VERSO IL VOTO. Le forze minori rinuncino unilateralmente alla presenza nei collegi uninominali e chiedano, senza contropartite politiche, esclusivamente l’apparentamento col Pd
Il futuro della nostra Costituzione dipende dai risultati che si otterranno nei collegi maggioritari. Infatti, per quanto la coalizione di centro-destra possa avere successo nella quota proporzionale non raggiungerà mai la maggioranza assoluta necessaria per modificare il testo costituzionale. Sarà la conquista di gran parte dei seggi assegnati uninominalmente che trascinerà la coalizione ben oltre tale soglia avendo come obiettivo quella dei due terzi dei componenti le assemblee. Un esito da scongiurare.
Un tale traguardo permetterebbe al trio Meloni-Salvini-Berlusconi di modificare a loro piacimento la Costituzione senza neppure il rischio di essere smentiti da un referendum oppositivo. Metteremmo dunque nelle loro mani il futuro dei nostri diritti fondamentali e le sorti della democrazia parlamentare.
Un tale scenario da incubo ha buone possibilità di realizzarsi per una ragione comprensibile a tutti. In ciascun collegio maggioritario troveremo un solo candidato di centrodestra (scelto in base ad un preventivo accordo politico, in rappresentanza dell’intero schieramento) e una pletora di altri candidati in lotta tra loro, ciascuno collegato alle singole forze politiche che si presentano alle elezioni.
In assenza di un accordo anche il più piccolo raggruppamento dovrà presentare sia liste bloccate nella quota proporzionale nella speranza di ottenere una rappresentanza, sia candidati immagine nella quota maggioritaria ben sapendo di non avere nessuna possibilità di ottenere più voti delle coalizioni o dei partiti maggiori. Visto il fallimento del “campo largo” e i reciproci veti tra le forze politiche la prospettiva è quella di un’inutile competizione tutta giocata a favore del centro-destra.
Proprio per evitare questa débâcle Antonio Floridia sul manifesto ha proposto un accordo “tecnico” tra tutte le forze contrarie alla coalizione di centro-destra. Poiché la questione è evidentemente decisiva, mi permetto di suggerire una via “politica” per conseguire tale risultato (quello di evitare di consegnare il futuro della nostra Costituzione al trio di cui sopra).
Le forze minori, che non hanno nessuna possibilità di conquistare il seggio maggioritario, rinuncino unilateralmente alla presentazione di loro candidati nei collegi uninominali e chiedano, senza contropartite politiche (ma fatta salva la clausola di cui diremo), esclusivamente l’apparentamento con il Partito democratico, che nella situazione data rappresenta l’unico che a livello nazionale può competere per la conquista nei colleghi maggioritari. Si preserverebbe l’autonomia di ciascuno e si eviterebbero di formare coalizioni politiche confuse, tenute assieme solo per ragioni di convenienza elettorale.
I vantaggi sarebbero diversi. Non solo per il partito democratico che si troverebbe unico competitor per la conquista di ben un terzo dei seggi, ma, a ben vedere, anche per le altre forze minori, che vedrebbero venir meno l’argomento spesso decisivo e per loro assai penalizzante del voto utile. Almeno nella parte proporzionale, la scelta a favore di una lista presentata da forze di minoranza non favorirà il centro-destra nella distribuzione dei collegati seggi maggioritari.
L’apparentamento potrebbe portare con se altre due effetti collaterali. Anzitutto permetterebbe all’elettore che non si sentisse rappresentato da nessuna forza politica, ma solo contrario al centro-destra di esprimere la preferenza per il solo candidato al collegio uninominale. In tal caso, in base alle alchimie della legge attualmente in vigore, il suo voto, oltre che al candidato uninominale, verrebbe anche redistribuito proporzionalmente tra le liste apparentate. Con beneficio indiretto per tutti.
Il secondo possibile effetto indiretto è del tutto ipotetico, ma non può essere escluso. Il maggior beneficiato da questo sistema sarebbe certamente il partito di maggioranza relativa che si troverebbe in via di fatto e senza alcun vincolo politico-programmatico a godere indirettamente per la quota maggioritaria dei voti delle diverse forze politiche espressi nella parte proporzionale.
Non vi sarebbe nessun obbligo, ma dovrebbe essere politicamente saggio ed anche elettoralmente opportuno scegliere per questi collegi candidati espressione della società civile, riservando le candidature più schierate alla competizione che si svolge nella quota proporzionale. Se ne potrebbe avvantaggiare la qualità della rappresentanza.
Se la ragione politica fondamentale di un simile escamotage (perché – ahimè – di questo si tratta) è quella di mettere in sicurezza la Costituzione, un’unica clausola inderogabile dovrebbe essere richiesta a tutti i contraenti ed in particolare al Pd, che ne sarebbe il beneficiario per la quota maggioritaria. Quella di impegnarsi nella difesa e nel rilancio dei principi costituzionali: l’attuazione costituzionale come programma comune minimo di tutte le forze di un nuovo diversificato arco costituzionale.
Il massimo del risultato possibile nelle condizioni date. Una posta che penso valga la rinuncia alla presentazione di candidati di bandiera, preservando le diverse identità di ciascuno. Nella situazione difficile nella quale ci troviamo, con una legge elettorale che non si è voluta modificare e che appare costruita per far vincere il centro-destra, ci vuole un po’ di coraggio per cercare di evitare il peggio. Ci vuole anche un po’ di generosità da parte di chi non ha la forza (di conquistare i collegi maggioritari), ma ha la consapevolezza del valore della difesa della Costituzione.
Commenta (0 Commenti)Il primo grave errore commesso in questa crisi è che i partiti, in particolare quelli che avrebbero avuto interesse a farlo, non hanno capito pienamente l’importanza dell’approvazione in tempo utile di una nuova legge elettorale. Ora è troppo tardi. Hanno rinviato, perso tempo. Eppure, più volte negli anni scorsi si è rischiato di chiudere la legislatura anticipatamente, ma questo preavviso non è stato sufficiente. Ne è prova che ancora pochi mesi fa si è dedicata tutta l’attenzione alla modifica delle circoscrizioni del Senato che, per quanto importanti, non potrebbero risolvere il nodo di fondo e cioè avviare la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra cittadini-elettori ed eletti. Eppure, l’allarme astensione ha ormai raggiunto livelli di guardia, segnalando una frattura tra corpo elettorale e rappresentanza parlamentare, la cui offerta e credibilità politica è in evidente caduta. Questo è un problema centrale del funzionamento della democrazia. Per di più dalla soluzione di questo problema dipendono le politiche che verranno adottate.
Certo c’è chi si consola affermando che la crescita dell’astensione non è solo un problema italiano. Vero, ma è solo la conferma che la crisi della democrazia non riguarda solo l’Italia e rende stucchevole la propaganda che contrabbanda lo scontro in atto nel mondo come un confronto tra democrazia e autoritarismi. Come minimo andrebbe aggiunto che le democrazie sono in crisi e non tutti gli “amici” che trovano sono campioni di democrazia. Una parte ha coltivato fino allo scioglimento delle camere la convinzione che un sistema maggioritario sia migliore per mettere l’accento sul governare, sottovalutando che da venti anni questo sistema ha fallito in Italia, nelle diverse versioni, tanto è vero che sono andati in crisi sia le maggioranze di centro destra che di centro sinistra, confermando che maggioranze raccogliticce, motivate solo dalla conquista del potere, sono fragili ed esposte a paralisi e crisi premature. Anche nella versione francese, che tanti prendono a modello, è ormai dimostrato che la crisi dei valori e delle idee-forza porta a serie difficoltà anche un sistema istituzionale ed elettorale ipermaggioritario.
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale aveva incontrato Enrico Letta, allora fresco di nomina, proprio per esporgli la ferma convinzione che una nuova legge elettorale proporzionale era indispensabile per iniziare a rispondere alla crisi della rappresentanza, che della democrazia è un punto decisivo. Quella attuale è una legge elettorale palesemente incostituzionale per diversi aspetti, i più rilevanti certamente il voto unico (coatto) per uninominale e proporzionale e la differenza abissale di rappresentanza tra aree diverse del paese. Il risultato purtroppo è sotto gli occhi di tutti, si voterà con una legge sbagliata e incostituzionale. A questo punto occorre gestire una ulteriore difficoltà e non sarà facile. La legge elettorale in vigore, non a caso difesa a spada tratta dalla destra, privilegia per più aspetti le coalizioni. Il miraggio è ottenere la maggioranza parlamentare ad ogni costo. Eppure, Berlusconi ha già dovuto gettare la spugna di governo nel 2011 pur avendo 100 deputati e 50 senatori in più dell’opposizione e non è detto che questa volta vada meglio perché il paese è di fronte a problemi di fondo.
Per essere chiari: in gioco c’è il futuro dell’Italia, della sua qualità sociale, dell’Europa, della pace.
Non si può affrontare la campagna elettorale con il torcicollo, cioè mettendo al centro il passato, a partire dal governo Draghi. Bisogna mettere al centro le scelte necessarie per il futuro. Il sostegno al governo Draghi è finito con lo scioglimento delle Camere, dopo resta solo la richiesta di Mattarella ai partiti di mantenere comportamenti responsabili durante la campagna elettorale. Questo consente di aprire una fase in cui anziché limitare le proprie scelte ai confini di Draghi si può e si deve andare oltre per dispiegare un punto di vista originale, di sinistra sulle crisi e le soluzioni da adottare. Certo, una legge elettorale proporzionale avrebbe favorito la possibilità per i partiti di esporre i propri punti di vista, per distinguersi dagli altri. Il problema della formazione di una nuova maggioranza per governare, le mediazioni programmatiche sono un problema per il dopo voto, non prima. Anche per questo fare affermazioni apodittiche del tipo mai con chi ha causato la crisi del governo è un errore. Per di più la legge elettorale in vigore rende conveniente creare alleanze che possono essere di tipo differente, da occasionali a strategiche, prima di decidere scelte avventate bisognerebbe almeno fare i conti.
Un punto chiave è certamente la crisi del M5Stelle, che è partito dal 33% degli eletti del 2018 per arrivare alle valutazioni attuali che lo vedono attorno ad un terzo. È una dimensione elettorale che rappresentava la crisi di credibilità della rappresentanza di 5 anni fa e oggi paga il prezzo di avere fallito, ma l’humus di protesta da cui ha tratto forza è sparito o resta un’area in cerca di una rappresentanza? Può diventare astensione ulteriore ma non sono azzerati il disagio, la critica, la protesta. La democrazia è anche portare dentro il meccanismo decisionale aree che sono critiche o contro. Quindi, a parte la decisione frettolosa del mai con chi ha contribuito a fare cadere il governo Draghi, resta il problema di fondo dei problemi che il M5 Stelle ha cercato di rappresentare. Si pensa di cancellare questo problema? Possibile che a sinistra non ci sia almeno qualcosa, lavoro, diritti che il governo Draghi non ha voluto o saputo affrontare, al di là della disponibilità a incontrare i sindacati nella fase finale? Possibile che non si comprenda che la gestione Cingolani, con il consenso di Draghi, della politica ambientale ed energetica in particolare ha puntato tutte le carte sulle fonti fossili a partire dal gas e trascurato l’esigenza di approvare misure straordinarie per le energie da fonti rinnovabili, a partire da eolico e fotovoltaico, e idrogeno verde come ha deciso la Germania? Il risultato è che non ci sono garanzie sufficienti che l’Italia sia effettivamente al riparo dalla crisi del gas e soprattutto che rischiamo di rimanerci legati molto più dei tempi indispensabili per realizzare gli investimenti. Parole tante, anche a sproposito sul “nuovo” nucleare, fatti pochini e tanti problemi irrisolti o rinviati.
Il PNRR, stella polare del futuro dell’Italia, è tuttora in una fase di incertezza. Gran parte dei consensi di amministratori locali derivano dalle promesse di investimenti, ma nessuno oggi è in grado di offrire un quadro d’insieme di come gli investimenti stanno procedendo, tranne le grandi aziende che hanno in mano investimenti decisivi, ad esempio i collegamenti ferroviari.
L’elenco dei problemi su cui la sinistra dovrebbe distinguersi sono molti, non solo i sacrosanti Ius Scholae e cannabis, ma ad esempio il fisco, risolto malissimo con un doppio binario: progressività per i redditi da lavoro e da pensione e proporzionalità con aliquota unica bassa per redditi finanziari, da capitali, da immobili. Anche la discussione sul cuneo fiscale non aveva ancora sciolto il nodo se riguardava i lavoratori o i padroni. Oppure l’occhiolino strizzato da Draghi alle regioni iperautonomiste nel discorso al Senato malgrado il ben magro risultato delle regioni in occasione della gestione della pandemia, che peraltro sta tornando.
Il tema che giustifica da solo l’essere di sinistra è la crescente disuguaglianza sociale. Una parte della società è relegata ai margini, in una condizione di povertà (6 milioni) di diritto allo studio negato (abbandono scolastico tuttora alto, oltre il 13%), di reddito eroso con violenza dall’aumento dell’inflazione, di occupazione e diritti negati.
Questi ed altri punti spingono a distinguere un accordo di governo, necessariamente di fase, da una strategia politica. Altrimenti le scelte politiche sono paradossalmente autoridotte a pura tattica, a gestione dell’esistente.
Per questo occorre un’iniziativa che porti in campagna elettorale proposte politiche di futuro. Anche sulla guerra in Ucraina c’è bisogno di qualcosa di più e di diverso da una subalternità agli Usa, dalla mera continuità dell’invio di armi, per affermare con forza la priorità delle trattative per la pace che l’accordo per il grano ucraino dimostra sono possibili. L’accento va posto sul rilancio della coesistenza tra sistemi diversi, su regole in grado di garantire sovranità senza affidare la soluzione alle armi, sul rilancio della riduzione bilanciata e controllata degli armamenti nucleari, su una valorizzazione del ruolo dell’ONU. Solo grandi speranze motivano scelte controcorrente.
L’Italia e l’Europa debbono svolgere un ruolo attivo, non subalterno, per garantire che un mondo multilaterale come quello attuale possa sviluppare confronto e coesistenza.
Il Pd ha una grande responsabilità per il ruolo che ha, le sinistre debbono superare divisioni e polemiche, altri soggetti possono entrare in campo e anche un M5Stelle legato a un rinnovamento sociale e di pace importante può aiutare un percorso.
I condizionamenti sono già in campo: gli aiuti europei legati a comportamenti precisi proprio mentre è evidente che l’inflazione è stata sottovalutata e affrontata senza interventi organici, rincorrendo gli aumenti dei profitti sui combustibili fossili per trovare qualche spazio di contenimento degli effetti. La campagna elettorale sarà condizionata da incubi di varia natura e da punti di crisi, per evitare che l’influenza di questo prevalga e allontani dal voto occorre far tornare in campo la società e le sinistre con programmi e proposte coraggiose, meglio se unitarie.
Parlare di Agenda Draghi come piattaforma di riferimento vuol dire dimenticare che nella maggioranza e nell’azione di governo era presente anche il peso della Lega e di Forza Italia che fino a prova contraria stanno a destra, perfino più a destra del passato, come confermano le uscite di ministri da Forza Italia. Il complesso della guardia svizzera, fedele al papa di turno, non farebbe bene al Pd, mentre la destra sta già lavorando senza vincoli e remore. Spiegare l’agenda Draghi e le ragioni dei suoi limiti è un principio di verità. Indicare con chiarezza le proprie diversità è un ricostituente per la sinistra, con la quale c’entrano ben poco i trasversalismi e gli opportunismi di Italia Viva ed altri, costretti a trovare una colla per restare nell’ambito del potere.
Solo una piattaforma chiara e forte che guarda ai prossimi 5 anni può rendere possibile affrontare questa campagna elettorale breve quanto difficile e trovare gli elementi di saldatura per stare (purtroppo ormai non si può fare altro) in questo sistema elettorale senza farsi stravolgere dal passato e travolgere dalla destra, che non è affatto invincibile ma di cui non basterà evocare il pericolo per ottenere i voti necessari per sconfiggerla.
Alfiero Grandi
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«Siamo pronti a dialogare con tutti per sconfiggere la destra sulla base di una piattaforma politica. Anche con i 5S»: il leader di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, lo ha spiegato alla festa del partito.
Come affronta Si il voto a settembre?
Confermiamo la nostra alleanza con Europa verde, un punto fermo che nasce da una convinzione: giustizia sociale e giustizia ambientale camminano assieme e sono le sfide del tempo nostro. Da qui partiamo e a questo stiamo. Abbiamo lanciato la proposta molto prima che tutto precipitasse nella convinzione che si tratta di un piano politico immediatamente comprensibile e coerente.
Per il Pd il campo largo è morto.
Attenzione, dall’altra parte c’è uno schieramento pericoloso: c’è la destra post fascista di Meloni, la destra xenofoba di Salvini, iperliberista. Vuole la flat tax, cioè togliere a chi ha poco per dare a chi ha molto, vuole smantellare i servizi pubblici e svendere i beni comuni. Una destra amica di Trump che sosteneva che se si alza il livello degli oceani avremo più case vista mare, come un ubriacone qualsiasi. La destra che vuole trivellare tutto il territorio, amica della sanità privata, che vuole svendere la scuola pubblica, che sul piano dei diritti civili annuncia una stagione cupa. Salvini è già tornato a rilanciare i porti chiusi. Una destra che stravince può cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza. Serve responsabilità: facciamo tutti i conti con quello che abbiamo difronte, a partire da Conte e Letta. Mettiamo insieme le forze per opporci all’urto della destra.
Come costruire il dialogo visto lo scontro in atto tra Pd e 5S?
Serve un programma in grado di mettere al centro i temi a fondamento dell’alleanza di Si con Europa Verde: misure di contrasto a diseguaglianze e povertà, aumento dei salari, risollevare le condizioni materiali della maggioranza dei cittadini impoveriti in decenni di crisi. E poi politiche che assumano il tema della transizione ecologica intrecciata alla questione sociale: se per fare l’auto elettrica, ad esempio, serve meno manodopera allora ridiscutiamo della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Non mi aspetto che le mie proposte debbano essere alla base del programma così come sono, mi interessa la lettura condivisa dei problemi del paese.
Pd, 5S, centristi, sinistra rosso verde: un puzzle di difficile composizione, soprattutto se dem e centristi insistono sull’agenda Draghi.
Col Pd abbiamo un’interlocuzione che va avanti da tempo. Su molte questioni abbiamo elementi di convergenza con i 5S. Non serve costruire una proposta per l’Italia attorno a una fantomatica agenda Draghi di cui fatico a riconoscere persino i contorni, non so cosa sia come terreno di costruzione di una proposta politica. Lo dico senza polemica. L’ultimo governo, per ammissione di chi l’ha fatto nascere – Pd, 5S e destra mentre Si era all’opposizione (e su questo non prendiamo lezioni di coerenza da nessuno, neppure dai pentastellati) – si è determinato come un’eccezione a tempo e con un mandato limitato, con dentro un parte molto significativa della destra. Ora è finito e non commento modalità, gestione e passaggi. Osservo però che la destra, che nella legislatura ha avuto assetti assai articolati (FdI sempre all’opposizione; Fi con Draghi; la Lega con 5S e poi Draghi), ha cominciato subito a discutere su come riprendersi il paese. In campo c’è la proposta di destra, qual è l’alternativa? Mi aspetto di discutere di questo. Quando in Europa si formano governo avanzati, in Italia si plaude. Ma quando tocca a noi lavorare a un sistema di alleanza capace di contendere il governo, si fanno passi indietro. Perché non si può fare come in Spagna, dove governa una coalizione che è l’equivalente di Pd-M5S-Si/Europa Verde?
È possibile un’alleanza con i centristi?
Se il tema è l’agenda Draghi con Renzi e Calenda, che in questi mesi sul merito delle questioni spesso e volentieri hanno assunto posizioni che stanno dall’altra parte, è un progetto che non funziona. Ci sono due schemi possibili, uno è l’opzione Cln: difronte a una destra così aggressiva, tutti rinuncino a qualcosa per costruire una prospettiva democratica su poche e chiare questioni. Ma guardando agli ultimi mesi, ad esempio a Calenda che è il campione dei veti oltre che il campione del nucleare, e come lui altri, non mi pare praticabile. Se non è questo, allora ci vuole uno schema con proposte politiche. Per questo dico ancora una volta a tutti, e innanzitutto a Letta e Conte, che uno sforzo va intrapreso per costruire un quadro di alleanze utile al paese. Se non dovesse succedere, Sinistra italiana ed Europa Verde sono comunque pronti con una piattaforma chiara e coerente.
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VERSO IL VOTO. Non un “campo largo”, oramai affossato, ma un accordo “tecnico”, quanto più ampio possibile. La questione riguarda tutti, comprese tutte le liste a sinistra del Pd
Seggio elettorali - Aleandro Biagianti
Dunque, la situazione è precipitata: e si va al voto con l’attuale, nefasta legge elettorale. E a breve, tutti saranno impegnati a preparare le liste e a costruire le coalizioni. Per questo è opportuno ricordare alcuni “dettagli” di questo sistema elettorale, la legge del Rosatellum, che tanto “tecnici” non sono; anzi, hanno delle forti implicazioni politiche, ed è giusto quindi ricordarli. Quanti si apprestano a compiere le loro scelte strategiche devono attentamente considerarli.
Il Rosatellum, com’è noto, è un sistema “misto”, o meglio sarebbe dire “ibrido”: dopo la riduzione del numero dei parlamentari, ci saranno alla Camera 147 eletti in altrettanti collegi uninominali maggioritari, 8 eletti all’estero, e 245 eletti con il sistema proporzionale (tralasciamo qui il Senato, ma con numeri diversi, il rapporto è questo).
Un aspetto cruciale è legato alle forme di espressione del voto, un voto unico, e strettamente “vincolato” (ricordiamolo bene, il voto “disgiunto” annulla la scheda): se si vota una lista, si vota necessariamente anche il candidato uninominale collegato (che una lista deve sempre indicare); se si vota solo il candidato uninominale, questi voti “esclusivi” vengono comunque redistribuiti proporzionalmente tra le liste di sostegno.
Non occorrono raffinate simulazioni per comprendere un semplice dato di fatto: se una coalizione ottiene il 40-45% dei voti, e lo fa in maniera abbastanza omogenea in tutto il territorio nazionale, e se, dall’altra parte, i suoi contendenti sono divisi tra due o tre coalizioni e alcune liste “isolate”, è del tutto evidente che la coalizione vincente conquisterebbe gran parte dei 147 seggi uninominali e poi una percentuale dei seggi proporzionali analoga alla percentuale dei voti ottenuti. In tal modo, ecco il punto, potrebbe pericolosamente avvicinarsi a quei due/terzi di parlamentari che possono approvare delle modifiche costituzionali, senza possibile ricorso al referendum.
Traduciamo tutto ciò nell’attualità politica: non servono i sondaggi, è evidente che la destra fascio-leghista con l’appendice berlusconiana, per quanto molti stracci siano volati in questi mesi, è compattata dal succulento bottino di seggi che già assapora. E non credo che possa andare sotto al 40% dei voti. Dall’altra parte, al “centro” e a sinistra, si sta profilando un totale sfrangiamento: centristi di varia natura, Pd, M5S, sinistra con il Pd sinistra fuori dal Pd… Insomma la via più certa non solo per una sconfitta, ma per una totale disfatta, che può mettere a rischio la Costituzione.
Si illudono tutti quelli che pensano che aver fatto cadere Draghi penalizzi la destra: la base di consenso della destra italiana, avremmo dovuto oramai capirlo, è radicata profondamente nella cultura e nella storia del nostro paese, ed è un qualcosa che sfugge alla vicende elettorali contingenti (una campagna di pochi giorni, tra agosto e settembre, potrebbe davvero portare a tali sconvolgimenti ? E poi, è sicuro il Pd che l’”agenda Draghi” sia un qualcosa che entusiasmi gli italiani?).
Sembra quindi che ci si avvii, un po’ incoscientemente, verso il baratro. Il gioco del momento è quello di proclamare “mai con questo, mai con quello”, “meglio soli che male accompagnati”, e così via: ma ci si rende conto di dove si va a parare? È evidente che l’unica possibilità, per sperare quanto meno contenere i danni, è quello di costruire, non una “coalizione politica”, ma un “cartello elettorale”, che possa evitare il “cappotto” della destra nei collegi uninominali: potremmo definirla una sorta di “alleanza costituzionale”. È una proposta ingenua o irrealistica? Forse, ma se c’è qualcuno che ha idee migliori si faccia avanti.
Proprio per i caratteri che ho descritto sopra, le “coalizioni” previste dal Rosatellum sono più che altro degli “apparentamenti”, con legami molto deboli, come mostra l’esperienza. E allora, diamo un senso puramente “tecnico” e non politico alla formazione di una coalizione: ogni lista che supera il 3% ha diritto ai propri seggi, e faccia campagna per sé, ma questi voti, sommandosi ad altri, possono concorrere ad evitare che i 147 seggi uninominali siano tutti o quasi vinti dalla destra.
Non un “campo largo” che abbia una base politica, oramai affossato, ma un accordo “tecnico” (che però si fondi su un elemento politico unificante e cruciale: mettere al sicuro la Costituzione), quanto più ampio possibile. La questione riguarda tutti, comprese tutte le liste a sinistra del Pd: i gruppi dirigenti di questi gruppi devono attentamente considerare, tra l’altro, che in questo modo possono sfuggire alla presa del “voto utile”, che non è un ricatto di qualcuno, ma una logica elementare che guida le scelte degli elettori e che li spinge a non sprecare il proprio voto.
Non è tempo di fare gli schizzinosi: servono i voti di tutti, e se qualcuno (a sinistra o al ”centro”) mette “veti” su questo o quello, sarà allora chiaro che farà un gioco “a perdere”, che avvantaggia solo la destra.
Commenta (0 Commenti)SINISTRA. I capitoli di questo nuovo libro non sono tutti scritti, ma molti si: un nuovo modello energetico rinnovabile ed efficiente, acque, suolo e aria beni comuni da tutelare, una nuova mobilità più collettiva e intermodale solo per citarne alcuni.
“Che cosa aspetti amico per capire” si cantava con allegria nel 68. Allora c’era da capire la voglia di cambiare il mondo per renderlo migliore e tanta era la fiducia diriuscire a convincere gli indecisi. Oggi è un appello quasi disperato perché si stenta a capire che il buco nero del cambiamento climatico sta inghiottendo la specie umana, sgretolando le condizioni stesse che le permettono di vivere. L’attesa rischia di essere troppa per fermare i tanti eventi estremi che ci colpiscono, troppa non solo in quel piccolo lembo di terra che è l’Italia, ma nel mondo intero. Qui da noi però la sordità è intrisa di cinismo, oltre che di interessi vergognosi. Cosa ci sia da capire non è tanto complicato se solo si smettesse di mentire chiamando
Leggi tutto: Perché la battaglia ambientalista può unire contro le destre - di Massimo Serafini
Commenta (0 Commenti)L'ATTESO IMPREVISTO. Una normativa cogente degli affari correnti non c’è. Mattarella ricalca il contenuto tipico di tali direttive, come quella adottata da Conte il 26 gennaio 2021
Strana, imprevedibile, folle, irresponsabile, incomprensibile, sconcertante, improvvida. Sono – senza pretesa di completezza – gli aggettivi rivolti alla crisi del governo Draghi. Ma in realtà il copione era scritto da tempo, almeno a partire dalla turbolenta rielezione di Mattarella al Colle. E l’ultimo atto arriva ora con lo scioglimento delle Camere disposto dal capo dello Stato, e con il voto – a quanto si dice – il 25 settembre.
Il documento in nove punti presentato da M5S ha determinato un piano inclinato sul quale fermare la corsa verso la crisi è stato alla fine impossibile. La diffida ad adempiere consegnata a Draghi non poteva che sollecitare altri partner di maggioranza a presentare le proprie richieste, dai balneari ai tassisti ai cinquanta miliardi nelle tasche degli italiani. La principale chiave di lettura la troviamo allora in queste parole di Draghi in Senato: “Non votare la fiducia a un Governo di cui si fa parte è un gesto politico chiaro … Non è possibile contenerlo, perché
Leggi tutto: La via della crisi torna nell’alveo extraparlamentare - di Massimo Villone
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