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Dissesto idrogeologico: costruire le istituzioni «custodi del territorio» Campi allagati nel bolognese

L’ecocastastrofe socioambientale dell’Emilia Romagna, segna un punto di non ritorno rispetto agli effetti della crisi climatica: l’alternarsi di lunghi periodi di siccità impermeabilizzante e precipitazioni violente aggredisce il territorio in dimensioni inedite, diffuse e interconnesse fra versanti e pianure. L’ennesima riproposizione rituale di politiche emergenziali sul dissesto idrogeologico non serve più. Non serve più fare oggi ciò che non si è fatto in passato. Ciò che serve, oltre al blocco radicale del consumo di suolo, è un sistema di progetti integrati, multisettoriali a livello di bacini e sottobacini idrografici, capaci di ridefinire globalmente le relazioni fra sistemi insediativi e ambiente, fra versanti e pianure.

MONTAGNE (35%) e colline (41,6) costituiscono più del 70% del territorio italiano. E’ qui che i terreni induriti dalla siccità prolungata, franano e scaricano improvvise e rapide valanghe di acqua e fango in pianure a loro volta impermeabilizzate, i cui fiumi e torrenti non smaltiscono più e allagano campi e città, con tempi di ritorno dei fenomeni sempre più frequenti.
Si impone dunque la priorità strategica di trattenere a monte le acque nei periodi di precipitazioni violente e realizzare

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La destra conquista Ancona e Brindisi, il Pd fallisce la riconquista delle città toscane. Meloni esulta, Salvini ironizza sull’«effetto Schlein». La leader dem striglia Conte: «Sconfitta netta, ma ricostruire un campo non è solo compito nostro». Ai critici interni: «Non si cambia in due mesi»

Pisa, Siena e Massa al centrodestra, Campi a Sinistra-M5s, solo Pescia al Pd

 

COMMENTI. Mesi non dedicati a superare divisioni e a governare meglio il paese, ma solo a riaprire distruttive lotte interne. Prima di tutto fra le forze che operano alla sinistra del […]

Contro il vento nero serve l’unità delle sinistre più avanzate d’Europa

 

Mesi non dedicati a superare divisioni e a governare meglio il paese, ma solo a riaprire distruttive lotte interne. Prima di tutto fra le forze che operano alla sinistra del Psoe, ma anche nello stesso partito socialista da parte della destra interna che avrebbe riproposto i governi di unità nazionale e chiesto di seppellire la coalizione con Unidas Podemos. Decidere di anticipare le elezioni pone tutti di fronte alle proprie responsabilità, non solo le sinistre.

Il Partido Popular di Feijòo, uscito ieri vincitore, per confermare il consenso ampio ricevuto, dovrà appiattirsi molto di più sui contenuti reazionari e fascisti di Vox. Glielo chiede una parte decisiva del suo partito rappresentata da Isabel Ayuso, ieri confermata presidente della comunità di Madrid proprio facendo sue le politiche di Vox.

Questo è d’altronde il vento reazionario che spira in tutta l’Europa, che la guerra ha ulteriormente rafforzato, chiudendo ogni spazio a centrismi più o meno moderati e dialoganti.

Sono però finite le ambiguità soprattutto per le due sinistre, quella tradizionale del Psoe e quella nuova espressa da Podemos.

La prima cosa da fare è chiedere un voto per confermare il governo progressista, non solo per paura che vincano le destre fasciste, ma perché la coalizione ha ben governato la Spagna. L’errore più grave che non va fatto è ridimensionare gli aspetti trasformatori delle politiche realizzate dal governo Sanchez: una legge sul lavoro che ha posto un freno vero al precariato; politiche sociali e redistributive che hanno consentito al paese di reggere durante il Covid; una difesa delle prestazioni fondamentali dello stato sociale, la sanità e la scuola pubblica attaccate pesantemente dalle destre; le politiche più avanzate d’Europa sul terreno dei diritti e della domanda di cambiamento preteso dai femminismi; infine, forse, la scelta più indicativa sull’utilizzo del loro Pnrr che indirizza le risorse europee che spettano alla Spagna verso una credibile transizione ecologica.

Questo è la sostanza che deve arrivare al paese. Certo superare le ambiguità che esistono che non vanno taciute rafforzerebbe questo messaggio: servono passi avanti sulle politiche migratorie e in particolare sulle scelte sbagliate compiute contro il popolo Saharawi; ma soprattutto va delineata la collocazione della Spagna sulle guerre, rendendola più autonoma rispetto a quella Europa troppo subalterna alla Nato. Lo esige il nuovo scenario che sta di fatto allargando il conflitto.

Chi sta e opera alla sinistra del Psoe, che nella coalizione ha avuto un ruolo determinante per spingere i socialisti a fare le politiche trasformatrici, è forse la parte che deve fare un vero e proprio salto di qualità.

Nei prossimi giorni bisognerà mettere fine al distruttivo confronto fra i due progetti, quello di Podemos e quello di Sumar pensato da Yolanda Diaz. Decidere cioè quale potrà dare migliore rappresentanza e possibilmente allargare lo spazio politico alla sinistra del Psoe. Il voto di domenica dovrebbe aver dato risposte esaurienti che indicano che l’esigenza di rinnovamento e unità posta con Sumar da Yolanda Diaz ha le potenzialità di allargare lo spazio elettorale della sinistra, rendendo così più forte nel governo di coalizione le forze che vogliono cambiamenti reali nel paese. L’importante è non arrivare a un’unità forzata e senza convinzione.

Podemos resta la forza discriminante di questo spazio politico, ma senza l’innovazione proposta da Diaz con Sumar non si raccoglie, e tanto meno si allarga, questo spazio. L’importante è darsi la possibilità di sconfiggere le destre

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Video e foto Local Team

“Fu un’opportunità molto allettante, certo”. Momento di pausa. “Ma no, col senno di poi non valeva la pena costruire in quell’area”. Nello Liverani è un faentino fortemente attaccato alla comunità che spala fango da giorni dopo l’esondazione di uno dei tre fiumi di Faenza, dove sono stati estratti tre cadaveri. Un tempo erano occupati dalla “Liverani pelli”, finché la famiglia li ha venduti. Al posto dei capannoni giudicati ormai “incompatibili con l’area” nel 2002 sorge un bel condominio residenziale con 36 appartamenti e 45 garage sotterranei. La particolarità è il nome stesso, che molto dice dell’Italia edificata sul rischio: la “Casa sul fiume” si chiama, ma con la piena è diventata una casa nel fiume, con l’acqua salita a un metro e mezzo seppellendo

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EUROPARLAMENTO . L'adesione di alcuni europarlamentari italiani all'appello che chiede l'esclusione del riarmo tra gli obiettivi del Pnrr

Non trasformiamo il Pnrr in missili e munizioni

 

Aderiamo all’appello «La resilienza non è economia di guerra» promosso da Rete italiana pace e disarmo, liberta’giustizia, Anpi e Arci. Per questo motivo voteremo convintamente No alla risoluzione Act to support ammunition production (Asap) che vorrebbe utilizzare il Fondo di coesione e il Pnrr per produrre armi, missili e munizioni.

Un passaggio traumatico dagli obiettivi virtuosi del Next Generation Ue (transizione ecologica, innovazione digitale, inclusione sociale, conoscenza e parità di genere) ad una vera e propria economia di guerra. Permettere ai singoli Stati di finanziate la produzione di armi con risorse dedicate ai servizi sociali, al diritto allo studio, alle politiche per l’abitare, alla mobilità verde è un errore drammatico che può segnare negativamente il modello di sviluppo europeo per i prossimi anni.

La guerra muta da stato di eccezione in normalità e ordina gerarchicamente tutte le scelte. L’Agenda di guerra è la negazione di quella concreta utopia voluta dai padri fondatori dell’Unione: cancellare il conflo bellico dal suolo europeo. Peraltro un atto che prefigura una palese violazione dei Trattati e che contesteremo in ogni sede.

Da ultimo, se si voterà a favore di questo atto, sarà difficile contrapporsi alla riscrittura del Pnrr da parte del governo Meloni.
Quando, invece di asili nido, servizi pubblici e treni non inquinanti finanzieranno le produzione militari la responsabilità sarà anche di chi avrà votato favorevolmente a questo atto.

Ci appelliamo ai nostri colleghi parlamentari europei, ai parlamentari italiani, ai presidenti di Regione, agli amministrati locali. Al di là delle posizioni che ognuno può assumere circa il dibattito sull’invio delle armi in Ucraina, in questo caso ci troviamo di fronte ad un salto di qualità senza precedenti che, in un solo colpo, ci farà tornare indietro di decenni: produrre piombo e morte a scapito delle politiche attive e di coesione sociale che sostengono gran parte del sistema Paese, soprattutto a Sud.

Per queste ragioni promuoveremo in ogni forma il No a questo atto sbagliato che comporterà un peggioramento delle condizioni di vita dei nostri cittadini, senza apparire utile alla causa della popolazione ucraina aggredita dall’esercito russo.

 

*** Gli Eurodeputati

Massimiliano Smeriglio, Gruppo Socialisti e Democratici
Pietro Bartolo, Gruppo Socialisti e Democratici
Rosa D’amato, Gruppo Verdi
Piernicola Pedicini, Gruppo Verdi

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INFORMAZIONE. La perdita di fascino del servizio pubblico viene da lontano, dall’assenza di un progetto adeguato alla complessità tecnologica e ai profondi mutamenti sociali

 Lucia Annunziata - foto Ansa

Lucia Annunziata lascia la Rai, dove negli ultimi anni ha diretto la trasmissione Mezz’ora in più, con la capacità di offrire notizie di prima mano grazie a ospiti non ripetitivi, e osservando la par condicio. Il tutto con un ragguardevole 10% di share. Si tratta del secondo abbandono del servizio pubblico da parte della giornalista che mosse i primi passi con il manifesto.

Era già successo il 4 maggio del 2004, quando aveva lasciato la prestigiosa carica di presidente, cui era assurta il 13 marzo del 2003. I casi del destino: allora Annunziata sbatté la porta in polemica con il pacchetto di nomine proposto dal direttore generale Flavio Cattaneo, nel quale spiccava il nome di Giampaolo Rossi, indicato alla guida di Rainet. E lo stesso Rossi ora è in pole position per salire allo scranno apicale, quello di amministratore delegato, dove siede transitoriamente Roberto Sergio.

La lettera in cui si motiva la scelta di andar via dal vecchio fortilizio ex monopolista è chiara: non si può rimanere se non si condividono non solo idee e operato del governo, bensì proprio le modalità di intervento sulla Rai. Meglio chiudere una lunga storia in un’azienda in cui si sono condotti programmi, si è diretto il Tg3, si è stati presenti come opinionisti in diversi talk, piuttosto che subire bavagli o censure.

In fondo, la vicenda di Fabio Fazio ha avuto un po’ il sapore di un prequel: la Rai non è più la prima scelta.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Chi ha paura di Fabio Fazio?

La perdita di fascino del servizio pubblico viene da lontano, dall’assenza di un progetto adeguato alla complessità tecnologica e ai profondi mutamenti sociali. Tuttavia, l’ultima tornata lottizzatoria ha dato il colpo di grazia. Persino nell’età berlusconiana, pur con gli editti bulgari, il clima aveva un odore meno acre e il diritto di critica era rischioso ma non così impervio come oggi.

Infatti, ciò che sta avvenendo alla Rai segna un passaggio a nord ovest: gli esecrabili vecchi riti della spartizione partitica sono soppiantati dalla voglia esplicita della destra di plasmare a suo uso e consumo l’immaginario collettivo. La maggiore industria culturale del paese è il territorio privilegiato per imporre visioni ed egemonie conservatrici e reazionarie. La marcia su viale Mazzini rivela velleità superiori alla mera conquista di qualche scranno.

Però – come dimostrano le reazioni politiche e sindacali, nonché la stessa spaccatura in seno al consiglio di amministrazione – la cavalcata non sarà proprio agevole, essendo la preda un apparato figlio di un’antica tradizione e assai vischioso.

I cervelli in fuga ci ammoniscono, comunque, sul mutamento della temperatura e del contesto: il centro di gravità si è appannato e l’attrazione è sempre meno fatale.

In un organigramma a netta prevalenza maschile, una donna si è incaricata di urlare che il re è nudo

 

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COMMENTI. Solo la misura del 110% ha, per ora, incrementato il fotovoltaico. Non c'è lo sblocco dell'eolico off-shore, malgrado progetti finanziati, nelle isole e a Civitavecchia

 Germania, pale eoliche sul mare - foto Ap

A fronte della catastrofe emiliano-romagnola, a cui potrebbero seguirne altre, anche in ragione della posizione geografica della nostra penisola, protesa verso un’Africa surriscaldata dal cambiamento del clima, risulta sorprendente l’ordine di priorità che, nei fatti, i governi hanno dato alla “lotta” al cambiamento climatico. Priorità al contrario: continuità del sistema energetico fossile, del consumo di suolo, del proliferare di inutili infrastrutture. L’uso delle risorse è squilibrato e segnato anche da un disinteresse alla pace, dopo che l’Ue ha messo in campo addirittura una sorta di Pnrr delle armi, che acuisce gli effetti perversi della crisi climatica attuale.

Sarebbe del tutto ragionevole che, dal momento che si sta ridiscutendo della destinazione del Pnrr, si attui una riconversione verso obiettivi ambientali come il governo delle acque, ormai indifferibile, affinché agricoltura e forniture idriche per uso civile e industriale abbiano certezza di fornitura.

Gli investimenti sulle rinnovabili sono sostanzialmente fermi, se si considera che solo la misura del 110% ha per ora incrementato il fotovoltaico. Non c’è ancora lo sblocco dell’eolico off-shore, malgrado importanti progetti di investimento, ormai finanziati, come a Civitavecchia e nelle Isole. Si perde tempo prezioso, non si avviano investimenti innovativi nella produzione manifatturiera di energie rinnovabili. Nessuna nuova proposta per l’ex-Ilva e solo un progetto Enel in Sicilia per pannelli eolici, pronto a migrare dove verrà attratto da maggiori incentivi.

Fotovoltaico e eolico dovrebbero essere gli investimenti più innovativi. Invece l’attenzione e i quattrini vanno agli investimenti fossili, in un clima di emergenza che segnerà forse decenni. In particolare, nel gas su impulso dell’Eni, che ha convinto il governo a farsi dare nuovi fondi del Pnrr per l’assurdo progetto di nascondere la CO2 prodotta nel sottosuolo, proprio laddove la tragedia dell’alluvione ha colpito oltre ogni immaginazione.

La strategia di Eni spinge il nostro Paese a violare gli impegni climatici assunti, in sede Ue. La ‘partecipata’ dello stato continua nell’espansione di petrolio e gas e, di fatto, riserva alle rinnovabili un ruolo secondario. Un recente studio pubblicato da Reclaim Finance, ReCommon e Greenpeace, ha calcolato che meno del 20% degli investimenti previsti da Eni nei prossimi anni andranno a finanziare progetti di energie rinnovabili, superando del 70% l’impegno a ridurre le emissioni previste dalla Iea.

A nessuno può sfuggire che il sistema di rinnovabili e comunità energetiche può creare posti di lavoro di qualità, nonché produzioni innovative a cui la manifattura italiana è in grado di riconvertirsi, in particolare al Sud.

Anche nel settore automotive, il governo ha svolto un ruolo di retroguardia. Anziché concordare con altri partner europei progetti innovativi, il governo si è trovato isolato su posizioni conservatrici di mantenimento dei motori endotermici.

I progetti per costruire comunità energetiche prevedono fondi a sostegno, ma gli strumenti non sono ancora funzionanti: si continua nella nebbia di provvedimenti incerti o difficilmente applicabili.

Il rinvio e il ritardo sembrano essere la regola per scelte decisive e improrogabili. Risorse senza limiti e con assoluta rapidità sembrano appannaggio solo delle fonti fossili, come nel caso dei rigassificatori e delle navi metaniere, una stabilizzazione avversa alla decarbonizzazione.

Con un gioco perverso di manipolazione, perfino il nucleare esistente, viene spacciato per nuovo, malgrado sia costoso e insicuro, come ci ricorda la decisione presa in questo mese dal governo giapponese – a 12 anni di distanza dall’incidente – di sversare in mare i serbatoti radioattivi di Fukushima, ormai al colmo di acqua irrimediabilmente contaminata. Il nucleare è come il ponte sullo stretto: la destra al governo non resiste a riproporlo, incurante delle conseguenze economiche e sociali, dei rischi, dei costi spropositi per la sicurezza e la qualità della vita

Purtroppo, la crisi climatica e la transizione energetica per liberarci dalle fonti fossili non sono oggi il centro del lavoro del governo italiano. Purtroppo la crisi climatica è collocata solo sull’onda dell’emozione dei disastri in corso e non sta al centro dell’impegno del nostro governo.

Occorre che tutte le sensibilità ambientaliste e per la giustizia sociale si uniscano in una iniziativa comune, pronti a ricorrere, se provocate, anche ad un terzo referendum popolare contro il nucleare. Le realtà ambientaliste stanno organizzando, per la prima decade di giugno, manifestazioni, presidi e occupazioni in tutti i territori e di fronte ai Ministeri responsabili. Con lo slogan “Scatena le rinnovabili”, perché pale eoliche e pannelli solari possono spezzare le catene dello sviluppo fondato sul fossile.

***Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci, Massimo Serafini, Massimo Scalia (Osservatorio sulla transizione ecologica)

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