Invado Avanti. Khan Yunis sotto attacco. Colpite due scuole. Si media per evitare una guerra regionale. Netanyahu chiede scusa per il 7 ottobre e intanto revoca l’accredito a otto diplomatici della Norvegia presso l’Anp di Abu Mazen
Gaza. L'attacco al campo profughi di Al Bureji - Ansa
Gli abitanti di Khan Yunis ieri, all’improvviso, sono stati costretti, su ordine dell’esercito israeliano, a sfollare di nuovo prima dell’ennesima operazione militare israeliana nella seconda città per importanza della Striscia di Gaza. I bombardamenti aerei, nel frattempo, si sono fatti ancora più intensi e hanno colpito altre due scuole piene di famiglie, descritte da Israele come «centri di comando dei terroristi». Da una settimana non si parla d’altro che dell’attacco dell’Iran e di Hezbollah in risposta alle uccisioni compiute da Israele del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, e del comandante militare del movimento sciita libanese Fuad Shukr. Ma a Gaza, ogni giorno da 10 mesi, l’offensiva militare israeliana fa decine di vittime. Ieri almeno 40 persone sono morte sotto le bombe. Israele intanto ha revocato lo status diplomatico a otto rappresentanti della Norvegia presso l’Autorità nazionale palestinese. Si tratta di una mossa punitiva per il riconoscimento norvegese dello Stato di Palestina. Oslo ha annunciato che adotterà misure nei confronti del governo Netanyahu.
F-16 e droni israeliani hanno colpito un gruppo di case del blocco 12 nel campo profughi palestinese di Al Bureij uccidendo almeno 16 persone, tra cui donne e bambini. Nel vicino campo di Al-Nuseirat hanno ucciso quattro persone. Altri cinque palestinesi sono morti in un bombardamento a Gaza city, uno a Khan Yunis. Poche ore dopo, almeno 15 palestinesi sono stati uccisi e 30 feriti nell’attacco a due scuole a est di Gaza City, la Abdel Fattah Hamouda e la Al Zahra nel quartiere Tuffah di Gaza City. Per Israele erano rifugi di Hamas, per i suoi uomini e per l’addestramento di nuovi combattenti in sostituzione di quelli impiegati nell’attacco del 7 ottobre – in cui sono stati uccisi 1.139 israeliani e sequestrati 250 -, morti in scontri a fuoco e bombardamenti nei passati 10 mesi. In quelle scuole però ci sono anche migliaia di sfollati palestinesi e il bilancio delle vittime anche ieri include in maggioranza civili, almeno 40. Gli attacchi alle scuole o agli edifici adiacenti si ripetono da settimane nonostante le proteste dell’Onu e delle agenzie umanitarie internazionali. Hamas e il Jihad islami negano di usare le scuole come postazioni militari e rifugi per i combattenti.
Decine di palestinesi in lacrime hanno affollato ieri l’ospedale Nasser di Khan Younis per dare l’ultimo saluto alle ultime decine di uccisi prima della sepoltura. I video postati in rete mostrano i parenti che trasportano i corpi dei loro cari in sacchi di plastica di colore bianco con i nomi scritti sopra e che recitano preghiere. Poi assieme ad altre migliaia di civili si sono avviati a piedi e con ogni mezzo disponibile verso la zona di Mawasi, definita un’«area sicura» e che invece ha subito più di un bombardamento. Il più pesante, con decine di morti, è del 13 luglio ed in cui sarebbe rimasto ucciso, secondo Israele, anche il comandante militare di Hamas. Mohammed Deif.
Anche ieri sono continuati i contatti diplomatici per evitare che la reazione di Iran e Hezbollah attesa da giorni, sfoci in una guerra aperta con Israele. Il governo Netanyahu ha fatto sapere che Israele, se subirà un attacco con vittime civili, metterà in atto una rappresaglia catastrofica contro Libano ed Iran. Il ministro della Difesa Gallant ha anche inviato una lettera ai libanesi in cui addossa la responsabilità per l’escalation in corso non all’assassinio di Shukr e Haniyah solo a Hezbollah e giustifica gli attacchi di Israele che hanno fatto centinaia di morti in Libano del sud. I rappresentanti di vari paesi starebbero elaborando un piano per porre fine all’offensiva israeliana a Gaza che prevederebbe una tregua immediata, anche se non definitiva, in modo da placare la tensione anche in altri scenari di crisi e conflitto. Si tratta solo di indiscrezioni di stampa e la possibilità che si arrivi a una guerra aperta resta concreta. Secondo alcune voci l’Iran con il passare dei giorni starebbe riconsiderando modi e tempi della risposta a Israele. Per altre Hezbollah potrebbe attaccare da solo.
«Mi dispiace profondamente che sia successa una cosa del genere. Ti guardi sempre indietro e ti chiedi se avremmo potuto fare qualcosa che lo avrebbe impedito. Mi scuso». Con queste parole il premier Benyamin Netanyahu in un’intervista alla rivista americana Time, per la prima volta ha chiesto scusa agli israeliani per non aver saputo impedire, assieme alle Forze armate, di intelligence e di sicurezza, l’attacco di Hamas il 7 ottobre. Un fallimento che gran parte degli israeliani attribuiscono al suo governo. Netanyahu, comunque, non si dimette e nell’intervista ribadisce che avvierà una inchiesta sull’accaduto solo al termine della guerra
Commenta (0 Commenti)L'atomo fuggente. Assente anche il nostro ambasciatore. Il sindaco di Nagasaki, Shiro Suzuki, difende la sua scelta di non invitare il rappresentante israeliano, che scatena la diserzione del G7
Il sindaco di Nagasaki Shiro Suzuki - Ap
Quando gli hibakusha parleranno, avranno di fronte anche sedie vuote. Gli ambasciatori dei paesi occidentali del G7 (compreso l’italiano Gianluigi Benedetti) e dell’Unione europea a Tokyo non ascolteranno i sopravvissuti della bomba atomica del 9 agosto 1945, perché non andranno a Nagasaki. La decisione di inviare funzionari di rango minore al 79esimo anniversario del bombardamento nasce dal mancato invito delle autorità cittadine a Israele.
UNA SCELTA che il sindaco Shiro Suzuki ha difeso anche ieri. «È un peccato che i loro ambasciatori non parteciperanno ma non ci sono cambiamenti nella nostra decisione», ha detto in conferenza stampa. Il primo cittadino ha ribadito che non si tratta di una scelta politica ma di «sicurezza» e opportunità, visto che la priorità è condurre la cerimonia «in un’atmosfera pacifica e solenne». Negli scorsi mesi, in Giappone ci sono state diverse manifestazioni di solidarietà a favore di Gaza. Attivisti e sopravvissuti hanno polemizzato con l’amministrazione di Hiroshima per aver invitato Israele alla cerimonia del 6 agosto, che solitamente riceve maggiori attenzioni internazionali. Fuori dall’evento ci sono state anche alcune proteste pacifiche.
Nagasaki ha preso una strada diversa, come spesso accaduto nella sua storia. Porto aperto a portoghesi e olandesi, fu l’unico luogo di scambio commerciale e culturale con l’occidente durante il sakoku, la lunga era dell’isolamento giapponese tra il XVII e il XIX secolo. Fu anche una delle città più ostili al fascismo militarista del secolo scorso. La tragedia dell’atomica ha segnato Nagasaki, in grado comunque di ripartire e uscire anche dall’ombra del suo passato. Un’ombra che però, visti i conflitti in corso, torna a farsi scorgere. Al contrario di Hiroshima, Suzuki ha invitato il vice capo della missione generale della Palestina in Giappone.
«SEGUO tutti i giorni le notizie e piango quando vedo i bambini di Gaza sotto le bombe», dice Kokuyo Nakamura, 99enne sopravvissuta a “Fat Man”, in un’intervista ad AJ+ virale sui social. D’altronde, lo stesso Suzuki divenuto improvvisamente il bersaglio delle critiche occidentali, è il figlio di una coppia di sopravvissuti del bombardamento. La sua decisione dà qualche imbarazzo a Fumio Kishida, che ha fatto del rafforzamento dell’alleanza militare con gli Stati uniti il suo cavallo di battaglia. Il premier dovrebbe comunque essere presente alla cerimonia, prima di partire per un viaggio in Kazakistan e Uzbekistan che lo porterà a presiedere il summit di dialogo tra Giappone e Asia centrale. Prima del tour, ha chiesto al Partito liberaldemocratico di accelerare il dibattito sulla revisione della costituzione pacifista. Se ne parla da tempo, con Tokyo che cerca di adattarsi alle nuove «sfide internazionali» e accelerare il riarmo. Eppure, alla richiesta di individuare i temi da affrontare alle imminenti elezioni interne per il leader del partito di governo, in un sondaggio della Nhk solo il 3% degli intervistati ha menzionato la revisione costituzionale, dando invece priorità all’economia e alla riforma del sistema di finanziamento alle forze politiche.
LA LINEA del governo centrale non convince nemmeno a Okinawa, che ospita la maggior parte delle truppe statunitensi in Giappone. Il governatore Denny Temaki ha appena annunciato che a settembre andrà negli Stati uniti per chiedere una riduzione del contingente militare, definito un «peso eccessivo» anche a causa di una serie di presunti reati (soprattutto di natura sessuale) commessi da personale americano
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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - Ansa
«Fin dal suo primo articolo la Costituzione della Repubblica stabilisce un vincolo ideale inscindibile tra democrazia e lavoro. Il pieno rispetto della dignità dei lavoratori ne è un principio fondamentale, affermato anche a livello internazionale; un obiettivo che, tuttavia, non è stato ancora pienamente raggiunto», ha dichiarato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione del 68° anniversario della tragedia di Marcinelle e della 23esima Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo.
«Marcinelle e le altre tragedie che hanno coinvolto migranti italiani nei cinque continenti costituiscono ancora oggi un monito ineludibile a promuovere la dignità del lavoro», ha detto il Capo dello Stato. Il richiamo è alla strage avvenuta in Belgio l’8 agosto 1956, quando in uno dei condotti principali della miniera di carbone Bois du Cazier scoppiò un incendio che in pochi minuti distrusse tutto l’impianto sotterraneo. Su 275 persone presenti, 262 morirono. 136 erano immigrati italiani.
«Marcinelle è una delle pagine più drammatiche della grande storia dell’emigrazione italiana», ha dichiarato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Per la leader Pd Elly Schlein: «Ricordare Marcinelle significa spronare l’Europa affinché si recuperino la solidarietà sociale e politica, i valori di accoglienza e la difesa dei diritti sociali». I sindacati Ue ammoniscono che «ancora oggi migliaia di lavoratori perdono la vita sul luogo di lavoro in incidenti che avrebbero potuto e dovuto essere prevenuti»
Commenta (0 Commenti)Il Gesto dell'Ombrello. Oggi due ore di chiusura. Ma il governo ha mollato la categoria anche se Fdi è in difficoltà. Fitto ha promesso un intervento «Revocate le manifestazione del 19 e 29 agosto»
Con lo sciopero degli ombrelloni, va in scena uno degli atti finali dell’eterna partita sulle concessioni balneari. L’iniziativa è più incisiva sul piano mediatico che pratico: la chiusura sarà infatti solo fino alle 9.30 di oggi, ma lo scopo non era tanto creare un disagio tra i vacanzieri, bensì ottenere l’attenzione pubblica e del governo.
LE CONCESSIONI BALNEARI sono scadute lo scorso 31 dicembre e dovranno essere riassegnate tramite gare pubbliche entro quest’anno. Lo ha deciso la legge concorrenza del governo Draghi, applicando per la prima volta la direttiva europea Bolkestein dopo decenni di proroghe agli stessi titolari. Meloni in campagna elettorale si era impegnata a salvare gli attuali concessionari, ma da quando è a Palazzo Chigi non ha fatto nulla. Nemmeno approvare il decreto attuativo previsto da Draghi per avere regole nazionali sui bandi. Nel frattempo, a novembre l’Ue ha inviato un parere motivato per avviare l’infrazione contro l’Italia.
Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti, che hanno organizzato lo sciopero, non sono contrarie alle gare ma vogliono ottenere gli indennizzi economici per i concessionari uscenti. Le due associazioni avevano dato l’ultimatum a Palazzo Chigi, chiedendo un intervento prima della pausa estiva. «Sarebbe bastata una dichiarazione concreta di impegno, ma non è arrivata», spiega il presidente di Fiba Maurizio Rustignoli. Per il presidente del Sib Antonio Capacchione, «l’inazione della premier è incomprensibile e irresponsabile. L’unica spiegazione è la sua incapacità politica».
Mercoledì il ministro agli affari europei Raffaele Fitto, che ha la delega sulla materia, si è limitato a dire che «c’è un confronto sul parere motivato della commissione europea che va avanti, con le sue complessità». Non abbastanza per i balneari, che hanno confermato lo sciopero ma al contempo hanno annullato le
Leggi tutto: Concessioni balneari, una protesta disperata - di Alex Giuzio
Commenta (0 Commenti)Reportage. Odessa, così sempre più maschi in età di leva combattono l’arruolamento
In due mi fanno strada attraverso i cortili del quartiere Kyivisky, prima periferia di Odessa, e quindi primi palazzi di dodici piani fra la pianura soleggiata dell’Ucraina e le coste del Mar Nero. Su una panchina sotto a un tiglio davanti alla sua casa è seduto un tale di nome Roman, trent’anni compiuti da poco, capelli corti, calzoni corti, una lattina da mezzo litro di bibita energetica che passa da una mano all’altra. Il giorno prima lo ha fermato una pattuglia del Tzk, l’organismo del ministero della difesa a cui spetta il compito di reclutare gli uomini per l’esercito.
A GIUDICARE dallo sguardo si direbbe che questo Roman abbia visto i fantasmi. Mentre fuma racconta: «Ho mostrato loro i documenti, li hanno controllati, hanno detto che c’era una irregolarità e che avrei dovuto seguirli in caserma per risolverla. Sarà questione di mezz’ora, così hanno detto. La mia grande fortuna è stata capire subito che cosa stava accadendo. Ho chiamato la mia compagna, lei ha sentito l’avvocato e in pochi minuti mi hanno fatto sapere tutto quel che avrei dovuto dire per evitare di essere arruolato. Dico che è stata la mia fortuna perché, una volta in caserma, mi hanno portato via i documenti e il telefono, mi hanno fatto visitare da un medico e da uno psicologo, e poi hanno cominciato con le pressioni: perché non hai ancora risposto alla mobilitazione? Tu non vuoi difendere il tuo paese? Non sei forse un uomo, tu? Ho tenuto duro, ho citato gli articoli di legge che l’avvocato aveva suggerito, ho gridato in ogni modo che non mi avrebbero mandato al fronte a morire. Stamattina mi hanno messo in mano una multa e mi hanno detto di andare via, ma la notte l’ho passata con settanta uomini, tutti nella mia stessa condizione, e non so quanti di loro oggi siano liberi».
A DUE ANNI E MEZZO dall’inizio della guerra, la fuga dalla mobilitazione rappresenta sul piano militare un problema significativo per l’esercito ucraino, e diventa su quello politico una questione sempre più seria per il presidente Volodymyr Zelensky, come dimostrano le proteste anche violente contro il Tzk in diverse parti del paese. È il primo, concreto segnale di tensione nei rapporti fra il governo e i cittadini al tempo della legge marziale.
Cybercrime e sorvegliati globali
A Odessa, con un milione di abitanti terza città dell’Ucraina dopo Kiev e Kharkiv, decine di migliaia di persone decidono ogni giorno che cosa fare dopo avere consultato un canale Telegram il cui nome può essere tradotto con l’espressione “Andrà tutto bene”: messaggi a ciclo continuo che gli stessi utenti contribuiscono ad aggiornare permettono di conoscere l’esatta posizione dei posti di blocco del Tzk, le targhe delle auto di pattuglia, il numero di agenti nei centri commerciali, nelle piazze, nelle spiagge, nei locali pubblici. Quanti siano esattamente quelli che rifiutano di entrare nell’esercito è difficile da stabilire, anche perché sulla questione le autorità mantengono il riserbo più stretto, ma quel il canale Telegram è nato soltanto lo scorso dicembre e ha già 140mila iscritti. Lungo le strade di Odessa si svolge, insomma, un enorme guardie e ladri quotidiano.
SULL’OPERATO DEL TZK le critiche sono numerose e documentate da un’ampia serie di scandali. Proprio un anno fa Zelensky ha licenziato ogni singolo responsabile regionale della rete di arruolamento: anziché fornire reclute all’esercito, questa l’accusa, usavano i loro enormi poteri per raccogliere mazzette. Da allora i vertici sono cambiati, ma lo stato delle cose sembra più o meno il medesimo. La legge marziale impedisce agli uomini di lasciare il paese. Zelensky ad aprile ha abbassato l’età della mobilitazione da 27 a 25 anni per placare lo stato maggiore, che chiedeva mezzo milione di nuove reclute.
Chi aveva i mezzi per partire, e si tratta in sostanza di mezzi economici, già si trova all’estero. Agli altri sono rimaste tre alternative. Combattere, nascondersi, oppure pagare. Chiunque a Odessa ne parla apertamente, come se fosse la cosa più normale del mondo. Settemila dollari per corrompere qualche funzionario ed evitare la chiamata, è così che si dice in città, fra i quindici e i ventimila per fuggire illegalmente in Polonia, in Ungheria, in Slovacchia, in Moldavia o in Romania. Proprio questa settimana, nel villaggio di Stanislavke, fra la regione di Odessa e la repubblica non riconosciuta della Transnistria, la polizia ha fermato un camion a una manciata di chilometri dalla frontiera. Nel rimorchio erano nascosti quarantotto uomini. Secondo le quotazioni di cui si discute, quel carico umano, uno soltanto, doveva valere quasi un milione di dollari, il che aiuta a comprendere le dimensioni complessive dell’affare.
«IL PROBLEMA non è il patriottismo», mi dice Artur, trentaquattro anni, che ha lasciato qualche mese fa il lavoro in un fast food proprio per sfuggire alla mobilitazione e ora vive con duecento euro al mese vendendo pezzo dopo pezzo qual che si ritrova a casa, nel quartiere periferico Peresypsyi: «Il giorno stesso che i russi ci hanno invaso sono entrato in una caserma e ho lasciato tutti i miei dati. Il nome, l’indirizzo, il numero di telefono e quello del passaporto. Volevo partire subito. Per qualche ragione non mi hanno mai chiamato. Se lo avessero fatto, adesso sarei morto. Oggi è diverso, oggi non voglio combattere perché l’esito della guerra è chiaro a tutti e non si capisce che senso abbia continuare a mandare gente al fronte per morire».
L’opinione è personale, ma si sente spesso a Odessa. I sondaggi nazionali vanno, in un certo senso, nella stessa direzione. A maggio l’Istituto internazionale di sociologia di Kiev ha registrato un netto aumento di cittadini favorevoli alla pace, anche a costo di perdere le quattro regioni di Lughansk, Donetsk, Zaporizhzha e Kherson che la Russia vuole annettere: nel 2023 erano il 10 per cento della popolazione, oggi sono il 32. Secondo l’Istituto nazionale democratico, il 57 per cento vorrebbe già da ora negoziati diretti con il Cremlino.
I soprusi sui civili e i casi di corruzione hanno trasformato il Tzk nel corpo più oscuro dello stato. Gli agenti del servizio sono chiamati abitualmente “ladri di uomini”. Questa settimana nella cittadina di Kovel, a est, decine di persone hanno preso d’assalto un centro di reclutamento per liberare due ragazzi di diciotto anni. A Kiev la polizia ha fermato martedì un giovane sceso in strada a protestare con due cartelli che dicevano: “Il Tzk continua a rapire persone”; “La guerra non è un buon motivo per costruire una dittatura”.
ZELENSKY si è per ora guardato dall’associare questi eventi, locali e isolati, ma sempre più numerosi, alle infiltrazioni russe che pure nel paese esistono, e che continueranno a esistere. Conosce l’umore del suo popolo, sa che un limite esiste, ha detto più volte che la guerra dovrà arrivare presto a una fine. Eppure la macchina del reclutamento funziona a pieno regime. Ovunque a Odessa lo spazio delle insegne pubblicitarie è occupato dall’esercito. Nel centro della città, su un tratto della strada Rishelevska lungo trenta metri fra vetrine e tavoli dei ristoranti, ci sono quattro cartelloni uno di fila all’altro. Battaglione Azov, Lupi di Da Vinci, Marina militare, Terza brigata separata d’assalto. Ricordano i manifesti delle campagne elettorali. Qui, però, non è di voti che si tratta. Ancora si cercano volontari per il fronte
Commenta (0 Commenti)Governo. Dl con misure prive di urgenza e senza omogeneità. Ignorato Mattarella e anche il presidente della Camera, Fontana
La conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo il consiglio dei ministri - Palazzo Chigi
Il decreto Omnibus licenziato ieri dal consiglio dei ministri è talmente disomogeneo da essere peculiare anche per il livello medio dell’esecutivo. Nell’ultimo atto del governo prima della pausa estiva ci sono indicazioni fiscali e quelle sul trasferimento dei puledri, fondi post crollo a Scampia e fondi per i festival «identitari».
QUELLO CHE NON È peculiare è, invece, il metodo che Meloni e il suo esecutivo stanno portando avanti dall’inizio della legislatura. Ricorso continuo ai decreti, esautoramento del ruolo delle Camere con i parlamentari che devono solo ratificare quanto deciso altrove, tempi contingentati per la discussione nelle commissioni, emendamenti dell’opposizione respinti in blocco, richiesta della fiducia. Sul primo punto si era più volte espresso il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ma anche quello della Camera, Lorenzo Fontana, aveva chiesto alla premier, in una missiva, di ridurre l’eccesso della decretazione d’urgenza.
Il resto sta nelle cronache parlamentari di questi mesi e questo decreto non fa eccezione. Dovrà essere approvato entro 60 giorni. La metà di questi saranno persi tra chiusura delle Aule e lenta ripresa dei lavori (dopo la prima settimana di settembre). Rimarrà quindi solo un mese.
Se i partiti di opposizione da mesi denunciano questo tipo di pratica (solo a luglio sono stati approvati nove decreti, dati Openpolis), quelli della maggioranza brindano: il multiforme provvedimento accontenta tutti. Nel dl ci sono «mance» elettorali e territoriali. Pensando alle regionali in Campania del 2025, il ministro alla Cultura Sangiuliano, e tutta Forza Italia, si sono intestati i fondi per i 2500 anni dalla fondazione di Napoli. Ma per Sangiuliano la rivendicazione diventa occasione per l’ennesima gaffe: «La nascita del Comitato nazionale Neapolis 2500 – dice il ministro – è un’iniziativa che ho fortemente voluto, è un doveroso riconoscimento alla storia di Napoli». Sulla quale però dimostra di essere confuso dato che sui social scrive: «Celebriamo i due secoli e mezzo» della città. Come nella migliore tradizione a farne le spese è il social media manager, di cui «sono state accettate le dimissioni».
Un messaggio ai giovani: andatevene
FORZA ITALIA, che
Leggi tutto: Decreto Omnibus: mance a pioggia, i nodi a settembre - di Luciana Cimino
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