Dove ci sarebbe da riformare si sceglie di “deformare".
Il triste caso dell’elezione dei giudici della Corte Costituzionale.
Una premessa: lo spettacolo di questi giorni, il Parlamento in seduta comune che dopo 28 votazioni non riesce ancora ad eleggere tre giudici della Corte Costituzionale (ben 3, dovrebbe essere più facile in una logica spartitoria!), viene presentato come una dimostrazione dell’incapacità del Parlamento e porta acqua al mulino del discredito delle istituzioni parlamentari e della rappresentanza dei cittadini.
È invece l’ennesima dimostrazione dell’arroganza del Governo e del redivivo patto del Nazareno, cioè dell’abusiva (dato che deriva dal Porcellum dichiarato incostituzionale) maggioranza renziana + le truppe di Berlusconi sgangherate sì, ma sempre pronte al supporto in cambio di qualche elemosina di potere.
Vediamo un po’, la Costituzione richiede una maggioranza “qualificata” dei componenti dei 2/3 nei primi 2 scrutini e dei 3/5 nei successivi.
Insomma, ben consapevoli dei rischi di politicizzazione spinta dei membri di nomina parlamentare (gli altri 10 li nominano il PdR e la magistratura) i costituenti avevano richiesto un largo consenso parlamentare allo scopo, se non altro, di garantire un’equa distribuzione degli orientamenti politici o giurisprudenziali dei nuovi giudici. Poi, se il dissidio è profondo o il Parlamento molto frammentato si ripiega (i 3/5) su di un consenso più ridotto, ma sempre più ampio di una semplice maggioranza di governo. Pensate che quando la Costituzione (1948) e l’ultima legge costituzionale che regola la materia (1967) furono scritte vigeva ed era considerata scontata una legge elettorale pienamente proporzionale: insomma i 3/5 dei parlamentari volevano dire proprio circa i 3/5 degli lettori, che per parte loro, andavano a votare in massa alle politiche (affluenza di circa o più dell’80%.
E così, giusto per fare la parte degli arroganti, Renzi – Verdini – Berlusconi nemmeno li consultano quelli che in parlamento rappresentano più del 35% degli elettori e cercano di imporre una spartizione dei posti che gode dell’appoggio di misura dei 3/5 dei parlamentari.
C’è da stupirsi allora che non si riesca ad eleggerli? E di chi è la colpa? Tanto più se si presentano candidati che proprio asettici non sembrano: Paolo Sisto è parlamentare ed è stato relatore
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Ripristinare il diritto contro il caos
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, interpretando i sentimenti più profondi di tutti i suoi aderenti e del popolo italiano, condivide il dolore delle famiglie delle vittime ed esprime la propria vicinanza all’intero popolo francese per l’orribile strage ed il vile attacco alla democrazia francese, culla dei diritti dell’uomo.
I tragici fatti di Parigi, difficili persino da immaginare prima che accadessero, sono una dimostrazione eclatante della crisi dell’ordine pubblico internazionale e del fallimento delle politiche di potenza con cui, al termine della guerra fredda, le principali potenze occidentali hanno ritenuto di regolare le relazioni internazionali con la pretesa di sostituire la forza al diritto.
Dopo l’89 è stato sprecato il patrimonio di saggezza elaborato dalle nazioni che avevano sconfitto il nazismo e che puntava a creare un nuovo ordine internazionale in cui la pace era assicurata dal diritto.
L'umanità, nel corso della prima metà del secolo scorso, ha sperimentato con le due guerre mondiali, con Auschwitz, con Hiroshima, una vera e propria discesa agli inferi. Nel 1945 i leaders delle principali potenze alleate, per necessità storica, hanno deciso di chiudere la porta dell'inferno, sbarrandola con pesanti lastre di acciaio. Quelle lastre si chiamano ripudio della guerra, astensione dalla minaccia o dall'uso della forza nelle relazioni internazionali, eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, risoluzione pacifica delle controversie, cooperazione internazionale per lo sviluppo, rispetto del diritto internazionale, repressione di ogni violazione della pace, ricorrendo, come estrema ratio all’uso della forza attraverso una forza armata dell’ONU.
Il diritto internazionale, con le garanzie previste dalla Carta dell’ONU, costituiva il principale e più efficiente sistema di sicurezza collettivo. Il diritto dei diritti umani, fondato sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e le Costituzioni democratiche del dopoguerra operavano per il rafforzamento ed il rilancio del diritto internazionale e, quindi, della sicurezza collettiva.
La Costituzione italiana, traendo insegnamento dai tragici fatti della storia, coerentemente con lo Statuto della Nazioni Unite, aveva ripudiato lo strumento della guerra ed impegnato l’Italia ad operare nelle relazioni internazionali per costruire la pace attraverso la giustizia nel rispetto del diritto internazionale.
A partire dalla prima guerra del Golfo nel 1991, il diritto internazionale è stato brutalmente calpestato ed è stato abrogato il sistema di sicurezza collettivo bastato sul diritto e sul ruolo di mediazione e di garanzia dell’ONU. Le nazioni che avevano in mano le chiavi della forza le hanno utilizzate per imporre i propri interessi nazionali al di fuori di ogni contesto di giustizia. In questo modo è stata avviato un percorso verso il caos, che ha raggiunto il suo massimo sviluppo con la nascita ed il radicamento dell’Isis.
Gli eventi di questi giorni sono una tragica conferma che non vi può essere sicurezza collettiva senza diritto.
Occorre ripristinare i principi di pace e giustizia e le garanzie del diritto internazionale che si realizzano attraverso l’intervento dell’ONU, occorre ricostruire l’unità fra le nazioni che sconfissero il nazismo per ripristinare i principi ed i valori del diritto internazionale, a cominciare dall’inviolabilità delle frontiere e dal dovere di reprimere il genocidio, nel rispetto delle procedure e con le sanzioni previste dal diritto internazionale.
Domenico Gallo - Alfiero Grandi
Commenta (0 Commenti)Un impatto pari allo 0,3%. Questa sarebbe la forza espansiva che il Centro Studi di Confindustria riconosce alla legge di stabilità presentata con ritardo dal governo Renzi. Dato e non concesso che la stima sia attendibile, non è davvero un granché.
Tanto più che in Europa vi è grande eccitazione dopo l’annuncio di Draghi che dichiara la Bce pronta a un nuovo Quantitative Easing e addirittura ad una riduzione del tasso già negativo dei depositi delle banche presso la Banca centrale europea. Il tutto dovrebbe essere deciso nella riunione di dicembre, ma l’euforia è già scattata. Le Borse volano, spread sotto i 100, l’euro scivola in pochi minuti a 1,12 nei confronti del dollaro.
Illusioni, poiché gli effetti di una politica monetaria espansiva di per sé ricadono essenzialmente sui mercati finanziari, mentre l’economia reale resta debolissima. Anche negli Usa dove pure il Pil cresce con ben altri ritmi. Nello stesso tempo il Qe spinge i capitali verso i mercati azionari, con conseguente dilatazione ulteriore delle diseguaglianze sociali in termini di reddito. Ma tutto questo alle élite europee poco importa. Conta per loro aggrapparsi a Draghi, novello Wolfe come nel celebre film di Tarantino, che non aspetta, ma lavora e risolve i problemi.
La legge di stabilità di Renzi si conferma così strumento di consenso elettorale e insieme di formazione di un blocco di potere. Ma tra i post altisonanti e il testo finale qualcosa si è perduto per strada. I punti gioco vengono ridotti a 15mila rispetto ai 22mila iniziali. La Tasi viene reintrodotta su ville e castelli, nonché sulle abitazioni signorili se si tratta di prima casa. Ma i possessori dei 74mila immobili citati godranno comunque di uno sconto non da poco: quasi mille euro in media, in virtù della riduzione della aliquota massima. Non si sa ancora in quante tranche verrà pagato il canone Rai, ma resta la misura di accorparlo alle bollette elettriche.
Curiosa misura antievasiva per un governo che invece ha elevato il contante da mille a tremila euro e che minaccia di difendere la misura pro-evasione a colpi di voti di fiducia.
Ma il piatto forte delle ultime ore è stato lo scontro sulla sanità. Il fondo per il Servizio sanitario nazionale (Ssn) verrà incrementato di un miliardo di euro invece che di tre. Ma non si sa se quell’aumento comprenderà i nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza) o no; se è già compreso l’aumento contrattuale per il personale medico o meno; che ne sarà dei farmaci innovativi. Incertezze non da poco, perché quel miliardo potrebbe risultare del tutto insufficiente. In questo caso le Regioni dovrebbero aumentare i ticket, già robusti e salati.
Provvedimento quanto mai impopolare, che aumenterebbe la rinuncia alla cura e alle prestazioni del servizio sanitario pubblico da parte di ampi strati della popolazione dotati di minore reddito, come già mettono in rilievo diverse indagini e ricerche.
Ne è nato uno scontro tra il Governo e le Regioni, che si è materializzato nelle dimissioni, irrevocabili, ma per ora congelate, di Sergio Chiamparino, il “governatore dei governatori”, ovvero il presidente della Conferenza Stato-Regioni. I rapporti si erano già inaciditi a seguito delle dichiarazioni della ministra della sanità Lorenzin, sulle prevalenti responsabilità delle Regioni nella malasanità e quindi sul fallimento del federalismo.
Ipocrisia a palate, come si vede. Da un lato il governo si fa vanto della revisione della Costituzione che doterebbe il paese di un Senato delle autonomie. Dall’altro, alla prima occasione, svela la vera natura accentratrice e neocentralistica di quella sciagurata controriforma – che ci auguriamo di cancellare nel referendum dell’anno prossimo – ribadendo la subordinazione delle Regioni. Il tutto mentre la spesa sanitaria italiana rimane a un livello inferiore rispetto a molti paesi della Ue, malgrado questa manovra finanziaria. La stessa Corte dei Conti ha riconosciuto al Ssn di avere contribuito non poco al risanamento dei conti pubblici.
Non è una novità. Succede così da anni con il sistema pensionistico dei lavoratori dipendenti. Ovvero i principali istituti del welfare state sono finanziatori dello Stato, più che essere finanziati dal medesimo o quanto meno protagonisti di una riduzione del suo deficit. Poiché il ricamo della spending review si è rivelata un fallimento e anche Perotti, il terzo della serie, è procinto di gettare la spugna, Renzi usa la scure.
Diminuzione di spesa sociale e diminuzione delle tasse per i ceti più abbienti sono dunque le reali colonne della cosiddetta manovra espansiva di Renzi. La raccomandazione della Commissione europea a proposito della necessità di diminuire la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro può creare qualche frizione, ma può essere aggirata dal fatto che comunque agli imprenditori il governo ha già dato non poco con gli incentivi del Jobs Act. Renzi ha parlato di un’opposizione a prescindere, riferendosi alla minoranza dem. Al contrario qui c’è un overdose di materiale su cui opporsi e contro cui costruire un’alternativa. La stessa sinistra dem dovrebbe trarne le debite conseguenze, anziché accodarsi al voto.
Commenta (0 Commenti)LA VIA REFERENDARIA È INEVITABILE, NON TENTARLA VORREBBE DIRE CONSEGNARE A RENZI LA VITTORIA SENZA COMBATTERE
ATTACCO ALLA COSTITUZIONE: costruiamo il fronte del ‘no’
Non si tratta di difendere la situazione attuale ad ogni costo, in particolare il ruolo attuale del Senato, bensì di sostituire ad un sistema di garanzie altre garanzie: altrimenti ci troveremmo di fronte ad una mera sottrazione
■ di ALFIERO GRANDI
La maggioranza dei senatori sembra determinata ad approvare le modifiche della Costituzione incurante dei danni che questa manomissione degli equilibri istituzionali del nostro paese, insieme alla nuova legge elettorale, provocherà nel già malandato funzionamento della nostra democrazia.
Parto da un episodio minore accaduto pochi giorni fa. La Camera ha approvato quello che molti definiscono un tentativo di mettere un bavaglio alle intercettazioni e un limite alle indagini della magistratura. Non è un provvedimento di cui il governo possa andare fiero, tuttavia l’aspetto che mi interessa sottolineare è che il Ministro Orlando, per cercare di ammorbidire le dure critiche, provenienti soprattutto dalla magistratura, ha promesso che in seconda lettura il Senato potrà cambiarne alcuni aspetti. E’ un comportamento molto frequente. Governo e parlamento perfezionano spesso in seconda lettura testi altrimenti inaccettabili o quanto meno imperfetti.
E’ uno dei modi in cui hanno funzionato le garanzie democratiche nel nostro paese: una prima lettura di massima delle leggi e il loro perfezionamento nella seconda. In futuro le leggi verranno approvate senza la doppia lettura che resterà solo per casi rarissimi e fermo restando che la Camera potrà sempre confermare in conclusione la sua versione della legge. Naturalmente si possono scegliere altri sistemi di garanzia e cercare un nuovo equilibrio, a partire dalla possibilità che fiducia e sfiducia verso il governo siano attribuite alla sola Camera dei deputati. Quindi la questione non è difendere la situazione attuale ad ogni costo, in particolare il ruolo attuale del Senato, ma sostituire ad un sistema di garanzie altre garanzie, altrimenti è una mera sottrazione. La manomissione della Costituzione che porta le firme di Renzi e Boschi non crea un nuovo equilibrio democratico, basato su pesi e contrappesi, anzi prospetta una Camera sproporzionata rispetto al senato (630 contro 100) che, diventando di fatto l’unico organo di rappresentanza che dà la fiducia o la toglie al governo, per di più viene eletta con un sistema ipermaggioritario che consegna al partito vincitore delle elezioni tutto il potere. Se poi il vincitore è anche in grado di decidere liste ed eletti grazie alla doppia veste di Presidente del Consiglio segretario del Pd il gioco è fatto: la Camera diventa totalmente subalterna al governo, ribaltando i principi della nostra Costituzione. Inoltre il vincitore delle elezioni deciderà di fatto il Presidente della Repubblica e influenzerà pesantemente la composizione della Corte costituzionale e del Csm.
Alla fine di questo percorso decisionale il “capo” del governo diventerà l’unico vero decisore, senza possibilità di essere contraddetto, almeno non prima delle nuove elezioni. Per completare questo disegno autoritario ed accentratore viene modificato in profondità anche il titolo V che attribuisce poteri alle Regioni e ai Comuni. Per fare un esempio, le Regioni hanno promosso un referendum abrogativo della legge del governo che autorizza trivelle a gogò, ma in futuro con la nuova divisione dei poteri questo diventerà pressochè impossibile perché le Regioni perdono sostanziali poteri sul territorio. Inoltre la RenziBoschi, non appagata da questo accentramento, ha pensato bene di imporre tempi prefissati per l’approvazione dei provvedimenti del governo, norme che si aggiungono ai decreti legge che già la fanno da padrone nei lavori parlamentari. Così non solo la Camera sarà subalterna al governo per effetto del sistema elettorale ma dovrà lavorare con i tempi e le modalità decise dal governo.
Sorge un altro serio problema. La Corte costituzionale ha sanzionato pesantemente la legge elettorale (porcellum) con cui è stato eletto questo parlamento. E’ vero che gli atti decisionali adottati fino alla sentenza della Corte sono stati fatti salvi. Tuttavia in seguito alla sentenza della Corte un poco di prudenza nei comportamenti di questo parlamento non avrebbe guastato. Può un parlamento eletto con un premio di maggioranza sotto accusa decidere un nuovo premio di maggioranza che potrebbe perfino essere maggiore di quello del porcellum in caso di ballottaggio? Può modificare la Costituzione introducendo un premierato forte (anzi fortissimo)? Non dovrebbe ma lo sta facendo, dimenticando che modifiche della Costituzione così impegnative dovrebbero avvenire attraverso una rappresentanza effettiva quindi proporzionale delle posizioni politiche e culturali presenti nel paese. Senza dimenticare che queste modifiche contraddicono lo spirito della Costituzione vigente, nata dalla Resistenza.
E’ un fatto molto grave e serio quanto sta avvenendo e riguarda la democrazia del nostro paese. Purtroppo il Pd sembra non rendersi conto dei guasti che provocheranno queste decisioni. Purtroppo le speranze destate dall’opposizione a queste scelte da parte di esponenti del Pd oggi sembrano rientrate nella logica della prevalenza dell’accordo interno al partito, che su questioni come la Costituzione non dovrebbe prevalere. Si finge di non vedere l’esplicito soccorso al governo (Verdini e c.) a sostegno di queste modifiche da parte di settori del centro destra. La ragione è chiara, in fondo queste scelte del governo sono largamente ispirate ad una logica di accentramento del potere per far passare, piaccia o non piaccia, scelte politiche che hanno visto sempre più nel mirino i sindacati e hanno sposato il punto di vista delle imprese, imponendo sacrifici e rinunce ad alcuni e vezzeggiando altri. Le scelte autoritarie servono a questo. Se si vogliono dare soldi alle imprese occorre tagliare la spesa sociale e l’accentramento decisionale è l’unico modo per imporre le scelte, o almeno per provarci. Del resto nella scuola un grande e forte movimento unitario ha subito l’onta dell’approvazione di una legge che non voleva. Ora che può fare il mondo della scuola, se non vuole subire, se non opporsi con gli strumenti che restano a disposizione? Per questo occorre considerare seriamente il ricorso ai referendum per tentare di bloccare questo disegno di stabilizzazione moderata, di cui purtroppo il Pd di Renzi è protagonista.
Lo spiazzamento in questa situazione è determinato dal fatto che politiche moderate e conservatrici vengono sostenute da chi dovrebbe costituire parte importante del centro sinistra e il Pd sta subendo un’evidente e preoccupante deriva moderata.
Troppi pensano che i problemi del funzionamento istituzionale siano della casta. E’ un errore gravissimo, in parte effetto della propaganda dei gruppi dominanti che sperano in questo modo di allontanare ancora di più i cittadini dalla vita politica e da ogni velleità di partecipazione, in modo da lasciare campo libero alle tecnocrazie e alle classi dominanti del paese, secondo una linea che vuole definire chi governa e chi è governato, punto e basta.
Le forme della rappresentanza parlano della democrazia, delle forme di partecipazione, della vita delle persone. Lungo il sentiero immaginato da Renzi la governabilità è tutto, la partecipazione e la possibilità di contrastare scelte non condivise non ha alcuna importanza. Eppure i padri costituenti avevano immaginato una democrazia com plessa, con contrappesi, tale da favorire la partecipazione delle classi sociali, in particolare di quelle subalterne, alla vita politica e alle decisioni. Qui cambia tutto, l’astensione viene data per scontata, la partecipazione che serve è quella che consente di scegliere all’interno della classi dominanti chi deve governare e basta. Quindi l’astensionismo crescente non è visto come un problema, anzi peggio viene considerato costitutivo di una democrazia matura.
L’assetto istituzionale che Renzi disegna serve alla stabilizzazione dei poteri dominanti, quindi ritenere che sia un problema di altri vuol dire lasciare campo libero a questa manovra e subirne gli effetti futuri. Purtroppo il Pd si è ricompattato su queste scelte istituzionali. La minoranza ha accettato un terreno di compromesso che non ha risolto alcunché e di fatto si è consegnata alla maggioranza renziana. Non c’è affatto la certezza che i senatori verranno eletti dai cittadini perché il pasticcio linguistico dell’emendamento condiviso anche dalla minoranza del Pd non garantisce il diritto dei cittadini di eleggere i senatori perché questo potere è a mezzadria con i consigli regionali e rinviato ad una futura legge di cui nulla è dato sapere. Inoltre resta la sostanza di un Senato ridotto a dopolavoro, tranne che per l’immunità, con troppo pochi componenti rispetto alla Camera e con una drastica riduzione dei poteri. Non si tratta di difendere acriticamente il ruolo attuale del Senato quanto della pretesa di conoscere quali garanzie sostituiranno quelle esistenti, in corso di smantellamento. Questa risposta non c’è ed è per questo che al referendum confermativo sulle modifiche costituzionali occorre organizzare il no, sia per contrastare il tentativo di ottenere un plebiscito da parte di Renzi sia per inserire il no nel contesto di un contrasto del disegno renziano, che non comprende solo le modifiche costituzionali. Questo referendum obbligherà tutti a scegliere e non impegnarsi in questa battaglia sarebbe un errore storico. Quindi occorre mettere in discussione insieme le modifiche che stravolgono la Costituzione attuale che la legge elettorale promuovendo referendum abrogativi e, se possibile, mettendo in discussione alcuni dei provvedimenti più odiosi come la legge sulla scuola e il jobs act, la legge che autorizza trivellazioni in barba alla difesa dell’ambiente.
La via referendaria è a questo punto inevitabile, non tentarla vorrebbe dire consegnare a Renzi la vittoria senza nemmeno combattere. Sulle modifiche della Costituzione il referendum ci sarà perché difficilmente, malgrado tutto, il governo otterrà i 2/3 dei voti necessari per evitarlo. Sulla legge elettorale e su altri argomenti di grande peso sociale perché è necessario che i cittadini italiani sappiano cosa accadrà per effetto della combinazione di queste leggi con le modifiche costituzionali. La modifica dei meccanismi decisionali trova infatti delle illuminanti anticipazioni in leggi che sono un’autentica forzatura della Costituzione vigente e un’anticipazione di quello che verrà, se le modifiche andranno in porto. C’è stato un tentativo di anticipare i tempi dei referendum che non ha avuto il consenso necessario. Per condurre questa sfida occorre costruire uno schieramento ampio e unitario, perché la raccolta delle firme per arrivare ai referendum che pure è impegnativa è solo il problema iniziale in quanto i referendum si promuovono per vincerli, non per fare testimonianza e quindi occorre convincere la maggioranza degli elettori che vale la pena di andare a votare, cosa non facile di questi tempi. Fin dall’inizio occorre cercare di costruire un fronte largo, unitario ed includente con l’obiettivo di convincere a votare almeno il 50% più uno degli elettori. Se i referendum vincessero arriverebbe al governo un segnale forte che ne bloccherebbe la deriva moderata. La vera questione e’ se i referendum riusciranno a diventare occasione per ridare fiducia e per promuovere una mobilitazione di massa, del resto questo e’ il carattere proprio dei referendum.
Naturalmente sarebbe importante avere anche in contemporanea lo sviluppo di una parte più costruttiva, di proposte, come la presentazione connessa alla campagna referendaria di leggi di iniziativa popolare sugli argomenti più importanti.
La proposta avanzata dal coordinamento per la democrazia costituzionale che si occupa in particolare di modifiche costituzionali e legge elettorale è di costruire per la prossima primavera una campagna per il ‘no’ al referendum sulle modifiche della Costituzione e per abrogare 2 aspetti fondamentali della legge elettorale. Anzitutto per togliere il premio di maggioranza al primo e al secondo turno e poi per ridare ai cittadini il diritto di scegliere i deputati che di fatto verranno nominati anche in futuro dai capi partito. Se a questi impegni si aggiungeranno altri obiettivi, come la promozione di referendum su lavoro e scuola, si profilerà una campagna referendaria importante e in questo ambito non va dimenticato che su proposta di un movimento Notriv e per il ricorso di 10 regioni nella prossima primavera potrebbe esserci un fronte sufficientemente ampio da costringere il governo per la prima volta a rivedere le sue scelte di merito e questo non potrebbe che essere positivo. ■
Commenta (0 Commenti)(Luciana Castellina da il manifesto)
Non sono greca e perciò domenica non voto. Tantomeno sono autorizzata a suggerire ai greci come votare. Ma non me la sento nemmeno di dire che questa mia astensione deriva dal fatto che i loro sono affari che non mi riguardano. Se un anno fa in tanti ci siamo ritrovati a sostenere (o meglio a costruire) una lista che si è chiamata l’«altra Europa con Tsipras» non è stato per via di una stravaganza modaiola, perchè Siryza stava vincendo e noi in Italia no. E’ stato perchè abbiamo capito che la partita che Alexis stava ingaggiando con i mostri dell’euro capitalismo era anche la nostra partita. Per questo oggi, almeno virtualmente, votiamo anche noi. Come andrà a finire la vicenda greca riguarda tutti gli europei. Perché il governo di Syriza ha aperto, finalmente, un contenzioso di carattere generale su cosa debba e cosa non debba essere l’Unione Europea, una questione che è destinata a segnare il nostro futuro e dunque tutti ci coinvolge. Fino al luglio scorso su quale fosse la nostra parte politica non ci sono stati dubbi. È facile quando le cose si sviluppano in modo lineare. Purtroppo, però, non accade quasi mai. Non è accaduto neppure in questo caso. Sappiamo tutti di cosa sto parlando: della rottura che si è verificata in Syriza per via di un diverso giudizio su un quesito reso drammatico dalle condizioni feroci in cui è stato posto: accettare, pur considerandolo tremendo, di gestire il memorandum che conteneva il diktat della Troika, sperando di riuscire ad evitare i danni peggiori, e cioè cercando di rendere almeno un po’ più equa la stupida austerità imposta, oppure rifiutare, e scegliere la strada impervia di una isolata uscita dall’Eurozona. Io sono fra coloro che ritengono
Leggi tutto: Grecia, restare sul ring per tenere aperta la possibilità di una alternativa
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