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FridayForFuture. Per rispondere a Greta è fondamentale una rivoluzione energetica: fonti rinnovabili e un’azione politica coerente, di cui ancora non vediamo traccia

Non sappiamo se le manifestazioni del movimento #FridaysForFuture segnino davvero l’ingresso di una nuova generazione all’impegno per l’ambiente e il futuro. Certo il messaggio di Greta Thunberg ha coinvolto studenti di ogni grado e cittadini.

In un certo senso il più importante “richiamo” al rispetto degli obiettivi fissati dagli Accordi di Parigi, appannati dai messaggi distruttivi e irresponsabili del negazionista Trump e dalle lentezze delle mediazioni politiche in Europa che, pur mantenendo un impegno sul clima, è al di sotto di quello che servirebbe.
Qualcuno darà una risposta ai milioni di giovani che hanno sfilato ogni venerdì e ieri nel global strike? Intanto, sarebbe bene che la politica facesse un atto di consapevolezza e di comprensione della posta in gioco. Per rimanere entro 1,5°C di aumento globale della temperatura bisogna portare le “emissioni nette” di gas a effetto serra a zero per la metà del secolo.

Se questo è l’obiettivo formale dell’Ue per il 2050, l’attuale obiettivo intermedio, dove lo scontro tra gli interessi è molto forte, è di una riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030. Si tratta di un obiettivo incoerente con quello a più lungo termine: man mano che si andrà avanti il taglio delle emissioni sarà più difficile e costoso, ragion per cui l’obiettivo al 2030 va assolutamente rivisto e aumentato: la richiesta di Greta, infatti, è di “raddoppiare gli sforzi”.

E qui sorgono i problemi, sia per la resistenza di alcuni settori (l’industria energetica fossile in primis) che per le difficoltà o l’opposizione di alcuni Paesi. La questione cruciale è che un piano di salvaguardia del clima significa programmare e attuare la progressiva chiusura – o riduzione ai minimi termini – di settori come quello del carbone, del petrolio e del gas. E di modificare un paradigma (anche mentale, per certi versi) nel quale al centro del sistema energetico vanno le fonti rinnovabili e, nella transizione le fonti fossili, gas naturale incluso, vanno progressivamente ridotte.

E, se estendiamo lo sguardo, bisognerà intervenire in quasi tutti i settori, dalla mobilità all’agroalimentare incluso, per ridurre il peso degli allevamenti intensivi, oggi sussidiati. Nell’introduzione a un recente libro di Valeria Termini Il mondo rinnovabile (Luiss University Press), Romano Prodi prende atto, con l’autrice che “siamo entrati in una fase nella quale l’energia pulita può davvero cambiare l’economia, la politica, la società”, pur con tutte le cautele e riscontrando i diversi conflitti in materia energetica che esistono in campo europeo. Si tratta di un passaggio e di una presa di posizione importante.

Per rispondere a Greta è fondamentale una rivoluzione energetica: fonti rinnovabili e un’azione politica coerente, di cui ancora non vediamo traccia. Anzi, la crescita delle rinnovabili degli anni scorsi avendo danneggiato in particolare il settore del gas, ha provocato una reazione che le ha sostanzialmente bloccate.

Una difficoltà specifica riguarda un aspetto strutturale del mercato dell’energia: da settore “naturalmente” oligopolistico, diventerà un mercato molto più aperto e concorrenziale. Si tratta, in sostanza, di avviare una “grande trasformazione” che richiede un enorme sforzo e una capacità di gestione della transizione e che provocherà conflitti con gli interessi consolidati. Saprà la classe politica italiana acquisire la necessaria consapevolezza ed essere all’altezza di questa sfida?

*Direttore di Greenpeace Italia

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Il più grossolano errore in cui incorrere sarebbe considerare il voto delle primarie come un consenso tributato a questo Pd, credere cioè che sia sufficiente riverniciare le crepe, promettere di cambiare verso per replicare nei fatti il vecchio, fallimentare copione, a cominciare dal modello delle grandi opere

 

L’immagine di un uomo giovane e cordiale che annullasse quella dell’uomo giovane e arrogante: è stata l’arma vincente di Nicola Zingaretti, neo-segretario del Partito a furor di popolo democratico. Le cronache raccontano che il più celebre fratello, Luca, gli abbia dato buoni consigli per migliorare la prossemica nelle performance tribunizie della campagna. La buona comunicazione è importante, anzi necessaria, ma non basta. La rassicurante e bonaria retorica di Zingaretti rischia di cambiare solo la facciata, senza scalfire la linea politica che ha portato il partito allo storico tonfo del 4 marzo.

Ora si faranno i conti con gli equilibri interni al Nazareno e, soprattutto, con proposte politiche capaci di rispondere al paese che non ce la fa, e in grado di sollecitare le nuove alleanze a sinistra per una alternativa di governo. Si può dire che la trasferta torinese in sostegno della Tav e del presidente della regione Piemonte, Chiamparino, va nella direzione opposta.

Zingaretti sceglie la continuità (come coerentemente aveva dichiarato, bisogna dargliene atto, nel chiedere il voto) facendo temere che quel campo largo coltivato da nuove intese con i movimenti e con la sinistra potrebbe invece inaridirsi e restringersi rapidamente. Facendo così risuonare declamatorio il riferimento alla lotta di Greta Thunberg e ai ragazzi che con lei scenderanno in piazza il 15 di marzo per difendere l’ambiente.

Il più grossolano errore in cui incorrere sarebbe considerare il voto delle

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Regione . Le richieste riguardano il Passante di Bologna e le bretelle Campogalliano-Sassuolo e tra l’A22 e l’A13. Bonaccini: «Da mesi cerchiamo inutilmente un confronto con il Governo»

 Bologna - Sabato 9 marzo dalle 9,30 alle 11 Presidio per un altro modello di sviluppo

L’Emilia-Romagna è malata di consumo di suolo: quasi il dieci per cento della superficie è cementificata, oltre due punti in più rispetto alla media nazionale, ma nonostante questo la Regione (a novembre si rinnovano giunta e consiglio), la Città metrolitana di Bologna e il Comune di Bologna hanno convocato una manifestazione per chiedere al governo di lasciar partire i cantieri del Passante di Bologna, della Bretella autostradale Campogalliano-Sassuolo e dell’autostrada regionale Cispadana, tra l’A22 e l’A13. Quest’ultima, programma dalla Regione nel 2006, segnale un rischio implicito dell’autonomia differenziata regionale che anche l’Emilia-Romagna vorrebbe vedersi riconoscere dal governo.

L’INIZIATIVA PRO autostrade si terrà sabato 9 marzo, a meno di una settimana dalla manifestazione globale contro i cambiamenti climatici. Niente piazza, però: l’appuntamento, dalle 10 alle 12, è al coperto, nella sala Maggiore del Palazzo dei Congressi in piazza della Costituzione, a Bologna, «d’intesa con tutte le associazioni d’impresa e le organizzazioni sindacali», spiega un comunicato di Regione Emilia-Romagna.

I tre progetti bloccati valgono 2,5 miliardi di euro. All’incontro è stato invitato il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, che in questi mesi si sarebbe reso responsabile di uno sgarbo «alle Istituzioni, ai territori e alle comunità locali», secondo il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Che dice: «Abbiamo cercato ostinatamente in questi mesi un tavolo di confronto con il Governo ma purtroppo nulla è successo. Solo pochi giorni fa ho ricevuto una lettera del ministro Toninelli nella quale rimanda, sul Passante di Bologna, a una futura riunione non appena definite le modifiche progettuali con noi mai discusse. Ma, appunto, sono ormai mesi che siamo in totale assenza di fatti concreti, solo rinvii».

Il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini

A questo tris di nuove infrastrutture autostradali, osteggiate da comitati e associazioni come Legambiente Emilia-Romagna, si accompagna una quarta, la Ti-Bre (Tirreno-Brennero), che è in costruzione e nel 2018 è valsa al piccolo Comune di Sissa Tre Casali, in provincia di Parma, la «coppa» del più cementificato d’Italia, avendo perso ben 74 ettari di terreni agricoli sepolti da cemento e asfalto.

«UNA PAGINA TRISTE per questa regione. È incomprensibile avviare uno scontro istituzionale e sociale a favore delle autostrade, simbolo del passato e di un trasporto ad alto impatto», scrive Legambiente Emilia-Romagna in una lettera aperta rivolta ad istituzione e parti sociali per chiedere di non assecondare l’iniziativa. «Il gesto è simbolico, un messaggio gravissimo, una distanza siderale rispetto alle piazze del #fridayforfuture, come quella di Parma da cui ti parlo», spiega al telefono con il manifesto Lorenzo Frattini, presidente dell’associazione.

«Gli slogan contano, e così le bandiere – continua -: dai primi giorni di febbraio tutti capoluoghi dell’Emilia-Romagna sono costantemente sopra i limiti delle PM10, con gran parte dei capoluoghi che sono già oltre i 25 giorni di sforamento sui 35 consentiti in un anno. La città di Ferrara ha addirittura già superato il limite». Secondo Legambiente, «la chiamata a scendere in piazza a favore delle autostrade appare come la campana a morto di una stagione ormai lontana. Stagione in cui la nostra regione produceva innovazione e idee all’avanguardia per il Paese. Oggi sembra rimanere in campo solo il pragmatismo, incapace di discriminare tra le necessità di uno sviluppo sostenibile e logiche del passato».

La logica dei combustibili fossili che alimentano una mobilità privata su gomma, una strada senza uscita. Per rispondere all’inquinamento dell’aria servono altri investimenti: il completamento del Servizio Ferroviario Metropolitano di Bologna, nuove linee di tram e il potenziamento del trasporto ferroviario regionale.

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ROADS Il servizio sull'Italia della TV pubblica Greca , in italiano

(dopo le previsioni del tempo dal minuto 00.30)

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Poeta, rivoluzionario e sacerdote. Ernesto Cardenal, sacerdote, rivoluzionario e poeta nicaraguense, nel 1984 fu sospeso a divinis da Woityla. Oggi, sul punto di morte, è stato ufficialmente riabilitato da papa Francesco

 

Meglio tardi che mai» verrebbe da dire sulla riabilitazione come sacerdote del poeta Ernesto Cardenal, ministro della cultura in Nicaragua negli anni ’80 durante tutta la Rivoluzione popolare sandinista. Nel 1984 lui, insieme al fratello Fernando (gesuita, coordinatore della Gioventù sandinista e successivamente ministro dell’Istruzione), padre Miguel D’Escoto (ministro degli esteri) e padre Edgar Parrales (ministro per la famiglia) furono sospesi a «divinis» da Karol Wojtyla; dunque esonerati dallo svolgere i loro compiti sacerdotali.

È RIMASTA NELLA STORIA la fotografia del papa polacco che il 4 marzo 1983, appena sceso dall’aereo sulla pista dell’aeroporto Sandino di Managua, salutando uno per uno i membri del governo rivoluzionario (noi de il manifesto eravamo lì a un passo), puntò il dito su Ernesto (l’unico dei quattro preti-ministri ad accoglierlo) che gli si era inginocchiato per baciargli l’anello.

L’allora pontefice ritirò subito la mano umiliandolo e intimandogli: «devi regolarizzare la tua situazione con la Chiesa». Quella visita finì con la clamorosa contestazione a Giovanni Paolo II durante la messa nella gremita piazza 19 de julio; e la sua precipitosa dipartita, rosso di rabbia in volto, dal Nicaragua

.

Uno degli slogan di quel tempo del corso sandinista era: Entre cristianismo y revolución no hay (non cè) contradicción. Mentre in quasi tutta l’America latina era in auge la Teologia della liberazione, avanguardia nell’applicazione del Concilio vaticano II. Che Wojtyla si prodigò letteralmente a sradicare a partire dal suo non casuale primo viaggio dalla sua nomina (nel gennaio 1979) alla III Conferenza episcopale latinoamericana di Puebla, che avrebbe dovuto sancire l’«opzione preferenziale per i poveri». Facendo così un grande favore al presidente Usa Ronald Reagan, nel frattempo impegnato nel promuovere le sette fondamentaliste in tutto il sub continente.

Papa Francesco ha finalmente revocato la sospensione al 94enne padre Ernesto, ricoverato in rianimazione per una grave infezione in un ospedale della capitale nicaraguense. A portargli il messaggio il nunzio Stanislaw Waldemar. Il quale ha espresso l’intenzione di concelebrare una messa insieme a lui. Sempre che, a questo punto, Cardenal riesca a rimettersi. Mentre il vescovo ausiliare di Managua, Silvio Baez, si è precipitato al suo capezzale chiedendogli la sua benedizione «come sacerdote della Chiesa cattolica».

MONSIGNOR BAEZ, molto legato a papa Francesco, è il prelato che più si è esposto con le sue critiche al regime del presidente Daniel Ortega, ancor prima della rivolta studentesca scoppiata il 18 aprile dello scorso anno, repressa nel sangue dalle forze di sicurezza del fu comandante guerrigliero.

Così come Ernesto Cardenal è stato uno dei primi esponenti del sandinismo a denunciare (fin dagli anni ’90) la piega antidemocratica di Ortega da segretario del Fronte Sandinista prima, e dittatoriale da quando è tornato al governo nel 2007.

Tanto da essere preso di mira da una vera e propria persecuzione politica che gli è valsa un paio d’anni fa una sanzione di 750mila dollari per una inventata controversia sulla proprietà dei terreni dove lo stesso Cardenal aveva fondato negli anni ’70 la sua comunità contemplativa nell’isola di Solentiname del grande lago Nicaragua. Il sistema giudiziario, strettamente controllato da Ortega, era arrivato a congelargli il conto corrente; per poi sospendere il procedimento di fronte alle proteste di intellettuali e letterati dal mondo intero.

IL PADRE CARDENAL è considerato infatti uno dei più grandi poeti latinoamericani. È stato insignito della Legion d’onore francese, del premio latinoamericano Pablo Neruda; fino al Premio regina Sofia di Spagna per la poesia iberoamericana (nel 2012). L’ultimo riconoscimento, il premio Mario Benedetti, lo aveva ottenuto giusto lo scorso anno; e lo dedicò al 15enne nicaraguense Alvaro Conrado, ucciso il 20 aprile scorso da un francotiratore del regime durante una manifestazione di protesta degli studenti. Tra le sue opere più famose: Oración para Marilyn Monroe (ancora del 1965), Quetzalcoatl, Canto Cosmico, La Revolución perdida…; molte di esse tradotte fin in venti lingue.

Nella sua lunga vita il padre Cardenal è stato suo malgrado avvezzo a subire feroci atti di repressione. Già nel 1977 gli sgherri della Guardia somozista distrussero le installazioni della comunità di Solentiname (cappella, scuola, biblioteca, laboratorio di arte primitivista, cooperativa di pescatori e contadini) e assassinò vari dei suoi attivisti. Così come fu clamorosamente boicottato durante la rivoluzione sandinista da ministro della cultura dalla stessa moglie di Daniel Ortega, Rosario Murillo (anch’essa poetessa e oggi vicepresidente nonché factotum del regime) che aspirava a quel posto; e che decise di inventarsi la Associazione dei lavoratori della cultura, in feroce competizione col padre-ministro.

CON LA RESTITUZIONE delle funzioni sacerdotali papa Francesco ha operato in extremis una sorta di risarcimento nei confronti del padre Ernesto che ora «è pronto per andarsene in pace» come ha commentato la scrittrice e anch’essa poetessa nicaraguense Gioconda Belli.

Gesto che il primo pontefice latinoamericano aveva già concesso (su esplicita richiesta) al padre Miguel D’Escoto prima di morire. Mentre Edgar Parrales optò subito per rinunciare allo stato laicale; e Fernando Cardenal scelse invece di rifare il noviziato per rientrare nella Compagnia gesuita a tutti gli effetti. Ancora qualche mese fa il riottoso Cardenal, che mai aveva chiesto la sua riabilitazione, ebbe a dire: «rivendico di essere stato poeta, sacerdote e rivoluzionario».

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Appello. Naufraga il progetto europeo, quando si vendono armi e si alimenta il conflitto a Sud e a Oriente del Mediterraneo senza assumersene alcuna responsabilità, quando si sceglie di alzare muri per creare zone di buio informativo e umanitario, quando si chiudono le frontiere comprando governi terzi e pagando eserciti stranieri affinché facciano il lavoro sporco.

Il Mar Mediterraneo è stato la casa comune di civiltà millenarie nelle quali l’interscambio culturale ha significato progresso e prosperità. Oggi è divenuto la fossa comune di migliaia di giovani che vi trovano la morte per l’assenza di canali d’ingresso legali e sicuri.
Le città, luogo di convivenza di uomini e donne di origini molto diverse tra loro e rifugio di migranti e richiedenti asilo, guardano con stupore alla deriva (all’atteggiamento?) degli stati europei nei confronti dei diritti delle persone che cercano di attraversare il Mediterraneo.
Riteniamo legittimo l’obiettivo di fuggire dalla violenza o dalla mancanza di opportunità e libertà democratiche, e crediamo che la soluzione sia la pace e la democrazia, così come riteniamo che le migrazioni debbano essere gestite in maniera ordinata sotto il coordinamento di diversi organi governativi.
Riconosciamo altresì che i nuovi arrivati e le nuove arrivate debbano avere gli stessi diritti e gli stessi doveri di ogni altro cittadino.
La chiusura dei porti italiani e maltesi alle navi di soccorso e il recente blocco burocratico nei porti spagnoli e italiani delle navi Open Arms, Aita Mari, SeaWatch3, insieme a quello dei porti francesi, sono esempi pratici di come anche l’Europa stia naufragando.
Riteniamo che l’Europa naufraghi quando viola la legge del mare, quando riduce i mezzi della propria guardia costiera, quando accusa di traffico di esseri umani chi li soccorre, facendo ciò che dovrebbero fare gli stati, quando cerca di annullare i meccanismi di solidarietà nelle nostre città.
Naufraga quando i governi europei, nascosti dietro le proprie bandiere e presunte soluzioni pratiche, rifiutano di aiutarsi in modo solidale nell’affrontare il tema dei flussi migratori dovuti a conflitti regionali.
Naufraga il progetto europeo, quando si vendono armi e si alimenta il conflitto a Sud e a Oriente del Mediterraneo senza assumersene alcuna responsabilità, quando si sceglie di alzare muri per creare zone di buio informativo e umanitario, quando si chiudono le frontiere comprando governi terzi e pagando eserciti stranieri affinché facciano il lavoro sporco.
Naufraga quando si confondono le vittime dei conflitti con i loro assassini, come sta facendo l’estrema destra europea.
Dobbiamo salvare l’Europa da se stessa. Rifiutiamo di credere che la risposta europea di fronte a questo orrore sia la negazione dei diritti umani e l’inerzia di fronte al Diritto alla Vita.
Salvare vite non è un atto negoziabile e negare la partenza alle navi o rifiutarne l’entrata in porto, un crimine.
Costringere le persone a vivere in un clima crescente di disuguaglianza su entrambe le sponde del mare è una soluzione a breve termine che non garantisce alcun futuro, soprattutto quando i flussi migratori più imponenti si producono seguendo altre rotte, non quelle marittime.
Le città presenti vogliono riconoscere l’azione e il coraggio della società civile rappresentata dalle navi di Open Arms, SeaWatch, Mediterranea, Aita Mari, SeaEye, del peschereccio di Santa Pola, del sindaco di Riace, della Guardia Costiera italiana e dello spagnolo Salvamento Maritimo, così come di tutte le organizzazioni umanitarie che operano alle frontiere. Esigiamo che il governo italiano e quello spagnolo nonché la Commissione Europea abbandonino la strategia di bloccarle e criminalizzarle.
Oggi ci siamo riuniti a Roma per sigillare un’alleanza tra città europee che diano appoggio alle organizzazioni umanitarie e alle navi europee di soccorso nel Mediterraneo.
Allo stesso tempo, le città europee continueranno a lavorare insieme per combattere l’involuzione dei principi fondativi della Ue e riportare il progetto europeo a galla.
Un’alleanza in mare e una in terra per un Mediterraneo che abbia un futuro.

Testo del manifesto sottoscritto dai sindaci di Barcellona, Madrid, Saragoza, Valenzia, Napoli, Palermo, Siracusa, Milano, Latina e Bologna.

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