INTERVISTA. L’illustratore e attivista Gianluca Costantini a proposito della mostra «La vita possibile», da lui curata e allestita in collaborazione con SOS Méditerranée a bordo del natante
Nell’anno che si è appena concluso, la nave di SOS Méditerranée Ocean Viking ha soccorso più di 2500 migranti, portando a termine 45 operazioni. Durante l’ultima, avvenuta la notte dello scorso 27 dicembre nella zona di ricerca e soccorso maltese, sono state salvate 113 persone; nel giro di poche ore però la nave, destinata a La Spezia secondo quanto indicato dal Centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo, ha ricevuto una seconda comunicazione nella quale si cambiava il porto di approdo e si assegnava come nuova destinazione quello di Ravenna, distante 900 miglia marine dal punto in cui si trovava in quel momento. Ci sono voluti quattro giorni di navigazione per approdare nel porto ravennate e far sbarcare i passeggeri, tra i quali c’erano 3 neonati, uno di appena due settimane, divenuto simbolo di questa vicenda.
A lui, alle sue compagne e compagni di viaggio, a tutti coloro che attraversano il Mediterraneo in cerca di una vita migliore e lontano dagli orrori della Libia, è dedicata la mostra La vita possibile a cura di Gianluca Costantini, allestita in collaborazione con SOS Méditerranée a bordo del natante che mentre leggete queste righe, si trova già in zona Sar libica. L’illustratore e attivista ha risposto alle nostre domande.
Come nasce il progetto della mostra navigante e perché si è scelto il titolo «La vita possibile»?
Quando ho saputo che la Ocean Viking sarebbe approdata a Ravenna, la mia città, ho pensato di poter fare qualcosa di simbolico. Immaginavo che la città sarebbe stata molto accogliente e ho saputo dall’equipaggio che l’organizzazione era stata perfetta e veloce, quindi non ci sarebbero stati problemi con l’attracco e che effettivamente ci sarebbe stato il tempo di pensare a un’iniziativa mirata. Tutto è stato deciso molto velocemente: una mostra sulla nave è stato il primo pensiero. Una mostra che solo l’equipaggio e le persone che vengono soccorse in mare possono vedere, una rassegna navigante che viaggerà nel mare senza un luogo definito, è un pensiero che mi affascina. «La vita possibile« è dedicata ad Abdou il bambino che aveva solo 17 giorni quando è arrivato a Ravenna sperando che per lui ci sia una possibilità di vita diversa, accogliente.
La vicenda incresciosa del cambio di porto ha costretto i passeggeri a bordo a rimanere 4 giorni in mare; la mostra è un modo per festeggiare il loro arrivo a Ravenna?
Sì, è un modo di festeggiare l’arrivo, ma è quasi più importante l’augurio per la nuova partenza, per il nuovo viaggio che la Ocean Viking deve affrontare. Adesso dovrà navigare altri 4 giorni per percorrere tutto l’Adriatico e tornare verso il Mediterraneo, con una spesa e uno spreco di carburante in più. Una decisione di questo governo che sembra voler punire le Ong in mare, senza che si sappia quale sarà la prossima volta il porto di destinazione. Durante l’allestimento sono rimasto tutto il pomeriggio sulla nave e ho visto le dure condizioni in cui vive l’equipaggio, composto da trenta persone, per la maggior parte molto giovani, provenienti da quattordici diversi paesi. Un’esperienza importante per capire la bellezza di questa generazione che aiuta gli altri con grandi sacrifici.
Hai lavorato su materiale fotografico raccolto da SOS Méditerranée durante le operazioni svolte nel 2022?
No, non c’è stato tempo. L’idea ci è venuta il giorno stesso in cui la nave stava arrivando a Ravenna e quindi solo alcuni disegni sono stati fatti in questi giorni. Ho fatto una ricerca nel mio archivio di disegni e storie a fumetti che potessero raccontare il viaggio dei migranti e la loro integrazione spesso negativa e tragica. Ci sono i disegni fatti per ActionAid Italia, altri fatti per altre navi e Ong di soccorso come Mediterranea Saving Humans, Moas (Migrant Offshore Aid Station), Medici Senza Frontiere e Sea-Watch, ma anche una storia realizzata a Pozzallo per Arci. Inoltre ho selezionato il ritratto di Carola Rackete e tante immagini tratte dal mio libro Libia realizzato con Francesca Mannocchi.
Le immagini vogliono essere un messaggio di speranza e di accoglienza per chi sarà soccorso e navigherà sulla Ocean Viking, ma credo che in un certo senso saranno di sostegno anche agli operatori. Che ne pensi?
Il mio pensiero principale è che lo sguardo delle persone soccorse possa incrociarsi con gli sguardi dei disegni; l’obiettivo è quello di portare un po’ di bellezza in ambienti duri come può essere quello della nave. Molti disegni sono stati affissi anche nella piccola mensa e negli alloggi dei marinai, L’arte può sempre essere di sollievo e di stimolo in momenti di grande difficoltà, frequenti nella vita in mare, soprattutto in questo contesto. Il capitano e gli altri ragazzi mi hanno ringraziato moltissimo convinti che con i miei disegni abbia aggiunto un messaggio in più al loro prezioso lavoro.
Ho intravisto tra le illustrazioni anche qualche sequenza a fumetti: le storie hanno uno svolgimento, la loro lettura può accompagnare il viaggio e hanno sicuramente un potere consolatorio. Quali hai scelto? Dove sono allestite?
La storia a fumetti più lunga è tratta dal mio libro Libia è la storia di Wared, una ragazza eritrea che da sola affronta il viaggio attraversando tutta l’Africa verso la Libia, affrontando il deserto a piedi, arrivando a Tripoli dove viene arrestata e schiavizzata dall’Isis e infine poi muore annegata in mare. È una storia molto dura le cui tavole sono infatti state allestite nella zona dove le persone soccorse non possono arrivare, poiché i contenuti scatenerebbero ricordi troppo dolorosi per alcuni di loro, facendoli rivivere esperienze spesso analoghe. Molti disegni sono stati affissi nella zona donne e bambini, altri nella zona uomini, disegni dolci di abbracci e ritratti. Alcuni disegni sono stati messi anche nella piccola zona ospedale tra cui il ritratto di Abdou che è stato situato proprio sulla porta della stanza dell’ostetrica. Sono tutti lavori accomunati dalla volontà di dare un segnale di speranza e di dolcezza che vorrei accompagnasse il viaggio.
Da sempre usi il linguaggio grafico e la narrazione visiva per denunciare la violazione di diritti umani. Cosa ti ha colpito di questa particolare iniziativa?
Anche se sono rimasto a bordo solo per poche ore, è stata una bellissima esperienza; l’entusiasmo dell’equipaggio e la passione con cui mi hanno raccontato e mostrato tutto quello che fanno è stato contagioso e per me si è rivelata già un’occasione importantissima. Ho avuto la sensazione che mi si offrisse una nuova carica creativa per affrontare questo anno che per quanto riguarda i diritti umani in Italia si preannuncia molto duro
SINISTRA. Asor Rosa richiamava tre punti: partito organizzato e non liquido; fine della autoreferenzialità; il lavoro e la sua crisi al centro. Punti validi per la sinistra tutta
L’opera "Lost Horizon I" di Antony Gormley
Nel ricordare la scomparsa di Alberto Asor Rosa, il manifesto ha ripubblicato un suo articolo che del giugno 2010, «Vademecum per il partito che non c’è». Ciò che stupisce, nel rileggerlo, è non solo la lungimiranza, quanto la sua attualità: senza far caso alla data vi sembrerà scritto oggi. Perché, evidentemente, da allora, nel Pd, non è cambiato nulla (e non a caso, forse, le cose sono andate di male in peggio). Ancor più sconfortante è che oggi, quel vademecum, andrebbe scritto per la sinistra tutta, quella che c’è e, soprattutto, quella che non c’è.
Ci sono tre punti che Asor Rosa poneva come bussola per la rotta da seguire: un partito organizzato e «non grillinamente (o berlusconiamente) liquido»; la non più tollerabile autoreferenzialità; il lavoro e la sua crisi – «fattore discriminante per il distino del paese» – al centro (al di là dell’etichetta). Punti ancora centralissimi per un discorso, si badi bene, che non vale solo per il Pd, ma per la sinistra tutta (e già Asor Rosa lo poneva in questi termini).
Sono passati oltre tre mesi dalle elezioni più disastrose della storia repubblicana e la sinistra, come un pugile suonato, continua a girare su se stessa, adagiata sul refrain che ascolta in cuffia, inerte, appena conscia che al governo ora ci sono le destre, quelle vere, più per colpa della sua inanità che per il consenso raccolto nel paese. Nel Pd si è aperto un dibattito che pare più uno psicodramma che una discussione serrata su strategie, politiche, idee di fondo. Nell’altra sinistra si traccheggia: ognuno coltiva il suo orticello, rivendica lotte ed erge
Leggi tutto: Inascoltato vademecum per la sinistra che non c’è - di Pier Giorgio Ardeni
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Francesco Silvestri, capogruppo del M5S alla Camera. il Professor Domenico De Masi vi invita a non regalare il Lazio a Meloni. Vi ricorda che col Pd avete governato bene e vi chiede di non impuntarvi sul termovalorizzatore.
Concordo sul fatto che le nostre assessore nella giunta di Zingaretti, Roberta lombardi e Valentina Corrado abbiano portato un valore aggiunto nel governo della regione, sulla transizione ecologica e sul turismo. Il termovalorizzatore non è un cavillo o un pretesto per separarci dal Pd: non si tratta di una divergenza di veduto su un grande evento come Expo che dura qualche mese e poi finisce; ma di un’opera che durerà almeno per 40 anni. Per noi farla adesso nella Capitale è un grave errore, un messaggio totalmente sbagliato che contraddice totalmente le nostre idee sulla transizione ecologica.
De Masi dice che questo tema non è sufficiente per regalare il Lazio a Meloni.
Per noi è dirimente.
Ma non è di competenza della regione, bensì dl sindaco di Roma Gualtieri.
Del commissario Gualtieri, che è un dirigente di punta del Pd. Noi abbiamo chiesto di fermarsi e ragionare, ci sono soluzioni più moderne sul tema dei rifiuti. Il Pd ha reagito alleandosi con Calenda che è per il nucleare, le trivelle, il carbone. Anzi, Calenda ha indicato il candidato Alessio D’Amato e il Pd si è accodato.
Fare un inceneritore oggi a Roma è un grave errore. Torniamo al tavolo se Gualtieri e D’Amato dicono che sono pronti a ridiscutere quell’opera. Non siamo chiusi a priori
La questione non è chi ha sbagliato di più, ma se nei prossimi giorni c’è tempo per fare una coalizione competitiva. D’Amato ha proposto un ticket alla vostra candidata Donatella Bianchi. Perché non vi sedete almeno a un tavolo?
Non ci interessano le poltrone, proporre ticket è un modo vecchio di fare politica.
Suvvia, il messaggio era chiaro: un ticket vuol dire anche accordarsi sui programmi.
E allora si apra una vera discussione sui programmi, compreso il termovalorizzatore. Gualtieri e D’Amato diano segnali di apertura in questa direzione.
Se voi pretendete che il progetto venga azzerato pare complicato.
Perché no, visto che non è nel piano regionale dei rifiuti e neppure nel programma da sindaco di Gualtieri? Il Pd dia dimostrazione che sono disponibili a ragionare seriamente. In questi anni non ho mai visto il presidente Conte rifiutare un dialogo costruttivo. Se arrivano parole diverse il dialogo si può riaprire.
In Lombardia vi siete alleati.
Questo dimostra che non siamo chiusi a priori. Anche nel Lazio servono confronto e riflessione. Che sono mancati fin da luglio, quando proprio sul termovalorizzatore è iniziata la caduta del governo Draghi.
Un’opera che non c’è ancora ma ha già incenerito il campo largo. E la destra si prepara a vincere ancora.
Ma il modo per batterla non è abbassare il livello della proposta, proporre ai cittadini dei brodini insapori e delle somme di partiti. Negli anni del berlusconismo il centrosinistra ha fatto così e infatti ha quasi sempre perso. Adesso bisogna cambiare registro: se vuoi fare una coalizione credibile bisogna essere chiari sull’ambiente, la transizione ecologica, le diseguaglianze.
Vasto programma. Fatto sta che le vostre due assessore sono ancora al lavoro in regione.
Finora non ho visto un tentativo vero del Pd di riaprire la partita. Appena D’Amato ha fatto un’apertura Calenda l’ha subito redarguito, come a ricordare che è lui a dare le carte. Sinceramente vedo un tentativo di farci apparire come quelli chiusi a priori, che si rifiutano di dialogare, per scaricare su di noi tutte le responsabilità.
Se fate l’accordo col Pd Calenda se ne va da solo.
Il problema non è la persona. Ma che nel Lazio il Pd ha scelto le politiche di Calenda, che sull’ambiente sono uguali a quelle della destra. Se non è così ce lo dimostrino.
RIFORME. Meloni sembra pensare che gli spazi di intervento saranno pochi anche in futuro e quindi ha aperto la campagna per cambiare la Costituzione puntando all’elezione diretta del Presidente della Repubblica
La Presidente del Consiglio, nonché di Fratelli d’Italia e dei Conservatori europei, ha esposto i suoi obiettivi. La legge di bilancio non è un bottino di cui vantarsi. L’aumento del debito, un punto di Pil, serve a prolungare per 3 mesi le misure di Draghi per ridurre il caro energia (gas ed elettricità) ma è sparita la riduzione per i carburanti, quindi l’inflazione salirà. Per coprire il 2023 servono altri 60 miliardi. L’aumento dell’inflazione porterà a maggiori entrate, ma le risorse verranno dalla “tassa” più ingiusta su chi non può difendersi.
In 3 mesi non rientreranno fiammata dei prezzi e rischio penuria dell’energia, tanto più che la guerra in Ucraina non lascia intravvedere la cessazione dei combattimenti.
Il Governo poteva accelerare gli investimenti nelle rinnovabili (fotovoltaico ed eolico) per sostituire le fonti fossili e raggiungere una maggiore autonomia nazionale, ma sono prevalsi gli affari e il vecchio modello. Malgrado Terna confermi che sono richiesti allacci di rinnovabili alla rete per 305 GW. Di queste potenzialità per contrastare il cambiamento climatico stiamo usando briciole.
Si parla solo di ponti, strade, autostrade, infrastrutture varie. Eppure le rinnovabili sono investimenti per il futuro energetico ed ambientale, per occupazione di qualità, mentre trivelle e rigassificatori alludono all’affanno delle forniture di gas a prezzi molto più alti.
Le risorse restanti della legge di bilancio vengono da un attacco frontale al reddito di cittadinanza, dagli extra profitti derivanti dall’energia, solo 2,5 miliardi contro i 10 previsti da Draghi, dalle pensioni ben 17 miliardi in 3 anni per il taglio del recupero dell’inflazione oltre 4 volte il minimo, altri tagli.
Per cosa? Visco ha calcolato che i condoni fiscali costeranno almeno 1,6 miliardi, a cui vanno aggiunti il calcio e le cartelle cancellate fino a 1000 euro. Il condono penale tolto dopo le proteste tornerà perché lo chiedono quanti hanno portato capitali dall’estero infrangendo norme penali.
La flat tax per le partite Iva ha creato un’ingiustizia verso i lavoratori dipendenti – le giustificazioni di Meloni sono ridicole – svelando chi vogliono favorire le destre.
Purtroppo le misure per incentivare assunzioni di giovani sono a favore del Nord in un rapporto 10 a 1. Gli altri interventi sono segnaposto delle destre, con le solite giustificazioni: pochi soldi, tempi stretti, ecc.
Meloni sembra pensare che gli spazi di intervento saranno pochi anche in futuro e quindi ha aperto la campagna per cambiare la Costituzione puntando all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, che se non fosse più un garante come oggi ma il capo della fazione vincente alle elezioni dovrebbe spingere a cambiare mezza Costituzione per costruire i contrappesi istituzionali.
Meloni ha taciuto sull’autonomia regionale differenziata, che nella versione Calderoli spinge alla secessione dei ricchi e alla rottura dell’unità nazionale, delineando 20 scuole regionali, così nella sanità, nel lavoro, nell’ambiente, ecc. Eppure Calderoli si agita molto.
Presidenzialismo e autonomia regionale esasperata vanno in direzioni opposte.
Il Governo delle destre, visti i pochi spazi di manovra, punta sulle modifiche della Costituzione, ma ci sono obiettivi diversi.
I livelli essenziali di prestazione, di cui parla la legge di bilancio, per essere uniformi nel territorio nazionale hanno bisogno di tanti quattrini che Giorgetti non ha. L’alternativa è avere cittadini di serie A, B, C.
Bisogna fermare Calderoli e imporre che le vere decisioni sull’autonomia regionale differenziata le prenda il parlamento.
Oggi si punta ad un accordo tra Governo e Presidenti delle Regioni, relegando il parlamento alla ratifica.
La proposta di legge costituzionale per modificare gli articoli 116 e 117 può aiutare ed essere firmata sul sito www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it.
La modifica sbagliata del titolo V nel 2001 e le successive scelte di Bonaccini hanno aperto un varco che va richiuso.
La Lega teme un rinvio e punta all’autonomia ora, lasciando il presidenzialismo sullo sfondo, Meloni fa il contrario. Le destre non sono unite. Solo la clamorosa assenza di una opposizione efficace non fa esplodere queste contraddizioni.
La Costituzione è il terreno comune su cui ricostruire l’opposizione. Occorre una svolta, gli errori vanno corretti.
Presidenzialismo ed autonomia regionale differenziata deformano la Costituzione, non sono modifiche puntuali e coerenti.
La Costituzione più bella del mondo non esisterebbe più.
Occorre una forte risposta di difesa e attuazione della Costituzione, antifascista
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Dopo gli attacchi russi alla periferia di Bakhmut - foto Ap
«Mi piace la strada su cui ci troviamo: con armi e denaro dall’America, l’Ucraina combatterà la Russia fino all’ultimo uomo». A parlare è stato il senatore repubblicano Usa Linsdey Graham, il quale ha poi ha precisato che la vittoria ucraina sulla Russia è «un reset dell’ordine mondiale che va nel senso giusto».
Arrivati a gennaio, freddo e gelo non hanno rallentato sostanzialmente le ostilità: droni e missili restano più che mai protagonisti, anche se non si registrano sfondamenti del fronte – che assomiglia sempre più al tritacarne evocato dal boss dei mercenari russi, Prigozhin. Nulla oggi lascia pensare che la guerra rallenterà la sua corsa. Mobilitando nuove reclute, mostrandosi pronto a reggere ed imporre un costo insostenibile di vite umane, il Cremlino alterna riferimenti al negoziato con massicci bombardamenti.
PUTIN PUNTA a guadagnare tempo e forzare un accordo che legittimi le conquiste, portando divisioni in campo ucraino e scardinando il principio di intoccabilità dei confini internazionali. Gli ucraini dichiarano che Putin è vicino alla morte per malattia. Dispongono di uno degli eserciti più rodati al mondo e sono appoggiati da un Occidente che ha tutto l’interesse a non vedere scalfita, davanti alla Cina e alle potenze emergenti, l’immagine di efficacia ed unità di cui, dopo il disastro afghano, ha dato prova. L’invasione russa ha turbo-caricato il nazionalismo ucraino, che autoproclama la benigna inclusività dei propri miti: ha celebrato il compleanno di Stepan Bandera, senza troppo preoccuparsi per critiche suscitate fra i sostenitori ad Ovest, a partire dai polacchi.
Più in generale, la guerra in Ucraina proietta una lunga e densa ombra sulle relazioni internazionali. Essa ha dato corda all’aggressività militare di Erdogan, l’alleato Nato che ama scagliarsi contro Washington e fare affari con Mosca. Piagata da un’inflazione oltre l’80%, la Turchia affronta nel 2023 elezioni incerte, mentre è impegnata non solo ad invadere il nord della Siria in chiave anti-curda, ma anche a rafforzare la propria influenza militare in Africa (Libia e Somalia) e a sostenere il regime azerbaijano nella guerra agli armeni. Mentre soffiano i venti della recessione economica, la guerra in Ucraina si è rivelata una manna per l’Arabia Saudita, che ha allargato le proprie quote sul mercato del petrolio, opponendo un netto rifiuto alla richiesta americana di aumentare la produzione per calmare la corsa dei prezzi. Lontano dai riflettori mediatici, il conflitto fra Etiopia e tigrini ha mietuto mezzo milione di vittime. Al di là degli scenari di crisi (Iran e Pakistan, ma anche Libano, Yemen e Haiti) inflazione, insicurezza alimentare, pandemia e variabilità climatica (eventi estremi) restano fattori che non solo destabilizzano il sud del mondo, ma premono in misura crescente anche su un paese come l’Italia che – reso fragile da un crescente divario sociale – si qualifica (per poco) fra le prima dieci economie del mondo.
NÉ RUSSIA NÉ UCRAINA sembrano in alcun modo vicini a concepire colloqui di pace. La scommessa di Mosca sullo sgretolamento del consenso occidentale per l’Ucraina nel corso dell’inverno sta in larga parte mostrandosi perduta. La proposta del Patriarca russo Kirill- accolta e rilanciata da Putin – di una «tregua bilaterale» per il Natale ortodosso suona assai controversa, essendo premessa su un’idea di unità religiosa fra russi e ucraini che il Patriarcato di Mosca ha minato.
Se guardiamo alle linee di tendenza che caratterizzano i conflitti armati nell’era successiva alla Guerra Fredda, notiamo il vacillare di quella logica strumentale di controllo che possiamo in qualche modo ricondurre alla tradizione del pensiero realista, da Machiavelli a Clausewitz: un’idea di stati sovrani funzionanti, incommensurabilmente più capaci, in termini coercitivi, economici ed ideologici, rispetto a qualsiasi altro attore. Le guerre di oggi sono attraversate da nozioni di soft power, diffusione tecnologica, disintermediazione dell’informazione, milizie paramilitari e compagnie di sicurezza private. L’unicità dello stato, per quanto sbandierata dagli slogan nazionalisti di volta in volta riesumati, appare sempre più problematica. In questo quadro, emerge in modo piuttosto netto come la violenza (più combattimento verso una vittoria rapida) non fermi le guerre: molti conflitti armati mostrano invece propensione a protrarsi nel tempo e nello spazio.
RARAMENTE IL RICORSO alla forza da parte degli stati è risultato determinante per gli esiti, e tantomeno capace di risolvere i conflitti. In altre parole, la guerra come strumento della volontà politica sembra funzionare sempre meno rispetto al conseguimento degli obiettivi dichiarati. Questo dato obbliga a porsi domande sul nazionalismo e su come la guerra (la spesa militare crescente, così come la guerra guerreggiata) accompagni la trasformazione della società. Da ultimo, pone l’esigenza di ripensare con urgenza la pace e la prassi pacifista.
* (Autore di “Frontiera Ucraina. Guerra, geopolitiche e ordine internazionale”, ed.Il Mulino)
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SPACCA ITALIA . Il triangolo industriale italiano esiste ancora, solo che ha spostato il baricentro a est, rimanendo imperniato sulla Lombardia, ed appare meno concentrato nelle unità produttive e più diffuso sul territorio, costituendo, come nel caso dell’Emilia-Romagna, parte del sistema produttivo allargato tedesco
L'aula della Camera - LaPresse
Tra le prime dieci regioni in Europa per livello di valore aggiunto industriale figurano ben tre regioni italiane. Sono, in ordine di graduatoria, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia-Romagna.
Non a caso le prime ad avere richiesto l’autonomia differenziata che il governo Meloni intende concedere in tempi rapidi, in base alla bozza di legge preparata dall’attivissimo ministro Calderoli. Nella classificazione Nuts2 dell’Unione europea, la Lombardia risulterebbe la prima regione industriale, con un valore aggiunto nel 2019 di 80,4 miliardi di euro, seguita dalle regioni tedesche di Stoccarda e dell’Oberbayern, nei Lander del Baden-Wurttemberg e della Baviera. Seguono poi Dusseldorf e Colonia; il Veneto al sesto posto e l’Emilia-Romagna all’ottavo; due regioni francesi (Ile-de-France e Rodano-Alpi); nonché la Catalogna.
LA SITUAZIONE NON è molto mutata dal 2015 in poi, salvo che Veneto ed Emilia-Romagna hanno guadagnato una posizione. In sostanza il triangolo industriale italiano esiste ancora, solo che ha spostato il baricentro a est, rimanendo imperniato sulla Lombardia, ed appare meno concentrato nelle unità produttive e più diffuso sul territorio, costituendo, come nel caso dell’Emilia-Romagna, parte del sistema produttivo allargato tedesco.
Leggendo questi dati, su cui gli statistici stanno ancora lavorando per i necessari completamenti e aggiornamenti, viene in mente quanto scriveva Kenichi Ohmae, che è stato senior partner della McKinsey & Company, nonché consulente molto apprezzato di governi e multinazionali. Un vero alto funzionario del capitale. In quello che probabilmente è il più noto dei suoi libri, comparso nella traduzione italiana nel 1996 con il programmatico titolo La fine dello Stato-nazione. L’emergere delle economie regionali, Ohmae, dopo essersi vantato con ragione di avere predetto in anticipo il crollo dell’Urss, scriveva che gli Stati-nazione erano oramai diventati «unità di business artificiose, o addirittura inammissibili, in un’economia globale».
AL POSTO LORO SI ERGEVANO i nuovi «Stati-regione» – di cui il Kansai attorno ad Osaka e la Catalogna erano alcuni degli esempi portati. In base a questa analisi si domandava che senso avesse «pensare all’Italia come un’entità economica coerente all’interno della Ue» quando «esistono invece un Nord industriale e un Sud rurale, che differiscono profondamente in ciò che sono in grado di dare e in ciò di cui hanno necessità». Tanto più che «non c’è un gruppo di interesse che tragga particolare vantaggio dai compromessi politici e sia quindi disposto a sostenerli con entusiasmo».
La via indicata non poteva essere dunque che la fine dell’illusione cartografica, l’abbattimento (per il capitale e i suoi agenti) dei confini diventati virtuali, la ricerca dell’unione tra regioni forti, con il corollario dell’abbandono al loro misero destino di quelle deboli. Le crisi che si sono succedute in questi anni, quella economico-finanziaria e quella pandemica, hanno provocato una frammentazione delle catene di approvvigionamento e di creazione del valore.
MA QUESTO NON PONE fine alla globalizzazione, anzi ne esalta gli aspetti che vedono rinforzarsi il legame tra aree geograficamente e culturalmente più vicine. Se rimaniamo al quadrante italiano, anche i recenti dati dell’Agenzia per la coesione territoriale, confermati nella sostanza da analoghe ricerche di Bankitalia, dimostrano l’aggravarsi delle diseguaglianze, che peggiorerà nel 2023.
Per fare solo qualche esempio: la spesa pubblica procapite è pari a poco meno di 19mila euro in Lombardia, viaggia sui 16mila in Veneto, mentre si ferma a poco più di 14mila in Sicilia, in Calabria a 15mila, in Campania a 13.700 euro. Ben si comprende la reazione di 51 sindaci del Sud, di diverso schieramento politico, che si sono appellati al capo dello Stato per fermare il progetto Calderoli.
LA «SECESSIONE DEI RICCHI» non è quindi uno slogan polemico, ma l’esatta definizione dei processi economici che sottendono al progetto di autonomia differenziata. Se è giusto quindi, secondo la nota tattica di dividere l’avversario – cosa che per la verità riesce più a quest’ultimo che non a noi – evidenziare i contrasti tra la fretta della Lega e l’insistenza sul presidenzialismo della Meloni, non possiamo illuderci che questo basti per fermare un progetto già in atto dal punto di vista materiale di cui si vorrebbe giungere ad una formalizzazione con le intese tra stato e regione che non passano per il Parlamento, come prevede la bozza Calderoli.
Per bloccarlo serve la capacità di legare assieme la questione sociale con quella istituzionale e costituzionale. E’ necessario modificare quelle parti del Titolo quinto, che deriva dalla sciagurata modifica costituzionale del 2001 voluta dal centrosinistra, cui si aggrappano i sostenitori dell’autonomia differenziata. E sostenere la raccolta di firme per una legge costituzionale di iniziativa popolare.
Per firmare clicca qui
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