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Legge elettorale. Tre condizioni per una riforma che metta al centro il rapporto tra cittadini e politica

Un seggio elettorale a Genova

 

Un seggio elettorale a Genova © Ansa

La rielezione di Mattarella sembra proprio paragonabile a un forte terremoto, la cui onda d’urto si stenta ancora a comprendere pienamente. Il sistema politico e istituzionale italiano ne uscirà comunque molto diverso: tutto sta a vedere in quale direzione.

Tra molte altre, si riapre forse anche la questione della legge elettorale.

Non c’è dubbio che il sistema dei partiti, ha rivelato tutta la sua fragilità. Ma bisogna prima capire in che modo rispondere ad alcune domande: il sistema politico e istituzionale è in crisi perché «non sa decidere», o perché siamo di fronte ad un radicale deficit di legittimazione democratica della rappresentanza e all’assenza di partiti in grado di svolgere decentemente i loro compiti? Come si affronta questo deficit? Ci sarà ancora qualcuno che potrà parlare, senza arrossire, di bipolarismo e di «maggioritario»?

Solo una riforma elettorale proporzionale potrà aiutare a perseguire una decente ristrutturazione del sistema dei partiti, riallineando la rappresentanza politica lungo un asse destra-centro-sinistra che conserva tutta la sua rilevanza e riportando in primo piano le culture politiche presenti nella società italiana.

Dovrebbe essere oramai chiara l’insostenibilità di uno schema dottrinario «bipolare» e gli effetti di frammentazione che sono stati prodotti proprio dai sistemi che, sulla carta, avrebbero dovuto legare i partiti ad una coalizione. Ma non basta dire «proporzionale». Con la riduzione del numero dei parlamentari, diventa decisivo il modo con cui questi vengono eletti, legittimati e selezionati: e allora, si cominci a discutere nel merito.

Le «tecnicalità», in questa materia, sono forse noiose, ma sono intrinsecamente politiche. E quindi invito il lettore ad un attimo di pazienza…

In primo luogo, il ritorno al voto di preferenza sembra necessario in questo passaggio della storia politica italiana. Il voto di preferenza, in generale, presenta molte contro-indicazioni; ma queste possono essere limitate con alcune correzioni: in particolare, aumentando il numero delle circoscrizioni, eleggendo cioè non più di sei-otto parlamentari per ogni area territoriale. In tal modo, anche i costi delle campagne elettorali possono essere contenuti, e si può ridare all’elettore un potere di scelta sulla propria rappresentanza, ricostruendo un legame tra partiti, candidati e territorio.

In secondo luogo, occorre adottare un sistema di attribuzione dei seggi simile a quello della «Prima Repubblica», che preveda cioè l’elezione «dal basso», ossia il meccanismo dei quozienti pieni e poi del collegio unico nazionale per i resti.

In terzo luogo, è necessaria una soglia di sbarramento al 5%, ma prevedendo (come accade in forme diverse anche in Germania) che questa soglia possa essere «aggirata» se «scattano» alcuni quozienti pieni in almeno tre circoscrizioni.

Con questa combinazione di regole, ogni elettore può conoscere meglio i candidati, votare un proprio rappresentante, e sa di poterlo eleggere nel proprio territorio. So che una soglia di sbarramento elevata suscita reazioni negative in una parte della sinistra: ma è fondamentale introdurla. È l’unico modo per tagliare drasticamente, da un lato, nella galassia centrista, le piccole e grandi rendite di posizione che i sistemi «a premio», con il vincolo di una coalizione pre-elettorale, conferiscono a tutti i micro-partiti personali; e per costringere, dall’altro lato, le forze a sinistra del Pd, se non vogliono ridursi ad una (sempre più debole e irrilevante) testimonianza identitaria, a trovare un punto di unità realistico e credibile (quello che sta succedendo alla sinistra francese, in vista delle presidenziali di aprile, è tragico e grottesco allo stesso tempo).

Infine, ci sono gli scenari tattici: non sarà facile condurre in porto una decente riforma elettorale. A destra stanno volando gli stracci, ma Meloni e Salvini hanno un comune interesse a tenere al guinzaglio Forza Italia, conservando un sistema che la costringa ad un’alleanza preventiva.

Nei convulsi giorni alle nostre spalle, è stato curioso vedere i piccoli gruppi centristi del centro-destra schierarsi per il proporzionale: chissà, a volte alcuni effetti benefici si possono anche produrre attraverso le vie più impreviste e meno scontate.

Ma l’interrogativo più rilevante riguarda il Pd: avrà il coraggio di lasciarsi alle spalle la retorica del «maggioritario»?