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Via libera ai privati in sanità. Un emendamento della Giunta rende possibile finanziamenti statali e regionali anche a privati. Scontro in aula


Sanità, svolta in Emilia-Romagna: la regione apre ai privati
L'Emilia-Romagna svolta e apre la porta ai privati in sanita', dando la possibilita' anche agli istituti accreditati di ottenere il riconoscimento di Irccs. Una possibilita' oggi concessa solo all'istituto tumori di Meldola (Irst), a maggioranza pubblica con partecipazione di fondazioni bancarie e Istituto oncologico romagnolo. La sterzata arriva oggi in Assemblea legislativa, con l'approvazione di un progetto di legge della Giunta che fissa alcuni nuovi paletti in materia di finanziamento, gestione e controllo delle aziende sanitarie e dei loro bilanci. In aula, durante la discussione, approda anche un emendamento a firma Pd, che in sostanza rende possibile il riconoscimento di Irccs, per i quali sono previsti anche finanziamenti statali, oltre che regionali, anche agli istituti privati accreditati, andando a modificare una legge di 10 anni fa. Una possibilita' oggi consentita solo all'Irst di Meldola. E in aula si infiamma lo scontro. 

L'emendamento passa col voto a favore del Pd e della Lega, che in Regione si divide ancora una volta dal suo socio di Governo a Roma. I 5 stelle, infatti, votano contro, cosi' come la sinistra, che volta le spalle ai dem, alleati di maggioranza. 'Non e' che non riconosciamo ai privati la possibilita' di fare ricerca- afferma Silvia Prodi di Mdp- ma questo e' un tema prettamente politico. Parliamo di fondi pubblici in sanita', non e' la Lombardia il modello a cui dobbiamo ispirarci'. Stessa linea per l'M5s. 'Non ci sono ragioni evidenti per abbandonare il modello attuale- sostiene il 5 stelle Andrea Bertani- il pilastro e' il pubblico, non serve questa apertura. Il privato faccia da solo, non si snaturi la scelta fatta dalla Regione a suo tempo'. 

Tra l'altro, attacca Bertani, 'sembra esserci gia' un candidato: il Santa Maria Cecilia hospital di Cotignola. Capisco che siano vostri amici, ma perche' non lo dite chiaramente?'. Accuse a cui il segretario regionale Pd, Paolo Calvano, risponde con rabbia. 'Si puo' essere contrari sul merito- alza la voce Calvano- ma non ci potete accusare di scarsa trasparenza: vi avevamo informato di questo emendamento'. Il segretario dem sottolinea come nei mesi scorsi la Conferenza socio-sanitaria della Romagna abbia discusso e dato parere favorevole alla possibilita' di riconoscere al Santa Maria Cecilia il titolo di Irccs. 'Se il sistema di ricerca si allarga- sostiene Calvano- e' un'opportunita' in piu'. Ed e' un bene se entriamo in competizione con altre Regioni. Se poi non vi va bene, cambiate la norma nazionale'. 

Il progetto di legge dovrebbe essere approvato nel pomeriggio in Assemblea legislativa, insieme a un ordine del giorno sempre a firma Pd che invita la Giunta Bonaccini a valutare il riconoscimento di Irccs ai privati, coinvolgendo aziende sanitarie ed enti locali. 'Non diamo la patente di Irccs a Cotignola- afferma il dem Paolo Zoffoli, presidente della commissione Sanita' di viale Aldo Moro- ma diamo la possibilita' all'istituto di attrezzarsi per chiedere il riconoscimento. Diamo un indirizzo politico forte, nell'interesse della sanita' pubblica'. In Romagna, sottolinea Zoffoli, 'siamo scoperti sul fronte delle cure cardiologiche'. Con il riconoscimento di Irccs al Santa Maria Cecilia, invece, 'si potrebbe creare una rete insieme all'Ausl e all'Irst di Meldola, con una regia forte del pubblico. Non apriamo un fronte del privato contro il pubblico', assicura il consigliere regionale Pd.
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"Si sono definitivamente interrotte le trattative con Lidl Italia, riavviate a giugno dopo il rinnovo separato del contratto integrativo aziendale dello scorso 6 marzo, sottoscritto senza la Filcams. L’indisponibilità e le rigidità da parte della multinazionale tedesca rispetto alle richieste avanzate dalla categoria del terziario della Cgil non hanno consentito l’auspicata riapertura del confronto ed il recupero dell’accordo separato" riporta una nota di Filcams Cgil Ravenna.

In considerazione "dell’esito anche di questa ulteriore fase del negoziato, delle forti distanze che permangono e dell’inaffidabilità che ha caratterizzato la condotta dell’azienda per l’intera trattativa, la Filcams, contestualmente alla dichiarazione dello stato di agitazione, ha proclamato una prima giornata di sciopero per il prossimo 13 luglio. In occasione dello sciopero, saranno organizzate due iniziative, presso i magazzini di Massa Lombarda, in provincia di Ravenna, e di Pontedera, in provincia di Pisa" conclude la nota.

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Intervista a Maurizio Landini. Il segretario confederale Cgil: «Per recuperare i guasti del Jobs Act bisogna riscrivere tutte le leggi sbagliate. Chi parla di decreto Cgil dice una sciocchezza: noi la causale l’avremmo rimessa tutta. Sono prime misure giuste ma serve un ridisegno organico come la nostra Carta dei Diritti»

Maurizio Landini, esponenti della Lega sostengono che il decreto Dignità di Di Maio sia in realtà «il decreto Cgil»…
È una sciocchezza. Questo è un decreto che migliora le condizioni per alcune categorie di lavoratori. E quindi va nella direzione di dare più diritti e ridurre la precarietà. Ci sono norme condivisibili e interessanti, ma per ricostruire quanto distrutto dal Jobs act serve un intervento organico molto più vasto. Come la nostra Carta dei diritti che abbiamo presentato a tutte le forze politiche e che mira a dare diritti a tutti i lavoratori a prescindere dal tipo di contratto. Per recuperare i guasti del Jobs act bisogna riscrivere tutte le leggi sbagliate.

È un fatto però che la Cgil contestasse l’abolizione della causale nei contratti a tempo predel decreto Poletti del 2014.
Certo, ma noi la causale l’avremmo rimessa anche per i primi 12 mesi e sempre perché è evidente che l’aumento dei contratti a termine è dovuto alla liberalizzazione totale fatta da Poletti. Per questo diciamo che in questo decreto ci sono cose positive ma che serve molto più coraggio. Anche perché dentro il governo c’è chi vuole il ritorno dei voucher contro cui noi abbiamo raccolto milioni di firme: sarebbe inaccettabile e andrebbe nella direzione opposta e noi ci mobiliteremmo sicuramente.

A spingere per reintrodurre i voucher in agricoltura è il ministro leghista Centinaio. Vede anche lei una spaccatura fra la Lega che spadroneggia sul tema dei migranti e il M5s che cerca di recuperare a sinistra sui temi del lavoro?
Questo governo è il frutto di un contratto tra due movimenti molto diversi che sono stati premiati dal voto degli italiani. Noi come Cgil siamo autonomi dai partiti e quindi guardiamo al merito dei singoli provvedimenti. Sui migranti e sulla chiusura dei porti siamo davanti ad una guerra ai più poveri mentre invece di combattere chi ha la pelle nera bisognerebbe combattere il lavoro nero. Allo stesso tempo distinguiamo e diamo un giudizio positivo sui provvedimenti sul tema del lavoro. Ma il nostro giudizio rimarrà questo solo se si tratta di un inizio di una politica più ampia. Sui voucher la nostra Carta dei diritti propone di regolare il lavoro occasionale, la strada è quella. Così come nella nostro congresso proponiamo nuove misure come il Reddito di garanzia e continuità per i precari.

Oltre al merito c’è però un cambio di metodo. In pochi avrebbero pensato che Di Maio – in passato, come Grillo, molto critico verso di voi – vi avrebbe ascoltato e convocato.
Il cambiamento lo abbiamo visto nella gestione di alcune crisi come Ilva e sul tema dei diritti dei riders. Noi però chiediamo di essere ascoltati su molti altri temi: dagli ammortizzatori sociali che sono stati ridotti dal Jobsact e a settembre rischiano di produrre migliaia e migliaia di licenziamenti, dalle pensioni per superare la Fornero al fisco per ridurre le tasse a lavoratori e pensionati per non parlare della politica industriale. Anche per scrivere questo decreto il governo non si è confrontato con noi: chiediamo che lo faccia prima di prendere ogni decisione. Poi decida come vuole, ma almeno ci ascolti.

La norma anti delocalizzazioni è scritta bene?
Serviva una legge perché la normativa precedente non funzionava. Detto questo noi chiediamo di approfondirla inserendo come fondi pubblici anche gli sgravi sulle assunzioni e di creare un fondo nazionale che affronti le emergenza come quelle della Bekaert e la Invatec Medtronic che sono scoppiate in questi giorni.

In conclusione: il decreto Dignità mette fine al renzismo?
Andrei cauto. I governi di centrodestra prima e di centrosinistra dopo hanno fatto una strage dei diritti e prodotto una svalutazione del lavoro che è sotto gli occhi di tutti. La diseguaglianza è esplosa e anche chi lavora è povero e rinuncia a curarsi. Non voglio ingigantire il valore del decreto: per ridare dignità al lavoro serve molto di più.

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Dopo l’ennesimo disastro elettorale Pietro Spataro giustamente invoca una riflessione di fondo sulla sinistra. Purtroppo parte importante del gruppo dirigente del Pd continua a rispondere a questa crisi ricordando l’età dell’oro del 40% alle europee. Il punto da cui partirei è un poco diverso dal titolo dell’articolo di Spataro. Non è scomparsa la sinistra ma la sua rappresentanza politica.

Certo se proseguisse questa situazione il risultato finale potrebbe essere la coincidenza delle due crisi, cioè della rappresentanza politica e della sinistra diffusa, nella cultura, nella società, nelle persone. Per ora mi sembra ci sia una differenza importante, che lascia una speranza a patto di iniziare finalmente ad affrontare i problemi.

L’esistenza di una sinistra nella società è un punto da cui partire e che potrebbe consentire di individuare e mettere in campo energie e forze importanti per tentare di superare questa crisi. Del resto è del tutto evidente che in situazioni molto diverse tra loro, socialmente e culturalmente la scelta degli elettori di scegliere l’astensione o di cercare altri interlocutori da votare è partita proprio dalla sfiducia nei referenti politici attuali della sinistra, non più vissuti come i propri rappresentanti.

La crisi principale riguarda la sfiducia nella rappresentanza politica della sinistra, arrivata ad un punto tale che potrebbe diventare definitiva, senza appello, se non venisse data una risposta convincente, una svolta. Anche in altre fasi storiche ci sono state crisi rilevanti, ma non con questa gravità. Ne è una prova che all’interno della sinistra non ci sono travasi significativi, quindi nessuna proposta politica oggi è convincente. E’ un fatto.

L’elemento caratterizzante, in particolare nell’ultimo decennio, è lo spostamento massiccio di voti in periodi relativamente brevi. I 5 Stelle ne sono un esempio, ma lo è anche l’affermazione della Lega, che ha avuto un aumento vertiginoso di voti in tempi ristretti. Movimenti così rapidi e di massa sono spiegabili con la scarsa identità ideale e politica dei partiti, che rende più facile abbandonarli senza tante remore. Del resto la scelta del partito leggero è stata fatta con chiarezza.

Nelle elezioni europee il Pd raggiunse il 40% in ragione di una diffidenza ancora forte verso i 5 Stelle, ma questa diffidenza si è sciolta rapidamente nel suo contrario. Ha certamente influito la crisi economica, il raddoppio della povertà, l’arretramento dei diritti e delle condizioni di lavoro, l’abbandono dei giovani. Giovani che hanno visto drasticamente peggiorata la possibilità di occupazione per un improvviso blocco del normale avvicendamento dei lavoratori già occupati (legge Fornero), oppure costretti a un precariato senza diritti (i “riders” che cosa sono se non precari tra i precari?).

Lavoratori, aree territoriali  hanno dichiarato di avere votato 5 Stelle solo perchè si erano fatti vivi con loro, confermando che si sentivano abbandonati, senza speranza. Tuttavia nella società, nell’economia ci sono tutte le ragioni oggettive per una presenza efficace della sinistra.

La marcia in più della sinistra può essere la capacità di partire da tanti particolari, scelta inevitabile di fronte alla distruzione di identità e di legami. Partire dalla frantumazione sociale per ricostruire un disegno politico. La ricostruzione dell’unità oggi non è possibile attraverso la condizione oggettiva creata da grandi agglomerati di lavoratori come in passato e quindi la ricostruzione di un progetto unificante deve essere politica e programmatica, altrimenti le contraddizioni diventerebbero ingestibili. La classe in sé non esiste più come in passato, in ragione di grandi agglomerati di lavoro, ma può esistere una classe lavoratrice che acquisisce, gradualmente, la consapevolezza politica che i destini degli uni sono legati a quelli di altri, in alternativa alla guerra di tutti contro tutti.

La difficoltà nasce dal fatto che parte importante della sinistra ha contribuito a rompere lo schema generale precedente senza avere la più pallida idea di come ricostruirlo. Per questo non bisogna stupirsi delle contraddizioni dei 5 Stelle che sommano cose accettabili,  ad altre inaccettabili, da contrastare. Solo una sinistra con una proposta coerente può fare scoppiare queste contraddizioni positivamente.

Il programma politico, la coerenza del disegno sono fondamentali per la sinistra. Ad esempio in materia di lavoro, l’unificazione dei diritti e delle condizioni essenziali di chi lavora è un primo terreno. D’Antona e Alleva, per incarico della Cgil, hanno ragionato decenni fa su un sistema unitario di diritti di chi lavora. Oggi  la Cgil ha elaborato una carta dei diritti di tutti i lavori. Tutto questo va semplificato, aggiornato e tradotto in linea e pratica politica. Esiste o no l’esigenza di unificare il sistema attuale di diritti di chi lavora? Più in generale la condizione di chi lavora? Altrimenti rischieremo di avere tante situazioni come quelle dei riders, che è necessario affrontare ma in un quadro coerente di diritti, altrimenti come troppo spesso accade gli uni vengono messi contro gli altri.

Oppure le pensioni. L’insistenza sul contributivo come scelta unilaterale prenota contraddizioni e blocca la solidarietà, senza la quale non si va da nessuna parte nella ricostruzione dei diritti e delle condizioni di lavoro. Così per l’occupazione, stiamo andando verso un’economia in cui pochi lavorano troppo e molti non lavorano o lavoricchiano. Occorre affrontare anche questo punto vitale, il lavoro va ripartito, redistribuito con un progetto economico e sociale.

Sono solo alcuni punti ma ce ne sono altri, non meno importanti come la progressività fiscale, la lotta all’evasione, il rifiuto dei condoni, la tutela dell’ambiente, che è una risorsa. Su punti caratterizzanti la sinistra può aprire un scenario nuovo in Europa. Senza una prospettiva sovranazionale non si va da nessuna parte, purtroppo la sinistra non è mai stata così poco internazionalizzata come in questa fase, sia per argomenti, sia per legami.

La globalizzazione implica risposte sovranazionali, eppure mai come in questa fase la sinistra resta entro i confini nazionali. Solo un programma coerente di cambiamento per riunire il corpo sociale entro un progetto di nuova società può evitare la frantumazione distruttiva della società e questo deve fare la sinistra se vuole dimostrare oggi le ragioni di fondo della sua esistenza, con un’idea di mondo e di relazioni che recuperino la parte migliore della solidarietà internazionale.

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Sinistra . Se si vuole tornare a parlare alle masse popolari che ci hanno abbandonato la prima regola sarebbe di non insultarle accusandole di fascismo o razzismo. In effetti revisione della legge Fornero, del Jobs Act, della «Buona scuola», il reddito di cittadinanza, sarebbero provvedimenti che tutta «la sinistra» avrebbe dovuto assumere

Si ha l’impressione che, lasciati alle spalle i proponimenti iniziali, della sconfitta del 4 marzo si sia attenuata o smarrita l’eco a sinistra. E anche le rovinose sconfitte successive, non suscitano reazioni oltre la riaffermazione sostanziale della giustezza della propria linea. Non viene detto esplicitamente, ma è implicito nella riproposizione delle certezze del passato recente e nello stesso modo di valutare il successo degli avversari.

Se ci si convince di vivere in un paese fascista e razzista (inserito a sua volta in un continente ancor più razzista, se la questione dei migranti è la cartina di tornasole di tutto il resto) la cosa non potrà che risolversi nella proposizione di una sorta di «suprematismo morale» da parte di una minoranza che considera il resto del mondo «disumano», che crede di detenere in esclusiva intelligenza e umanità, che nega alla stragrande maggioranza del popolo italiano ed europeo.

Una minoranza che sembra aver smarrito perfino la curiosità intellettuale di studiare con serietà gli avversari e le loro motivazioni, di comprenderne natura e logica, che è o dovrebbe essere compito preliminare di ogni battaglia politica, accontentandosi di ripetere luoghi comuni stereotipati e consolatori. Un facile alibi per questo atteggiamento è sicuramente rappresentato dall’onnipresenza mediatica dei proclami di Matteo Salvini, che è ormai invadente e pervasiva quanto quella che fu di Matteo Renzi.

CON UNA DIFFERENZA fondamentale, però: Renzi si rivolgeva a una Italia in gran parte immaginaria, fatta di «eccellenze», brevetti, «startup», benestanti felici coi figlioli all’Erasmus. Salvini invece si rivolge a un’Italia fin troppo reale, impoverita e incattivita, che esprime un bisogno di protezione e sicurezza. Sicurezza che è una dimensione globale e avvertita come tale dalla popolazione, che significa in primo luogo sicurezza del lavoro e nel lavoro, sicurezza sul terreno della salute e dell’assistenza, e che solo in ultima analisi significa anche tutela dell’ordine pubblico.

A mio avviso il vero fenomeno che abbiamo di fronte è quello di una gigantesca sostituzione di rappresentanza sociale, che sta colmando i vuoti che da almeno due decenni la sinistra aveva lasciato e che ora sta giungendo a compimento.  È un fenomeno che rischia di assumere una dimensione epocale (non solo italiana) e di segnare una fase non breve della nostra storia. Non giunge per la verità inatteso, anzi si può considerare per qualche aspetto uno sbocco tardivo, venendo dopo un quarto di secolo di impoverimento costante, di erosione tangibile delle garanzie dello stato sociale, di stagnazione permanente e di perdita di prospettive credibili per le generazioni più giovani.

Temo che anche il mitico «nuovo centrosinistra», che viene spesso evocato con poca fantasia, sia ormai una prospettiva usurata, sia perché è stata una politica ormai rigettata dagli elettori, sia perché la nuova alleanza di governo è già, in termini sociali, una replica dell’alleanza tra classi e ceti, tra aree diverse della popolazione, tra interessi che possono convergere e che furono propri di quella esperienza.

OVVIAMENTE CON FORTI influenze della destra nel discorso pubblico e nel senso comune, perché questa è l’aria che si respira, molto diversa da quella degli anni Sessanta. Ma senza un segno univoco di destra, con una compresenza di tematiche su cui si potrebbe convenire e di propositi inquietanti: in effetti revisione della legge Fornero, del Jobs act, della «Buona Scuola», reddito di cittadinanza, erano provvedimenti che «la sinistra» avrebbe dovuto assumere per riacquistare un minimo di credibilità presso quelli che in un tempo lontano furono i suoi serbatoi elettorali. E anche andare in Europa con la spina dorsale, senza essere succubi di mitologie illusorie, sarebbe stata cosa buona e giusta.

LE INDUBBIE VENATURE razziste che emergono nel discorso pubblico sono conseguenza abbastanza inevitabile dell’egemonia consegnata alle destre. Vanno rifiutate e combattute, possibilmente senza continuare a schierarsi col potere oppressivo di Bruxelles. Ma sarebbe anche lecito interrogarsi su quanto le questioni riconducibili al «razzismo» abbiano un peso effettivo nei comportamenti elettorali di una platea così vasta, e personalmente estenderei il dubbio anche alla questione dei migranti, forse non così cruciale nel motivare le scelte rispetto a quanto suggerirebbe la propaganda ossessiva di Salvini e di altri governanti in Europa.

In ogni caso, continuare a trattare Di Maio e Salvini da ignoranti o trogloditi è sbagliato e sterile.

Invocare fronti antifascisti in assenza di fascismo è fuorviante e consolatorio; le sue implicazioni politiche (Union sacrée repubblicana) sarebbero esiziali. Si tratterebbe, fra l’altro, di una singolare forma di fascismo, senza squadre armate, senza partito unico, in un paese dove si vota quasi ogni domenica e dove i più grandi organi di stampa sono avversi al governo, dove la tv pubblica è un monocolore del principale partito di opposizione e la tv privata è proprietà di un altro partito fuori della maggioranza.

Con buona pace di Umberto Eco, il fascismo non è una categoria dello spirito ma è un fenomeno storico dalle caratteristiche ampiamente studiate e discusse, e va evitato l’abuso di «false analogie» di cui un tempo eravamo abituati a diffidare.

Aggiungerei che ricondurre automaticamente ogni forma di razzismo al fascismo è un dispositivo mentale che semplifica e banalizza entrambi i termini in questione. Non tiene conto fra l’altro della lunga tradizione coloniale, e in essa del ruolo delle democrazie coloniali, le più radicali e risolute nella pratica della discriminazione e dell’apartheid. Se si vuole tornare a parlare alle masse popolari che ci hanno abbandonato, la prima regola sarebbe di non insultarle accusandole di fascismo o razzismo.

QUESTA NUOVA DESTRA si potrà combattere solo contendendole la capacità di parlare ai ceti popolari. Servirebbe un vero Partito del lavoro, collegato a sindacati, organizzazioni esistenti, corpi intermedi. Purtroppo è qualcosa a cui la sinistra nel suo complesso appare oggi del tutto inadeguata, tanto nel balbettio di una sinistra «riformista» artefice della situazione nella quale ci troviamo, quanto negli automatismi di una sinistra «radicale» che non riesce a dismettere l’abitudine di immaginarsi solo come assemblaggio di minoranze e monoculture, incapace di rivolgersi alla società italiana nel suo complesso.

Tutta la sinistra, moderata, radicale o antagonista, è stata percepita dalla maggioranza dei cittadini come estranea o nemica. Se non si parte da questa dolorosa consapevolezza sarà molto difficile proporsi di voltare pagina e ripensare tutto, con umiltà. Presidiare il tre-quattro per cento, destinato a farsi sempre più precario, può risolversi alla fine in uno sforzo inutile e superfluo, perché le classi popolari troveranno comunque il modo di farsi rappresentare, con o senza una sinistra.

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