In queste ore tutti si scoprono costituzionalisti, in genere per portare acqua al proprio mulino politico, o anche solo per tifare o per sfogarsi, allora mi accodo e dirò anch'io la mia opinione.
A me sembra che in questa ultima fase della crisi ci siano state due evidenti forzature costituzionali: la prima é stata quella di attribuire l'incarico di formare il nuovo governo ad una persona che non presentava le caratteristiche richieste dall'art. 95 in quanto priva di autonomia e rappresentatività politica e quindi non in grado di "dirigere la politica generale del governo" ed esserne responsabile.
La seconda è quella di porre esplicitamente il veto sulla persona di un ministro (era sempre stato fatto in passato in via riservata) e con motivazioni dichiaratamente politiche: la difesa del risparmio e le scelte di politica economica e monetaria sono infatti temi squisitamente politici e di spettanza del Governo il cui Presidente però, per la sopracitata mancanza di autonomia e autorevolezza rispetto ai partiti che lo sostenevano, non poteva garantire la realizzazione (e questo è il tema della responsabilità indicato dallo stesso art. 95 Cost.). Alla fine ciò che si è stato fatto costituisce un indubbio favore a Salvini e l'apertura di una crisi istituzionale di cui proprio non c'era bisogno. Se la convocazione di Cottarelli é l'inizio di un nuovo tentativo di governo tecnico per allontanare le elezioni da molti temute credo che Mattarella non poteva fare un pasticcio peggiore. Se invece dovrà gestire soltanto i 3 mesi necessari per votare in ottobre al riparo dai ricatti dei mercati e per applicare (credo che ormai non ci sarà alternativa) l'aumento dell'iva già previsto dai precedenti governi, allora si sarà fatto con 3 mesi di ritardo ciò che si doveva fare da subito.
In ogni caso mai visto un regalo più grosso per Salvini (e per Berlusconi che ora ritorna in campo).
Alessandro Messina
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Non è una battuta: faccio una riflessione seria:
Lunedì scorso a CastelBolognese, per il gran finale della sagra di Pentecoste c'erano i Nomadi in concerto. Centra qualcosa? sì, come stimolo alla riflessione
Temevo ci fossero solo settantenni (noi che amavamo i Nomadi dai primi anni '60)
[a proposito: nel prossimo numero di SetteSere ci sarà supplemento il Castoro, giornale del liceo di Faenza. Lì c'è un'ìintevista a me e altri su quando andammo a spalare il fango a Firenze nel 1966: lì racconto proprio che la nostra colonna sonora, che cantavamo a squarciagola la sera tornando coperti di fango in riva all'Arno, badili in spalla, erano proprio i Nomadi e Guccini].
Invece al concerto c'era la solita marea di gente. E c'erano, cosa importantissima, tutte le generazioni. Anche tantissimi giovani.
E quando i Nomadi hanno fatto i pezzi storici, impegnatissimi, il pubblico si scaldava particolarmente, C'era persino chi alzava il pugno chiuso.
Riflessione: il popolo di sinistra c'è ancora. E' però diventato NOMADE: Per colpa della sinistra moderata diventata neoliberista, cioè che sta con banche, multinazionali ecc.
E della sinistra radicale sempre settaria, divisa, improvvisata.
Lavoriamo per unire la sinistra radciale. Non è necessario un solo partito (magari fosse possibile!). Può bastare una coalizione STABILMENTE UNITARIA che vada da MDP a Rifondazione, ai tanti collettivi, comitati ecc E' impossibile?
Leonardo Altieri
Articolo interessante anche se le "periferie" è da 'mo che sono sfarinate.
Sfarinate come il lavoro che a sua volta è stato completamente sfarinato togliendo a colpi di decreti e leggi ad hoc tutto quanto era stato costruito per tutelare la figura del lavoratore e della lavoratrice. Da queste ceneri della condizione precaria arrivano i casa pound i leghisti ed anche (se pur in modo diverso) le five stars.
Varrebbe però la pena ricordarsi che i patrioti risorgimentali come i Fratelli Bandiera ed in particolare Carlo Pisacane che con le loro spedizioni tentarono di sollevare dalla loro condizione le popolazioni marginali del Sud Italia all'epoca del Risorgimento ..... anche loro come la mesta sinistra italiana..... non furono direttamente annientati dai "potentati economici" dell'epoca ma ... nella pratica .... dagli stessi "cafoni" a cui cercavano di prospettare e favorire la nascita di un tessuto civile.
E' vero, come sta scritto nell'articolo,:"nelle periferie si sentono in balia degli eventi e non ci pensano proprio ad organizzarsi", ma andrebbe anche detto che purtroppo obbediscono agli istinti e non ci pensano un minuto a scagliarsi contro i ‘privilegiati’, che loro individuano nei politici, e negli immigrati. Non nei potentati economici”. Ed è veramente molto complicato pensare a come coinvolgerli dalla parte giusta, quella che rispetta, che è solidale, che non chiude le porte e soprattutto non urla .... prima iooooooooo!
Medardo Alpi
Commenta (0 Commenti)Non so voi, ma io, dopo aver visto i tavoli delle trattative dei nostri politici, disseminati da bottigliette monouso di acqua e cocacola... sono inorridita....
così insieme a Rossano Ercolini, Natale Belosi e altri attivisti Zero Waste abbiamo lanciato questa petizione!
Leggete e se siete d'accordo firmate e condividete!!
Linda
Basta bottigliette di plastica monouso. Politici, date il buon esempio!
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Care/i, sono nato e ho per tempo vissuto nelle campagne e tra la gente dell' "Albero degli zoccoli". Tutti fieri di avere un interprete di un mondo solidale e frugale, capace di straniarsi dalle culture in avanzamento, escludenti, privatistiche, incuranti della terra e della memoria. Per questo mando un breve cenno a quello che per molti di noi ha regalato uno di Treviglio, tanto umile quanto creativo e solido, come anche da ragazzi avevamo incrociato nelle sale dei cinema di paese. Un abbraccio. mario
IN MORTE DI ERMANNO OLMI
Leggo meno i giornali e sempre più spesso mi infastidisce la televisione. Di conseguenza, la notizia della morte di Ermanno Olmi non mi è giunta “online nè metabolizzata da Wikipedia, ma attraverso il dolore già rimuginato da amici, il rincrescimento per un vuoto che non si può riempire a parole, l’apprezzamento sofferente per l’autenticità e la creatività di un uomo che sceglieva i tempi lunghi, sapeva collocarsi nella storia con le sue contraddizioni e riusciva a scrollarsi di dosso la rincorsa affannata del presente. Come dice Tonio Dell’Olio, “non è moneta corrente che la storia contempli l'azione di registi ispirati e inventivamente geniali che hanno dato la parola agli ultimi”. E nemmeno che esalti quelli che hanno trasformato in poesia il dolore e la quotidianità senza cedere un frammento alla retorica né un granello alla verità nuda di storie solo apparentemente anonime e minori. Poveri, dialetto, terra e lavoro e poi qualche volo poetico e maestoso oltre le nostre pianure nebbiose – anch’io sono nato a Treviglio - per sognare la pace dopo la crudeltà delle guerre: un auspicio che viene sempre più rimosso, come se la pace non fosse il diritto da cui emanano e traggono senso tutti gli altri.
Il timore è che con lui se ne vada un mondo e anche un modo di interpretarlo. Provo una certa vena di pessimismo e non credo ai prodigi. Così, dietro la morte di Ermanno, vedo con rammarico una solidarietà infranta, tanti frammenti separati, ognuno dotato di ostinazione, poca sensibilità al pluralismo, perdita di meraviglia di fronte al vivente, che, anche quando muore, può invece trasferire la sua identità, la sua unicità in una eredità comune e incancellabile, se la si è potuta e voluta valorizzare a suo tempo nelle forme più aperte di comunità. Tocca ai giovani, ai loro slanci, alla loro fiducia, far sì che il mondo preso in prestito sopravviva anche grazie agli sforzi ancora in atto, sempre più persi e isolati in un assordante rumore. Ma, ripeto, non sono ottimista.
Commenta (0 Commenti)Credo sia giusto, e necessario, parlare di disfatta elettorale della sinistra - è evidente, sia per il PD, che per le espressioni della cosiddetta sinistra radicale – e anche prendere atto che siamo alla fine di un ciclo.
Tuttavia, non credo che i valori e le ragioni della sinistra non siano più attuali, né che non potranno trovare più un consenso di massa, ma non c’è dubbio che diverse cose vanno cambiate in profondità.
Se assumiamo, semplicemente, che il discrimine tra destra e sinistra resta “il diverso atteggiamento di fronte all’ideale dell’eguaglianza” (N. Bobbio) oggi, quando le differenze e le povertà stanno aumentando, i valori e le ragioni della sinistra resterebbero più che mai attuali.
Carlo Galli sul suo blog dice: “Il fallimento si spiega, soprattutto, con la mancanza di un’analisi strategica capace di mettere in discussione il modello politico ed economico vigente, non più in grado di generare vero consenso e vera sicurezza”.
E’ una analisi utile per arrivare alle ragioni di fondo: sia del declino del Pd, che nella crisi ha “risposto con dissennato ottimismo e in un modo completamente interno alla logica neoliberista”; sia dello spostamento, tra strati popolari, di un largo consenso verso il M5S e anche verso la Lega; mentre le liste di sinistra non hanno recuperato, se non marginalmente, i voti in uscita dal PD.
Per questo, accumunare M5S e Lega sotto la voce “populismi” è assolutamente sbagliato. Naturalmente, nelle espressioni di voto, pesano diverse questioni: non solo immediatamente di interesse materiale, ma anche valoriali, culturali, ecc., oltre che una generica richiesta di cambiamento e valutazioni contingenti (per impedire che prevalga la destra – o Renzi - meglio votare M5S); ma per la sinistra guardare prioritariamente agli strati popolari, a chi ha - e conta - meno, nella società, dovrebbe essere preminente.
Questo vale verso chi ha votato M5S, che ne ha recuperato il maggior consenso, il fatto di dichiararsi “né di destra né di sinistra” (e guardando a cosa dice, e fa, si può anche dire che è vero) non dovrebbe impedire invece di incalzarlo verso posizioni progressiste e di sinistra (naturalmente le scelte che decideranno di fare sugli sbocchi di governo sarà essenziale, per un giudizio più preciso).
Ma dato che voti popolari, provenienti da sinistra (seppur in misura minore) sono andati anche verso la Lega, non basta denunciare, giustamente, la pericolosità delle posizioni della destra, occorre contrastarla affrontando anche le cause, vere, e/o presunte, dell’insicurezza, della precarietà, ecc. che viene pagata soprattutto dagli strati più poveri. A proposito della Lega e, per esempio, delle loro posizioni sull’immigrazione, viene in mente la frase dell’aristocratico Mr. Schermerhorn, nel film Gangs of New York di Martin Scorsese: “Si può sempre assoldare una metà dei poveri per uccidere l’altra metà”.
Beppe Casadio ha affermato, ancora prima delle elezioni, e poi scritto: “E’ tempo di riaprire un discorso pubblico sul potere e sulla sua distribuzione”. Questa è una delle questioni essenziali per poter ridefinire un ruolo e una azione incisiva della sinistra, per un’altra idea di società e di sviluppo, sulla quale avviare una riflessione sia a carattere generale, che ai livelli territoriali.
Stante alle prime reazioni dei vari esponenti delle sinistre, non pare che ci sia coscienza di queste necessità, e di queste riflessioni, sia in chi torna a guardare al PD (magari senza Renzi), sia tra chi si arrocca su dichiarazioni “antagoniste”. In entrambi i casi queste posizioni portano a non trovare convergenze unitarie né nelle iniziative specifiche, né tanto meno in scadenze elettorali (nelle quali il consenso che possono trovare, attualmente, lo abbiamo visto).
Proviamo allora a sollecitarla questa riflessione su cosa dovrebbe essere cambiato a sinistra, stimolando tutt* coloro che possono essere coinvolti, qualsiasi sia la collocazione, o non collocazione, elettorale.
Tralasciamo, almeno per l’immediato, di cimentarsi sulle ipotesi per gli sbocchi istituzionali e di governo nazionale, così come sulle future prossime scadenze elettorali: Europee, Regionali, Amministrative (che comunque hanno caratteristiche molto diverse tra loro), per concentrarsi invece su qualcosa che si potrebbe fare, anche a partire dal livelli locali.
Partire ognuno dalla propria realtà, e quindi anche dai livelli locali, non è localismo, anche perché è apparso chiaro che i vizi, i settarismi, ecc. che sono emersi tra le varie componenti delle sinistre a livello nazionale nel fallito “tentativo unitario del Brancaccio” (che non avrebbe risolto tutti i problemi, ma oggi saremmo messi un po’ meglio) non vanno semplicemente imputati ai livelli nazionali. Questi vizi sono gli stessi che si manifestano anche qui a livello locale; le responsabilità sono quindi (almeno per quota parte) anche di ognuno di noi, per quello che abbiamo fatto, o forse ancor più per quello che non abbiamo fatto.
E’ anche questo un motivo per ripartire valorizzando almeno quella parte di esperienze unitarie e positive che sono state fatte e si possono fare, senza aspettare che i “dirigenti massimi” a livello nazionale diano qualche segno (o cercando di neutralizzare quelli sbagliati che possono dare).
Tutti affermiamo la necessità di “riconnettere sinistra e società”, ma per farlo, penso che le esperienze della sinistra, del secolo scorso, sia quelle riformiste che quelle radicali, dovrebbero essere profondamente ripensate: sia nei contenuti, ci troviamo di fronte a questioni inedite (globalizzazione, crisi: economica, ambientale, climatica....) che implicano proposte compiute per “un altro modello di sviluppo”; sia nelle forme, perché la cinghia di trasmissione partito/soggetti sociali non funziona più, così come la delega dei movimenti al partito per fare la mediazione politica...
Intendo dire che oggi, oltre a quel che resta di militanti politici diversamente articolati e più o meno attivi, a livello sociale esiste un’area ampia di “attivisti sociali” di associazioni, movimenti, sindacati, volontariato (laico e religioso), ecc. che, certo in modo frammentario e settoriale, “vuole cambiare lo stato di cose esistenti”, in senso che credo si possa definire “progressista e di sinistra” (anche se non necessariamente tutti si autodefinirebbero così) ma che comunque, in ogni caso, sono attivi, ma non sono disponibili semplicemente a delegare e a farsi rappresentare dalla politica tradizionale.
Come avranno votato? (sarebbe interessante, se fosse possibile, fare qualche sondaggio specifico…) io immagino che da lì venga senz’altro una parte dei voti a sinistra, certamente pochi per il PD, ma tanti invece al M5S, diversi non hanno proprio votato… (Enzo Scandurra parla di “società che lotta ma che non vota”).
Ma queste sono realtà importanti per chi vuole lavorare per un modello sociale più equo e sostenibile, che si possono coinvolgere a partire da contenuti specifici, non semplicemente chiedendogli di prendere la tessera di una organizzazione di sinistra.
Questo chiama in causa quella che è (dovrebbe essere) un’altra parola chiave per la sinistra: la partecipazione democratica. Naturalmente anche con caratteristiche innovative - certo diverse da quella delle cellule e delle sezioni - ma non può essere solo virtuale, non basta un click su FB, e ancor peggio non può essere la finzione dei cosiddetti “percorsi partecipativi” tesi a costruire consenso (vedi “Fermenti”). Quindi, la partecipazione che ci serve deve coinvolgere persone in carne ed ossa (non dimentichiamo che il M5S non sta solo sulla rete, continua a fare incontri settimanali – anche se possono essere più o meno qualificati); non può limitarsi a slogan, deve approfondire le questioni, avvalersi anche di conoscenze esperte, deve produrre iniziativa e mobilitazione, darsi e raggiungere risultati. In breve: non solo dire, ma fare.
Parliamone.
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