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È un fatto molto positivo che alcuni Sindaci, per rispetto pieno della Costituzione, abbiano deciso di sospendere l’attuazione di quelle parti della legge sicurezza e immigrazione inerenti l’attività dei Comuni. Lo ha fatto per primo meritoriamente il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando, ed altri sindaci, altrettanto meritoriamente, stanno seguendo la sua strada.

L’articolo 13 della legge nega al richiedente asilo in possesso del permesso di soggiorno la possibilità di iscriversi all’anagrafe e quindi di avere la residenza, impedendogli di conseguenza di usufruire di qualsiasi servizio, a cominciare dall’assistenza sanitaria.

Migliaia e migliaia di persone, pur presenti legalmente nel nostro Paese, sono così giuridicamente cancellate. Ciò comporterà inevitabilmente il passaggio di gran parte di costoro all’illegalità, compromettendo ogni loro speranza e la sicurezza di tutti i cittadini.

La coraggiosa decisione di Orlando e di altri Sindaci di non dare attuazione a tale articolo apre così anche sul terreno istituzionale quel percorso di resistenza civile che da tempo l’Anpi aveva auspicato non contro questo Governo in quanto tale, ma contro i provvedimenti che negassero i fondamentali diritti costituzionali ribaditi dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.

Se c’è un contrasto fra leggi e Costituzione, occorre che venga alla luce con chiarezza affinché la Corte Costituzionale possa pronunciarsi in merito. Ci auguriamo che ciò avvenga al più presto.

L’autrice è Presidente nazionale Anpi

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Rivolta in Comune. Il sindaco di Palermo: «È un provvedimento incostituzionale e criminogeno. Il leghista mi denuncia? Farò ricorso alla Consulta»

Il ministro Salvini l’ha bollato come «un atto di disobbedienza sugli immigrati», per Leoluca Orlando invece «è un provvedimento di civiltà e rispetto della Costituzione». Certo è che la decisione del sindaco di Palermo di «sospendere» l’applicazione del decreto-sicurezza nella parte che vieta il rilascio della residenza ai migranti in scadenza di permesso di soggiorno, ha innescato reazioni inaspettate per il capo del Viminale, che si ritrova a dovere gestire una fronda di amministratori pronti a dare battaglia, a cominciare da quelli di Napoli, Firenze e Milano, con l’Anci che sollecita un tavolo di confronto immediato per evitare il caso nelle città.

La firma sul documento che ha rovinato le vacanze a Salvini, il sindaco l’ha messa il 21 dicembre, dieci giorni prima del discorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che nel suo messaggio di fine anno ha toccato proprio il tema della sicurezza e lanciato un monito al governo Salvini-Di Maio. Con la nota amministrativa il sindaco dà ‘copertura’ agli uffici comunali che stavano andando in tilt di fronte alle richieste di chi ha un regolare permesso di soggiorno. Orlando di fatto invita il dirigente dell’anagrafe ad approfondire gli aspetti del decreto sicurezza e nella more di continuare a iscrivere nel registro dei residenti i migranti.

Una mossa che riapre di colpo il dibattito sulla legge con la quale il governo giallo-verde ha riscritto le regole sui migranti, creando tante difficoltà proprio agli amministratori locali, che sono in prima fila nella gestione soprattutto dei minori non accompagnati.

Sindaco, sta disobbedendo alla legge come sostiene il ministro Salvini?
No, difendo la Costituzione. In un’altra vita sono stato titolare di una cattedra di diritto costituzionale, mi porto dietro questo bagaglio.

Quindi non intende applicare il decreto-sicurezza perché lo ritiene anti-costituzionale?
E’ disumano e criminogeno; è disumano perché eliminando la protezione umanitaria trasforma il legale in illegale, ed è criminogeno perché siamo in presenza di una violazione dei diritti umani e mi riferisco soprattutto ai minori che al compimento del diciottesimo anno non potranno stare più sul territorio nazionale. Per queste ragioni ho disposto formalmente agli uffici di sospendere la sua applicazione, perché non posso essere complice di una violazione palese dei diritti umani, previsti dalla Costituzione, nei confronti di persone che sono legalmente presenti sul territorio nazionale.

Dunque l’ufficio anagrafe di Palermo sta accettando le richieste?
Il dipendente comunale se ritiene illegittimo un provvedimento non lo adotta, ma in questo caso ha l’ordine per iscritto e la responsabilità è mia

Cosa comporta il rifiuto della residenza?
Significa impedire l’assistenza sanitaria, significa non permettere a un ragazzo di frequentare la scuola, significa non dare servizi a chi vive legalmente nel nostro Paese

Il ministro Salvini sostiene che non farà azioni di forza, ma che i sindaci «ne risponderanno personalmente, legalmente, civilmente«, perché il decreto è ormai una legge dello Stato «che mette ordine e mette regole».
Se dovessi essere incriminato solleverò la questione di fronte alla Corte costituzionale

E’ questo il suo vero obiettivo?
Il mio obiettivo è difendere i diritti umani e la Costituzionale

E vuol raggiungerlo con un atto rivoluzionario?
La mia è la rivoluzione della normalità. Ho già informato i vertici dell’Unione europea e altri sindaci. Siamo in presenza di una violazione continua del quadro dei diritti umani, mi riferisco anche ai migranti sulle navi. Questo governo compie atti oltraggiosi prima nei confronti degli italiani e poi dei migranti.

Cosa si aspetta?
Per me viene prima l’Italia, non gli italiani. E l’Italia è fatta di persone che hanno dei diritti sanciti dalla Costituzione. La mia è una posizione europeista, non è certo quella dell’Europa delle banche

Qualcuno già parla di «modello Orlando»
Non aspiro a fare da modello. Ognuno deve fare la propria parte, gli altri sindaci facciano quello che ritengono giusto si debba fare. Perché ormai il re è nudo

Vale a dire?
Questo governo ha gettato la sua maschera post-fascista. A livello internazionale si ha la piena consapevolezza che in questo momento storico c’è una anomalia nel governo del Paese

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Congresso Cgil. L'elezione di Maurizio Landini invece aprirebbe un processo virtuoso nel sindacato e nella società

Vincenzo Colla ha avanzato la sua candidatura alla segreteria generale della Cgil. Era suo diritto farlo, e l’ha fatto. Coerentemente all’impostazione sua e dei suoi sostenitori non l’ha fatto quando tutti gli iscritti avrebbero potuto pronunciarsi.

Ma a congressi territoriali e di categoria conclusi. Quasi tutti tranne quello dei pensionati, su cui più o meno esplicitamente punta per fare il ribaltone, rispetto ai congressi degli attivi, regionali e di categoria, che hanno vista un consenso largo per la candidatura di Landini.

Se in punta di diritto la sua scelta è ineccepibile, rivela però uno strano modo di intendere la democrazia dell’organizzazione. «Far votare il segretario agli iscritti è populismo, sarebbe un cedimento alla logica plebiscitaria imperante», hanno detto e scritto alcuni dei suoi sostenitori.

E allora, dato che secondo stime non contestate da loro stessi, la stragrande maggioranza degli iscritti è per Landini, facciamo il Congresso tutti coperti dal documento unitario, e facciamo eleggere il maggior numero possibile di delegati che in Landini non si riconoscono, col minor clamore possibile. Poi quando gli iscritti non hanno più voce in capitolo avanziamo la candidatura. Ineccepibile, statuto alla mano.

Ma se ci sono differenze nel modo di intendere il documento unitario così rilevanti da avanzare una candidatura alternativa a quella proposta da Susanna Cammusso, perché non avanzarla limpidamente nei congressi di base, e dar modo anche agli iscritti di capire e di valutare le differenze di impostazione e di linea, e di eleggere i delegati sulla base di una discussione limpida e trasparente? Difendere la democrazia delegata in tempo di populismo plebiscitario è sacrosanto, specialmente di questi tempi, ma proprio per questo gli iscritti, tutti gli iscritti, hanno il diritto di sapere cosa pensano e come si comporteranno, rispetto ad una questione così rilevante, quelli che delegano. A meno che non si punti ad una composizione del un gruppo dirigente in contrasto con la volontà della maggioranza del proprio popolo.

Pur tuttavia alla resa dei conti i sostenitori di Landini fra i delegati fin qui eletti sono una maggioranza ampia. Ma il soccorso Colla e i suoi se lo aspettano dal congresso dei pensionati. Francamente non mi sembrerebbe un gran segnale di rinnovamento mettere nelle mani dei pensionati, con tutto il rispetto dovuto a questa categoria, la scelta del segretario generale della Cgilo. Confermerebbe l’immagine interessata diffusa dai media e da gran parte della politica di una Cgil vecchia, con la testa e le risorse che le derivano dal passato più che di un sindacato capace di fare i conti col mondo che cambia.
Nella sua conferenza stampa successiva all’autocandidatura Colla esplicita alcuni punti di differente sensibilità nella interpretazione del documento congressuale unitario rispetto a Landini. Difficile cogliere sostanziali differenze, se non una preoccupante accentuazione rispetto alla priorità delle grandi infrastrutture, Tav compresa, e degli investimenti nella filiera energetica per rendere anche per questa via più competitive le nostre imprese. Con un’idea di sviluppo e di crescita nei parametri tradizionali, quelli che stanno portando il modo sulla soglia del disastro ecologico. Mi pare l’argomentazione di Colla anche un passo indietro rispetto al documento unitario e al Piano per il lavoro, che vedeva nella puntuale manutenzione del territorio, nel risparmio energetico, nell’incremento delle energie rinnovabili, la strada maestra per creare buona e stabile occupazione. Capace di durare perché fa durare il mondo, contrastando il disastro ambientale verso cui ci avviamo.

Infine un’ultima considerazione. Chi ha partecipato di questi tempi alle manifestazioni delle donne, degli studenti, dei riders e dei giovani ricercatori precari, delle associazioni dei migranti e di quelle che i migranti concretamente li aiutano e li sostengono, laiche e cattoliche, contro gli orrori del governo giallo verde, ha sentito assieme alla grande determinazione nella difesa dei valori costituzionali messi in discussione, una voglia grande di una dimensione più ampia, che sappia fare sintesi della insoddisfazione crescente per lo stato del nostro paese. E un po’ di rabbia verso la sinistra politica, sempre più impegnata a discutere del proprio ombelico.

Il Congresso della Cgil, i contenuti del documento congressuale unitario, la scelta di Landini come segretario generale, ha suscitato fra loro, spesso lontani dalla Cgil, una qualche speranza che una nuova e più avanzata fase di lotta fosse possibile. Con la Cgil e con il rilancio dell’unità sindacale. Il mio timore è che la candidatura di Colla, e il modo in cui è avvenuta, faccia percepire la stessa vicenda della Cgil nei termini disillusi e disincantati con cui si guarda il dibattito a sinistra. Chiuso nei personalismi e nei recinti autoreferenziali.

L’augurio è che il Congresso della Cgil sappia sfatare questa brutta impressione.

 

 

 

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dal blog del Circolo de "il Manifesto" di Bologna. Articolo dell'avv. Sergio Palombarini

Il decreto legge 113 del 4 ottobre 2018, detto anche decreto Salvini, convertito nella legge n. 132 del 1 dicembre scorso, tra le tante misure che ha introdotto in materia di sicurezza ed immigrazione, ha modificato anche il decreto legislativo n. 142 del 2015. All’art. 13 “Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica” si prevede che:

  1. Al decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) all’articolo 4:
    1) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.»;
    2) dopo il comma 1, è inserito il seguente:
    «1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.»;
    b) all’articolo 5:
    1) il comma 3 è sostituito dal seguente:
    «3. L’accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2.»;
    2) al comma 4, le parole «un luogo di residenza» sono sostituite dalle seguenti: «un luogo di domicilio»;
    c) l’articolo 5-bis è abrogato.

Dunque la riforma interviene anche sul decreto legislativo che regola l’accoglienza e la vita dei richiedenti asilo in Italia, tra le altre cose sul piano della iscrizione anagrafica. Da una parte si introduce una norma che nega la possibilità di ottenere la residenza sul territorio italiano, dall’altra si abroga quella che fino ad oggi aveva invece regolamentato questo diritto.

Il motivo di tali modifiche appare subito chiaro: la volontà di impedire un radicamento regolare e naturale a chi chiede protezione in Italia. Anche se forse si potrebbe dire di più, ossia che la riforma su questo punto più che in altri sembra un vero e proprio dispetto, una autentica cattiveria. Si consente di permanere ma si preclude l’accesso agli strumenti che rendono più agevole e sicuro il vivere quotidiano, complicando o impedendo l’accesso ai servizi pubblici.

Dopo aver ipocritamente urlato che non si vuol più vedere ragazzi stranieri “che ciondolano per la strada facendo l’elemosina”. Ma a veder bene vi è ancora di più. L’anagrafe è il registro (anche etimologicamente) degli abitanti di un determinato territorio. Serve a tener conto di chi abita e di chi non abita più in una città. E questo prima di tutto per fondamentali esigenze della stessa Pubblica Amministrazione, che per il buon governo del territorio deve sapere chi abita dove, chi si sposta, come sono composte le famiglie, ecc.

Ciò come detto per motivi amministrativi e di governo della cosa pubblica, e quindi anche, ed è molto importante, per motivi di sicurezza. Sicurezza che evidentemente in realtà non interessa poi più di tanto: la cosa più importante anche in questo caso è far vedere che si è fermi ed impietosi, ma con i più deboli.

http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2018/12/decreto-salvini-quando-lo-stato-per-discriminare-arriva-a-farsi-danno/

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Invito accettato da Fim e Uilm per gennaio. Al congresso della Fiom-Cgil standing ovation per Maurizio Landini, candidato alla segreteria della Cgil.

«Una grande manifestazione nazionale per dare valore e centralità al lavoro industriale». La proposta di Francesca Re David viene subito accettata da Fim e Uilm e sarà preparata unitariamente a gennaio. È il cuore della relazione che ha aperto il 27esimo congresso della Fiom in quel di Riccione chiusa con la – scontata – standing ovation, quella riservata alla citazione di «Maurizio Landini». «L’ho fatta alla fine perché lo sapevo», rivela Re David. Le 28 pagine sono state però piene di un’analisi approfondita e spietata della trasformazione del lavoro e ugualmente piena di proposte innovative e di parole chiare sulle questioni politiche, sindacali e riguardo al congresso della Cgil, sullo sfondo di un palco grande su cui campeggia la parola «uguaglianza» su cui sventola e si muove una piccola bandiera rossa.

«I nostri avversari di oggi sono ingiustizie e frammentazioni – comincia Re David – Per ricostruire la coalizione delle lavoratrici e dei lavoratori» servono «un’idea politica del mondo, democrazia e un’indipendenza che non significa indifferenza». Nella «crisi che è diventata un elemento strutturale, il lavoro è sempre più diviso ma il suo controllo è sempre più centralizzato». Nelle «catene degli appalti dove lavorano 400mila metalmeccanici c’è un problema di conoscenza e di organizzare la conoscenza». Al tempo degli algoritmi «l’idea che il lavoro umano è destinato a scomparire come la fabbrica è una grande bugia». «Per dare rappresentanza collettiva ad un mondo parcellizzato serve un sindacato confederale, capacità di costruire una coalizione tra lavoratori per fare sintesi dando più forza alla rappresentanza». Qui arriva la proposta: «I delegati dei luoghi di lavoro siano sopra il 50 per cento nel comitato Centrale da convocare di norma ogni mese».

La continuità sindacale e politica tra le parole di Francesca e la linea che Landini ha tracciato nella Fiom e ora nella Cgil si trova ricostruendo la storia della confederazione in questi ultimi tre anni: la vittoria in Corte Costituzionale contro Fca, la Carta dei diritti e i referendum contro il Jobs act hanno spostato l’asse della Cgil verso sinistra. Ora «davanti ad un governo M5s-Lega («votati da molti dei nostri») che hanno puntato tutto sul disagio sociale ma governano con un contratto privatistico in cui il confronto è quasi impossibile« serve «ancora più autonomia e indipendenza», anche «perché la legge di bilancio sta deludendo gran parte di chi li aveva appoggiati». «E se Di Maio ha festeggiato l’accordo Ilva con Mittal sottolineando che rimaneva l’articolo 18 – che invece ci spiegavano impediva alle aziende di investire in Italia – ora sia conseguente e lo ridia a tutti».

Toltatasi qualche sassolino dalle scarpe («eravamo in piazza coi No Tav a Torino come sempre perché crediamo nella democrazia e in un diverso modello di sviluppo»), («il welfare aziendale nel nostro contratto lo criticano ma lo abbiamo esteso a tutti i lavoratori – 1,6 milioni – e a 21 Ausl pubbliche e puntiamo a finanziare la sanità pubblica»), Re David è passata ai temi più delicati a partire dalla differenza fra il contratto nazionale unitario e quello Fca che si prevede ancora separato: «Il primo lo hanno votato i lavoratori, il secondo no, anche se gli interlocutori hanno sensibilità diverse». Nell’ex Fiat «lo scambio diritti-lavoro era un ricatto, ora si è rivelato una grande illusione». Se il contratto dei metalmeccanici «ha salvato il contratto nazionale» e permette di dare un contratto a due milioni e mezzo di persone, sul welfare aziendale serve «una discussione confederale», mentre «la riduzione d’orario oggi è ancora più necessaria».

Alla fine è arrivata la citazione di «Maurizio» come prossimo segretario confederale, «indicato da Susanna Camusso che ha spostato in avanti lo sguardo come solo le donne sanno fare»: «È una proposta in grado di parlare fuori e dentro la Cgil, unendo la discussione sul documento congressuale votato dal 98% da quella sul gruppo dirigente».«Maurizio sa che da segretario confederale troverà la Fiom che conosce, confederale e dialettica». La proposta della manifestazione viene accolta negli interventi di Marco Bentivogli (Fim Cisl) e di Rocco Palombella (Uilm), applaudito quando dice: «Se Maurizio diventa segretario Cgil non può che farmi piacere».

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I sociologi francesi già si lagnano della mancanza di un libro teorico scritto da uno dei gilet jaunes. I politici, da Le Pen a Mélenchon, dichiarano invece di avere nei loro programmi le rivendicazioni dei dimostranti,ma i loro cappelli insidiosi vanno stretti a quelle teste calde. I vecchi nouveaux philosophes, poi, masticano amaro. Tutta l’intelligenza francese si sente spiazzata.

Nostalgia di Sartre? Eppure, a ben vedere, dentro quel movimento ci sono anarchici, gente di estrema sinistra, fascisti, che però non amano le vecchie bandiere, prediligendo non i vecchi gilè dei nostri piccoli borghesi di una volta, ma quelli gialli in dotazione nelle loro macchine. E protestano a partire non a caso dall’aumento delle tasse sul carburante, fottendosene della svolta ecologica di Macron, immaginata a spese loro. D’altro canto i nostri grillini credono che con i loro Vaffa abbiano preceduto la protesta francese. Gongolano quando dichiarano che qui da noi i gilet, per fortuna, sono al potere. Ed è tutto merito loro se non ci sono più proteste violente. Le hanno inglobate, intesi? Sono molti a credere, dandosi buona coscienza, che i casseurs che hanno preso di mira le vetrine delle banche, dove hanno prelevato i bancomat, la minoranza più violenta, siano fascisti. La confusione è totale quando i gilet hanno respinto il tardivo incontro con Macron, ritenendo che nessuno possa, approfittando, parlare a loro nome. La novità sembrerebbe essere questa, anche se i precedenti ci sono, antichi e moderni. Ricordate i luddisti e i casseurs delle fabbriche e delle periferie? Per capirci qualcosa credo che bisogna tornare ai nuovi bisogni primari, alla nuova misère da abbattere. Che avvolge non soltanto le grandi periferie di Parigi.

La nuova povertà non assomiglia in nulla alla vecchia, quella per intenderci dei nostri anni Cinquanta, che i letterati dipingevano con un velo di poesia struggente. La vecchia fame commuoveva chi del proletariato aveva fatto un mito. Il costo della vita odierna è altissimo e non tutti arrivano, come si dice, «a fine mese».

A me ha colpito una donna che intervistata da una radio francese, ha confessato di percepire uno stipendio di soli mille e duecento euro al mese, di vivere in affitto lontano da Parigi. Per raggiungere il posto di lavoro con la sua bagnole, spende sui quattrocento euro mensili. Che fare? Indossa il gilet perché semplicemente non ce la fa più e la tassa sul carburante le ha aperto gli occhi definitivamente.

I fascisti, la sinistra, Macron? Sono stati scupolati dall’evidenza di questa nuova miseria. È una protesta popolare senza bandiere perché non vogliono essere «rappresentati» da nessuno. Non a caso tutto è nato sui social. È forse la «moltitudine» teorizzata forbitamente dal comunista Toni Negri? O assomiglia alla gioventù di «Lotta continua»? Neanche per sogno, anche se è qualcosa che ha molto a che fare con la globalizzazione del mercato che ha rivelato quella dei nuovi bisogni primari.

Certo il giovane Marx avrebbe scritto pagine di fuoco, avvolgenti, su questa protesta, anche se il suo Manifesto del comunismo non avrebbe avuto il successo di allora. Il re è nudo, signori, anche se molti pensano che sia una fiammata che presto si spegnerà. Non si spegneranno i nuovi bisogni di un popolo che non riesce a vivere non tanto al livello pur basso del ceto medio ma nemmeno nella povertà atrocemente alimentare di quello che una volta certi politici chiamavano «popolo bue».

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