Non parlo da molto tempo del Pd e delle sue (stupefacenti) vicende interne, innanzitutto perché quando si hanno guai seri in casa propria non è davvero il caso di criticare in casa d’altri . E poi, lasciatemelo dire, nello stato in cui è l’opposizione in parlamento, è come sparare sulla Croce Rossa: sport che, tuttavia, non esitano, quotidianamente, a praticare giornaloni e giornalini nazionali, sicuri così di contribuire alla rigenerazione della sinistra! Per chi ci crede …
Ma ora, alla fine, ci sono le primarie. Un rito che non ho mai condiviso (anche per la mancanza di regole giuridiche certe e di controllo da parte di terzi) e che, testone come sono, continuo a considerare uno strumento a volte accettabile solo se servono a scegliere un candidato al parlamento o (nei sistemi presidenziali) un candidato presidente. Mai e poi mai quando (da statuto interno) dovrebbero servire a scegliere un segretario di partito. Le ritengo un buon mezzo per scardinare la democrazia nei e dei partiti non meno delle spesso risibili consultazioni on line o delle acclamazioni assembleari di leader preconfezionati.
Ed è un fatto che alle primarie del partito democratico guarda una parte del “volgo disperso che nome non ha”.
” Col misero orgoglio d’un tempo che fu.
S’aduna voglioso, si sperde tremante,
Per torti sentieri, con passo vagante,
Fra tema e desire, s’avanza e ristà …
Ecco allora parlarne si deve e si può, e l’intervista di Goffredo De Marchis a Maurizio Martina su Repubblica del 23 febbraio
mi offre lo spunto. A proposito, mai una volta che lo si chiami per nome, Maurizio; un buon segnale direi dopo l’orgia leaderistica dei “Matteo” o forse solo un segno che è cambiata la direzione di Repubblica..
Nonostante a detta di molti si tratti di un renziano “sotto copertura”, di Renzi gli manca una delle poche doti encomiabili da tutti riconosciute: la nettezza delle posizioni. Infatti dall’intervista non si capisce molto: il listone da fare è quello con Calenda “e tanti altri”. Di chi si tratta? I nomi che fa sono quelli di Massimo Cacciari e … basta. Poi ci sono “i mondi” “delle imprese e delle associazioni”: e qui va detto fanno molto più clamore le esclusioni che le presenze. Sull’esclusione di LEU, dichiarata da Calenda, apparentemente non si pronuncia (evidentemente l’apertura a sinistra è un problema trascurabile) ma risuona forte l’esclusione del mondo del lavoro! Il massimo dell’apertura c’è quando si parla di lista aperta a “tanti altri che vogliono dare una mano” e qui di nuovo al primo posto il mondo dell’impresa e poi i mondi della cultura, dell’ambientalismo e del sociale. Che sia qui il riferimento al mondo del lavoro? Il sociale. Certo che c’è una bella ritrosia, se non altro lessicale, a non citare il sindacato, le lotte, i poveri, i migranti. A me è venuto in mente il Renzi che abbraccia Marchionne e il Fassino che in piena vertenza Pomigliano dichiara che se fosse stato un operaio (quando mai) avrebbe votato sì (contro Landini). Ma, si sa, che ho una memoria troppo selettiva.
C’è anche la questione del simbolo del Pd. Domanda il giornalista: ci sarà o no? Sì, risponde l’incauto Martina, “portiamo il nostro simbolo nel progetto”. Ma scusa, Maurizio, la legge è proporzionale e non prevede coalizioni, come fai a metterci il simbolo? Oddio mi è venuto in mente: la bicicletta! No, no, forse lui non lo sa ma biciclette, tricicli e carovane portano male, malissimo, sono da evitare come la peste!
Il finale poi è sorprendente perché introduce un concetto nuovo: “l’uguaglianza sostenibile” come unica strada per l’Europa. A me già è sempre sembrato un concetto ambiguo quello di sviluppo sostenibile, dentro il quale ci sta, come è noto, di tutto: dal “oil e gas” alle TAV di ogni specie, all’industria militare ecc. Ma il concetto di uguaglianza sostenibile mi è nuovo. Come dire: attenti che troppa fa male! E pensare che mi sembrava che il problema delle società occidentali dopo il trionfo (che ha avuto dei complici) del neoliberismo fosse l’insostenibile disuguaglianza che ha creato. Ma questo forse Martina non lo vede.
Sul tema della separazione delle carriere dei magistrati, ritornato di moda dopo l’indagine sui genitori di Renzi, la ricetta di Maurizio è: “superare la stagione del berlusconismo e dell’antiberlusconismo”. Che strano, a me sembrava che c’avesse già pensato Renzi a “superare” quelle categorie, salvo poi aprire la strada al mostruoso successo gialloverde. Ma forse ho preso un abbaglio e Martina mi avverte: non bisogna aver timore di riportare le lancette all’indietro. Ah bene, ma che cosa avrà voluto dire?
Alessandro Messina
Qui di seguito l’intervista che è apparsa su Repubblica del 23 febbraio
è presente, con alcune curiose varianti anche sul blog di Maurizio Martina https://www.mauriziomartina.it/salvare-il-pd-per-salvare-il-paese/