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Sotto attacco la legge sulla vendita di armi a Paesi in guerra. La generazione che si oppose e lo scandalo odierno

Eugenio Melandri (Direttore di Solidarietà internazionale. Già direttore di Missione Oggi) Fonte: Città Nuova - 18 marzo 2016

È passato oltre un quarto di secolo da quando è stata approvata la legge 185/90 che regolamenta il commercio di sistemi d’armi in Italia. Una legge che, ancora oggi, è la più restrittiva in Europa e che è stata frutto di una larga mobilitazione della società italiana. “Armi italiane uccidono in tutto il mondo”: era l’incipit dell’appello dal quale nacque allora il comitato “contro i mercanti di morte”. Ricordo ancora le iniziative in tutte le città italiane, le assemblee di fabbrica con gli operai che lavoravano in fabbriche di armi, gli incontri con i gruppi parlamentari di tutti i partiti e con le commissioni parlamentari di Camera e Senato. Ho ancora presente lo stupore dei membri della commissione Esteri della Camera di fronte all’intervento di don Tonino Bello, allora presidente di Pax Christi. «Non vi chiediamo nulla di strano: solo di non vendere armi a matti più matti del manicomio internazionale». 

Ora don Tonino non c’è più, così come non c’è più Aldo De Matteo, allora vicepresidente delle Acli, che seguiva passo dopo passo la campagna. Certo, i tempi erano diversi. Quando la campagna iniziò, non era ancora caduto il muro di Berlino. Si era da poco conclusa la presidenza della Repubblica di Sandro Pertini (1978-1985) che in un celebre discorso, citato proprio dall’appello da cui era nata la campagna, aveva gridato: «Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai». In Italia vi era una legge elettorale proporzionale con l’uso delle preferenze, che permetteva un rapporto diretto tra cittadini ed eletti. Che dava quindi la possibilità ai cittadini di rivolgersi al proprio parlamentare di riferimento e di controllarlo nel voto. Tutta una serie di situazioni che permisero al comitato “contro i mercanti di morte” – composto da 4 realtà della società civile: Acli, Mani tese, Pax Christi e Missione oggi – di allargarsi in pochissimo tempo, coinvolgendo diverse centinaia di associazioni. Per noi si trattava solo di un primo passo. Tanto che diverse volte ci eravamo detti che, il giorno dopo l’approvazione della legge, avremmo provocatoriamente presentato un disegno di legge di iniziativa popolare con un unico articolo: «L’Italia, in conformità all’art. 11 della Costituzione, decide di non costruire e commercializzare alcuna arma che possa essere usata in qualsiasi guerra».

La legge 185, come si sa, prevedeva soprattutto il divieto di esportare armi in zone di conflitto e in Paesi dove non fossero rispettati i diritti umani. La storia di questi 25 anni ci racconta invece che, purtroppo, in tanti casi si sono trovate scorciatoie per poterla eludere. Fino ad oggi, quando l’Italia continua a vendere armi a Paesi come Arabia Saudita ed Egitto. Proprio per questo è necessario riprendere e intensificare la mobilitazione.Il governo, almeno il governo, rispetti la legge. 

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Su richiesta dei gruppi consiliari, nell’ultimo anno di attività della precedente Amministrazione la V Commissione fu aperta alla partecipazione di associazioni, cittadini, presidenti dei Quartieri, docenti e dirigenti delle scuole primarie. Lo scopo, avvalendosi della collaborazione delle forze dell’ordine e degli operatori dei servizi sociali, era acquisire una maggiore conoscenza della realtà Rom a Faenza. Attraverso più incontri si cercò di “fotografare” quanto stava accadendo sul versante dell’ordine pubblico e, allo stesso tempo, di capire quali erano i risultati conseguiti dai tentativi di inserimento sociale gestiti da associazioni del territorio su incarico dell’Amministrazione comunale.

L’obiettivo finale era anche quello di individuare, sulla base delle precedenti esperienze, nuove modalità operative. In dirittura d’arrivo, però, le forze politiche presenti in Consiglio non pervennero a valutazioni e proposte condivise: anziché uno come auspicato, furono resi noti due documenti col conseguente scambio di accuse di strumentalizzare il problema.

Una decisione operativa fu comunque presa: l’Amministrazione definì un rapporto e firmò una convenzione con la Fondazione Romanì nella persona del presidente Nazzareno Guarnieri (professionista di etnia Rom, da tempo impegnato in progetti di inclusione). La Fondazione esclude percorsi e politiche per i Rom differenziati rispetto agli altri cittadini, critica gli insediamenti nei campi nomadi e la logica assistenziale, chiede ai Rom una loro partecipazione attiva a progetti di integrazione nella normalità e nella legalità.

“L’attuale Giunta – spiega l’assessore Claudia Gatta – è partita dal lavoro già fatto, ma ha cambiato passo e percorso. In primo luogo nell’affidare le deleghe: oggi l’assessorato al Volontariato e Associazionismo, Trasparenza e Partecipazione comprende anche le deleghe per Integrazione, Sicurezza e Polizia municipale, mentre all’assessorato ai Servizi sociali sono state attribuite le deleghe per le Politiche abitative e le Pari opportunità. Queste scelte derivano dalla volontà di lavorare in rete fra tutte le forze attive in ambito comunale. Gli assessori coinvolti hanno incontrato le varie associazioni faentine che in passato si sono occupate dei Rom, oltre ai Quartieri, per ascoltare e recepire contributi utili alla definizione del progetto di inserimento. Contemporaneamente Nazzareno Guarnieri, alla presenza dell’assistente sociale, ha curato gli incontri con i nuclei familiari Rom presenti a Faenza, avvalendosi della sua conoscenza della lingua e delle modalità di relazione proprie della loro cultura”.

Un metodo, questo – sempre a parere dell’assessore Gatta – che nell’ottica dell’Amministrazione ha reso più credibili gli impegni che alcuni nuclei familiari vanno man mano assumendo. “Il percorso ha previsto l’affitto di due alloggi ad altrettante famiglie, fra quelle residenti nel territorio, ritenute in grado di dare garanzie di continuità nell’impegno di inserimento dei bambini a scuola e di affidabilità economica. La scelta ha richiesto un notevole lavoro di preparazione, soprattutto da parte dell’assistente sociale la quale non si è trovata sola, com’è avvenuto in passato, ma ha potuto contare sulla collaborazione di tutte le forze in campo. E’ stato inoltre chiesto alle associazioni di dare il loro contributo con tutor, preparati dall’Amministrazione e dalla Fondazione Romanì, per monitorare l’esperienza quotidiana di queste due famiglie. In sostanza per accompagnarle e aiutarle nel primo anno a raggiungere una propria autonomia. Pur operando autonomamente, i tutor sono sempre in contatto con l’assistente sociale, con la propria associazione, i vari assessori, l’Associazione Romanì e le forze dell’ordine. Tutto ciò dovrebbe consentire omogeneità nelle forme d’intervento”.

L’assessore Claudia Gatta è del parere che possa essere già considerato un risultato positivo l’aver cercato di pervenire a un lavoro in rete e si augura che questa modalità si consolidi nel tempo e diventi un punto di forza nell’affrontare problematiche complesse come l’inserimento dei Rom.

 a cura di Antonella Baccarini e Mirka Bettoli

 Nota a margine

 

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Il decreto attuativo sui servizi pubblici locali previsto dalla 'riforma', secondo la Cgil, contiene indicazioni che di fatto annullerebbero l'esito del referendum del 2011. “Subito una legge di recepimento dell'esito referendario”

L'acqua pubblica in Italia è a rischio. Così come la volontà popolare espressa da oltre ventisette milioni di cittadini in occasione del referendum del 2011.  E' quanto denuncia la Cgil, criticando aspramente il decreto attuativo sui servizi pubblici locali, previsto dalla 'legge Madia'.

Il testo non ancora ufficiale e attualmente in circolazione, infatti, secondo quanto affermano i segretari confederali del sindacato di Corso d'Italia Danilo Barbi e Fabrizio Solari, contiene indicazioni che di fatto annullerebbero l'esito del referendum: l'esclusione del servizio idrico dalla gestione in economia e il tentativo di inserire norme in materia di tariffe, in contrasto con l'esito referendario”.

“Riteniamo - sottolineano Barbi e Solari - che il servizio idrico debba essere posto nelle condizioni che le comunità locali, appartenenti allo stesso bacino idrografico, abbiano la possibilità di poter disporre anche di una gestione in economia del bene comune quale è l'acqua”.

“Pur consapevoli della necessità di completare il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali, che devono diventare sempre più competitivi e di livello economico e garantire i bisogni dei cittadini nella loro comunità locale - avvertono i segretari confederali - contrasteremo l'approvazione di quei punti del testo unico palesemente in contrasto con i risultati del referendum”.

La Cgil, quindi, si attiverà per sostenere l'approvazione di una legge di recepimento dell'esito referendario, “non solo per far sì che venga rispettato il risultato giuridico, ma anche e sopratutto per il valore politico e culturale che rappresenta”.

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ovvero: le novità del 2016, sono fotocopia di film già visti.

Quando si sente parlare di queste tre parole (esuberanza, esuberi, esodati), si pensa subito a qualcosa che non sta assieme. Neppure utilizzando la miglior colla esistente.
La prima parola, consumata a sproposito dal presidente del consiglio Renzi, si trova subito in contrasto con quelle che seguono sempre nel titolo. Chi governa dovrebbe sapere che, se non si risolvono le condizioni dei soggetti che vengono considerati esuberi e degli esodati, che sono parte integrante della condizione reale, non è politicamente e neanche letteralmente, utilizzabile nello stesso contesto, neanche la prima parola, esuberanza,. Per Renzi, le seconde sono (scusate il bisticcio voluto) “secondarie” e non se ne fa carico. L'importante è apparire. Di esuberi ed esodati si continua a parlare nel dibattito reale: il primo fenomeno si manifesta ancora in molte realtà produttive in tutte le aree del Paese. Del secondo, tra giravolte e piroette, si parla meno per non disturbare il manovratore - specie da parte di certa stampa - ma ci sono ancora, e ancora non c'è la soluzione definitiva. Non si dimentichi che, gli esodati sono il prodotto di un provvedimento sostenuto ieri e non risolto oggi dal Pd prerenziano e renziano. Ma queste sono cose che non interessano il presidente del consiglio. 

Il tasso di giovani che hanno un lavoro è risalito solo di 0,9 punti rispetto al periodo peggiore della recessione, contro il +2,7% della Germania, il +4,2% della Gran Bretagna e il +1,9% della Spagna.
A proposito di entusiasmo esuberante sui dati occupazionali, che spesso sono costruiti sulla deformazione della verità! Esempio più lampante di questo, non ci può essere. Quando si afferma

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Il Governo Renzi, rimangiandosi la parola sull'abolizione del reato di clandestinità, ha mandato un messaggio a metà strada tra la pavidità e l'opportunismo politico. Tanta è stata la paura di perdere consenso tra alleati ed elettori che ha prevalso l'idea di un dietro front, anche sull'onda dei fatti (ancora tutti da chiarire, tra l'altro) di Colonia.

Ma vediamo perché era giusto procedere con l'eliminazione del reato di clandestinità e qual'è il reale apporto che danno i cittadini di origine straniera al nostro Paese.

Innanzitutto, occorre ricordare che la penalizzazione della condizione di irregolarità era stata prevista nel 2008 all'interno del cosiddetto"pacchetto sicurezza" ideato dall'allora ministro degli Interni, Roberto Maroni, con l'illusoria speranza di poter fermare i flussi migratori che ancora in quegli anni erano piuttosto intensi. Si è dimostrata pura propaganda, perchè i flussi sono continuati ad aumentare per alcuni anni, ovvero fino a quando l'Italia è diventata una meta non più appetibile. Poi è successo che anche i migranti, quelli cosiddetti economici, si sono resi conto del declino del nostro Paese ed hanno preferito emigrare da altre parti. In poche parole: come deterrente ha funzionato di più la crisi.

Inoltre non bisogna prescindere dal fatto che le migrazioni ci sono da quando esiste l'uomo e nessun leghista di turno può fermare la storia con cavilli da azzeccagarbugli, perché di questo si tratta. Oggi la situazione, con buona pace degli irriducibili nazionalisti, ci racconta di un saldo migratorio che vede l'Italia tornata una terra da cui si emigra e questo ci deve fare riflettere e preoccupare.

Era giusto procedere nel senso indicato in un primo momento anche per una ragione squisitamente giuridica. E' un'anomalia tutta italiana (o quasi) quella che punisce penalmente una persona non per un reato commesso, bensì per una condizione personale di cui non ha colpa. Come è un'anomalia del tutto italiana la paralisi che l'istituzione di questo reato ha determinato nei tribunali, aumentando tempi di attesa e costi della giustizia.

Infine, per chi si ritiene progressista, non può essere accettabile il principio squisitamente liberista per cui merci e beni si possono spostare liberamente, mentre alle persone il diritto di movimento è negato.

Insomma, l'immigrazione è un fenomeno complesso, impossibile da impedire e che si deve cercare di governare con giuste analisi e corrispondenti programmazioni: proprio quello che è mancato in Italia (ed in Europa) da più di vent'anni a questa parte. Già, perché da unattenta analisi di alcuni dei dati più macroscopici sull'immigrazione, si nota che il fenomeno, se ben studiato e gestito, può aiutarci a risolvere alcuni dei problemi che affliggono la società italiana.

A cosa mi riferisco?

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NATALE IN PURGATORIO

Si è parlato molto del Natale in questi ultimi giorni, con servizi televisivi in cui veri e propri eserciti della fede vomitavano odio su questa o quella persona al grido “NON CI TOGLIERETE LE NOSTRE TRADIZIONI, DIO #@%§!”.
Anche nei talk show non passa giorno in cui non ci siano personaggi che se ne escono con sparate al limite della legge Scelba additando il diverso come nemico della patria e dei “veri” principi fondamentali su cui si basa la “nostra” “inaffondabile” fede.
E, come molti di noi sanno, dove nascono questi battibecchi, il nero avvoltoio della politica suole abitualmente affondare i suoi lunghi e adunchi artigli.
Come il caso della scuola di Rozzano, in cui il preside è stato ben poco metaforicamente messo alla gogna (prima dai genitori di alcuni alunni e successivamente da ogni politico che fosse capitato nei paraggi o su un’emittente televisiva) distorcendo e riadattando una notizia, facendo passare il rifiuto alla richiesta di due mamme di insegnare canti cattolici durante l’orario della mensa, per la totale abolizione della festa del Natale in quella scuola.
Per alcuni giorni il paese è diventato l’anfiteatro della battaglia del Presepe, con certi pseudo-politicanti che regalavano statuine della greppia e proteste dai toni ingiuriosi davanti ai cancelli della scuola.
Nessuno si è neanche lontanamente posto il quesito se quel satanasso di preside volesse effettivamente abolire il Santo Natale, o se la notizia fosse stata oltremodo ingigantita; eppure, sempre nel pieno rispetto della morale cattolica, sui social network un mucchio di falsi leoni da tastiera non si sono fatti scrupoli ad augurare guai sciagure e disastri al preside nel nome del bambin Gesù.
Ma ora mettiamo da parte questo fuoco di paglia, forte quanto basta da infiammare gli animi, ma non da accendere i cervelli.
Le nostre tradizioni cattoliche natalizie...

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