioriente e combattere l’antisemitismo» ha detto il premier israeliano ringraziando il tycoon dopo l’incontro.
TRUMP, che in passato è stato critico nei confronti di Netanyahu dopo l’attacco del 7 ottobre, ieri ha sottolineato il suo sostegno a Israele: «Abbiamo avuto un buon rapporto. Sono stato molto buono con Israele, meglio di qualsiasi altro presidente», ha detto ricordando lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme e gli Accordi di Abramo.
Quale siano le preferenze di Netanyahu non è un mistero: in Florida sarà ospite di Turning Point Action, un think tank conservatore che vuole riportare il tycoon alla Casa bianca, dove terrà un discorso. Questo è ilprimo incontro fra i due da quando Trump ha perso le elezioni, e Netanyahu è stato uno dei primi leader internazionali a congratularsi con Biden per la vittoria. Per un candidato sconfitto che non ha mai ammesso di aver perso, quello è stato un affronto che ha portato Trump a dichiarare: «Bibi avrebbe potuto rimanere in silenzio, ha commesso un terribile errore».
Stando alla stampa israeliana, i due in questi 4 anni non si sono mai neanche sentiti al telefono, ma il silenzio è stato rotto di recente, da una telefonata fatta da Netanyahu a Trump per augurargli un buon 4 luglio.
Nomination democratica, arriva il sostegno di Barack Obama
Le proteste contro di lui e la politica di Israele, anche se meno massicce, hanno seguito il premier israeliano in Florida, in un
Leggi tutto: Amici come prima. Bibi fa campagna elettorale per Trump - di Marina Catucci, NEW YORK
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