Tutti sanno che per far finire la guerra fra Russia e Ucraina c’è solo una scelta: far tacere le armi e lavorare per ricostruire le basi di una trattativa.
Nessuno può negare, ma ipocritamente non si dice, che le proposte avanzate nella disperante guerra ucraina sarebbero più credibili se chi le propone non dipendesse così pesantemente dal punto di vista energetico da uno dei contendenti, la Russia, cioè chi ha scatenato la guerra. Ben altra forza avrebbe avuto l’azione diplomatica europea se quando si cominciò a prendere coscienza della crisi climatica, quasi trent’anni fa, si fosse deciso di perseguire subito l’obiettivo della sovranità energetica, sviluppando le rinnovabili. Ed invece non è andata così.
Se il ministro Cingolani e i suoi consiglieri guardassero – e condividessero con i cittadini – i dati necessari a disegnare la transizione energetica anziché affidarsi a quelli forniti da chi ha interesse a contraffarli sarebbe un buon servizio per il Paese e per la democrazia. Se invece vogliono confutarli, indichino con precisione dove e perché sarebbero sbagliati quelli su cui concordano invece tutte le formazioni ambientaliste.
I nostri sono quelli elaborati dall’ingegner Sorotkin, membro del comitato scientifico della Lega Ambiente, che li ha resi noti a tutti. Ci dicono che se il nostro Paese avesse mantenuto il ritmo di crescita delle fonti rinnovabile che si consolidò nel triennio 2010/2013 avrebbe potuto ridurre di oltre il 70% le importazioni di gas dalla Russia.
In dettaglio:
-per coprire l’intero fabbisogno energetico italiano (usi civili, industriali e trasporti) servono circa 350 Gw (gigawatt) di potenza installata;
-per soddisfarla basta utilizzare un mix rinnovabile composto da sole, vento e acqua, fonti disponibili ampiamente nel nostro Paese; l’idroelettrico, cioè l’acqua, può coprire il 10% del fabbisogno ed è una fonte rinnovabile programmabile, quindi in grado di dare stabilità alla rete elettrica quando manca il sole e non c’è vento;
-il 45% potrebbe essere coperto dall’energia solare coprendo con pannelli fotovoltaici venti metri quadri di superficie per abitante. È inconsistente l’obiezione che così si rovinerebbe il paesaggio visto che la superficie cementificata nel nostro Paese copre circa 350 metri quadri per abitante e basterebbe quindi coprire tetti, capannoni, pensiline senza occupare nuovo suolo; un altro 40% del fabbisogno verrebbe dal vento, installando 10 mila turbine di cui 3000 a mare;
-il rimanente 5% lo coprirebbero le biomasse, la geotermia e i rifiuti.
-Infine sul problema degli accumuli di energia va sottolineata l’importanza dei nostri laghi da cui si può pompare acqua nei bacini idroelettrici superiori, come fanno nell’isola di Hierro nella quale pompano l’acqua dall’oceano nel cratere di un vulcano e facendola ricadere coprono l’intero fabbisogno elettrico dell’isola.
Nel loro insieme dimostrano che non ci sono limiti oggettivi alla costruzione di un modello energetico rinnovabile, ma solo limiti politici. Altrettanto inconsistente è l’obiezione sui tempi della transizione. Se non si comincia mai, naturalmente sono lunghissimi. In Italia se ne è sprecato già molto e per calcolarli serve adesso sapere dal governo quanto, e a partire da quale data, si intende investire nei prossimi tre anni, nei settori che abbiamo indicato.
Si facciano dunque vedere numeri chiari, si semplifichino le procedure autorizzative, ci si proponga di costruire la filiera industriale necessaria, si metta mano alla indispensabile formazione di chi dovrà essere protagonista di questa rivoluzione che può portare moltissimo lavoro, ma diverso.
Commenta (0 Commenti)Scenari. Il conflitto ucraino assume ora la veste di un scontro diretto Russia-Nato per interposta Ucraina come dimostra l’attacco contro la base militare di Yavoriv, a 25 km dal confine polacco
Kharakiv, Ucraina © Ap
Siamo arrivati al ventesimo giorno di guerra d’aggressione all’Ucraina e ancora non sappiamo se e quando arriverà il cessate il fuoco. Quello che sappiamo è che ogni giorno, ogni ora di guerra semina fiumi di sangue e di lacrime, provoca morte, distruzioni e miseria. Col passare del tempo il conflitto diventa più feroce e rischia di espandersi.
L’attacco contro la base militare di Yavoriv, situata a 25 km dal confine polacco, ha spinto il conflitto ai confini della Nato ed ha evidenziato la presenza di personale militare straniero che collabora attivamente con le forze armate ucraine. La fornitura di armi da parte di paesi dell’Alleanza atlantica e la presenza di «addestratori», fa crescere il rischio di escalation del conflitto. La richiesta incessante del presidente Zelenski di istituire una no fly zone esprime un chiaro disegno di coinvolgere nel conflitto armato i paesi europei e gli USA. Dal suo punto di vista è comprensibile perché è l’unica chance che potrebbe consentire all’Ucraina di sconfiggere un esercito invasore molto più potente.
Eppure gli stessi Usa e i Paesi membri della Nato sono riluttanti a farsi coinvolgere direttamente nel conflitto armato poiché si rendono conto che in questo modo si innescherebbe la terza guerra mondiale. «Altro che vincere facile, in Iraq in Bosnia e Libia le superpotenze la adottarono contro Paesi di bassa capacità militare, lasciando poi solo miseria e instabilità. Proporla contro la Russia sarebbe una catastrofe», scrive il generale Fabio Mini. Così la via verso il disastro di una nuova guerra mondiale è aperta e
Leggi tutto: È necessario guardare al futuro per fermare la guerra - di Domenico Gallo
Commenta (0 Commenti)Deriva ucraina. Al vertice europeo di Versailles, dove sono passati gli accordi su energia e spese militari, è fallita la strategia del premier Mario Draghi che intendeva la sospensione sine die del Patto di stabilità e un secondo Recovery Fund per sostenere le economie colpite dal conflitto in Ucraina.
Vladimir Putin, partecipa a una riunione del Consiglio di Sicurezza © Ap
Due o tre cose cominciano a essere chiare di questo conflitto di cui su il manifesto e altrove è stata indicata la tragica “piega siriana”. 1) Da operazione lampo quella russa si è trasformata in spedizione punitiva sulla popolazione civile. E non si vede per ora via di uscita. 2) Inviando armi all’Ucraina siamo parti belligeranti, inutile girarci intorno. I russi hanno dichiarato che colpiranno i convogli con i rifornimenti bellici. Quella che conduciamo si chiama guerra per procura 3) Più la guerra si prolunga più si moltiplicano i morti e le possibilità di “incidenti” diretti tra Russia e Nato.
La guerra per procura al momento è questa: gli ucraini, come riportava giorni fa il New York Times, sono assistiti da specialisti Usa, Gb e contractors, Putin a sua volta ha annunciato l’arrivo dalla Siria di contractors, o mercenari, da impiegare per la pulizia etnica nelle città. Un annuncio a dir poco curioso: impiegare mercenari siriani in una guerra dove Putin vuole ripristinare in parte i confini della vecchia Russia.
La Siria, alleato di ferro di Mosca dai tempi di Assad padre, secondo la nostra intelligence, nei giorni scorsi ha tentato di hackerare le reti italiane che fiancheggiano Usa e Nato. Il marchio “siriano” nella campagna militare è già evidente negli attacchi della Russia: colpire i civili per fiaccarne il morale, incidere sul legame tra la popolazione e le forze ucraine, svuotare il più possibile le città per combattere meglio un’eventuale guerriglia urbana e attuare una pulizia etnica legata agli obiettivi di Vladimir Putin, ovvero la resa senza condizioni dell’Ucraina e l’occupazione di tutta la fascia del Mar Nero così strategica che intende annettersela. Obiettivi di massima, evidentemente.
Sul fronte diplomatico esterno Putin continua a subire le pressioni, come le telefonate di ieri di Macron e Scholtz, per un cessate il fuoco, ancora respinto. Lo stesso tipo di pressioni investono il presidente ucraino Zelenski per sedersi a un tavolo a trattare, sempre che la Russia lo accetti.
La pressione maggiore Zelenski, oltre che da Putin, la subisce dalla Nato e dagli Usa che sono diventati in tutti i sensi i suoi “guardiani”: deve smettere di chiedere “no fly zone” o altro perché questo significa la terza guerra mondiale. Glielo dicono anche gli israeliani che lui – lo ha fatto anche ieri – vorrebbe coinvolgere per un altro tentativo diplomatico, dopo quello di Antalya, e che gli consigliano la resa – nonostante le smentite. I servizi israeliani ritengono che per ottenere qualunque risultato, come aveva già scritto su Haaretz l’ex capo del Mossad Ephraim Halevy, bisogna per prima cosa «salvare la faccia» a Putin. A che prezzo, oltre che la neutralità dell’Ucraina, è ancora tutto da vedere.
Sul piano interno russo il licenziamento, dato per certo da alcuni siti di informazione di due capi dei servizi della sezione 5 dell’Fsb, è assai significativo. Se fosse confermato che hanno fornito informazioni inattendibili vuol dire che Putin è caduto in una trappola. La conferma potrebbe venire proprio dallo scambio di battute gelide tra Putin e il suo capo dei servizi di intelligence esterni, Sergei Naryshkin, accaduto alla vigilia dell’invasione e in diretta tv. Dipende da come si interpreta un vento che non si era mai visto nella Russia di Putin. Forse non è stata una gaffe. Naryshkin ha mandato un messaggio, facendo capire ai suoi che non era d’accordo con la linea del capo. Che poi da questi accadimenti possa venire un movimento tellurico ai vertici del fronte interno russo è assai difficile da anticipare perché mancano solide informazioni.
Sul fronte europeo si delineano due aspetti, uno come ipotesi, un altro come fatto concreto. Uno è quello che si profetizza su alcuni giornali. Il malcontento derivante dalla crisi economica si salderà con un fronte interno europeo favorevole a Putin della popolazione che protesta per l’aumento dei prezzi a causa delle sanzioni imposte per il conflitto oltre che la grave mancanza di materie prime. Insomma potrebbero arrivare scene di lotta di classe intorno alla guerra in Ucraina.
In realtà per l’Italia lo scenario è già quello perdente. Anche se Draghi dice che la nostra economia non è in recessione. Al vertice europeo di Versailles, dove sono passati gli accordi su energia e spese militari, è fallita la strategia del premier Mario Draghi che intendeva la sospensione sine die del Patto di stabilità e un secondo Recovery Fund per sostenere le economie colpite dal conflitto in Ucraina. I Paesi cosiddetti rigoristi o frugali, come l’Olanda di Rutte, sono stati chiari: il Recovery Fund è stato uno e straordinario, un’operazione non ripetibile. Insomma, nessuna mega-emissione comune di Euro-bond per finanziare gli Stati. E, di fatto, i loro deficit. Un copione che riporta le lancette dell’orologio comunitario indietro a prima della pandemia e alla contrapposizione tra falchi e colombe. Tra gli stati ricchi e i poveri. La lotta di classe in questo senso è già cominciata.
Commenta (0 Commenti)Guerra ucraina. Quando gli alleati fornivano armi ai partigiani, infatti, erano già in guerra con la Germania; non solo, ma quella guerra la stavano vincendo e, particolare non secondario, avevano già «gli stivali sul terreno» in Italia, ed erano loro, non gli invasori tedeschi, che bombardavano le nostre città occupate col fine di far durare di meno la guerra
Odessa, Ucraina © Ap
Ho letto l’articolo di Luigi Manconi sulla moralità della resistenza in Ucraina e sulla giustezza di mandare armi. Non sono d’accordo (con Manconi non mi capita quasi mai) ma riconosco le ragioni e la serietà e ci penso. Vorrei che anche chi è d’accordo riconoscesse e rispettasse le mie, che non riguardano certo la moralità della resistenza – in Ucraina come in Italia o in Kurdistan – ma la difficoltà di un paragone storico fra tempi e contesti molto diversi. Forse anche per questo l’Anpi, che di Resistenza qualcosa sa, la pensa diversamente.
Quando gli alleati fornivano armi ai partigiani, infatti, erano già in guerra con la Germania; non solo, ma quella guerra la stavano vincendo e, particolare non secondario, avevano già «gli stivali sul terreno» in Italia, ed erano loro, non gli invasori tedeschi, che bombardavano le nostre città occupate col fine di far durare di meno la guerra. Quindi il paragone regge solo se: a) pensiamo di essere già in guerra con la Russia; b) pensiamo di vincerla militarmente; c) pensiamo che l’invio di armi abbrevierà il conflitto anziché prolungarlo, incaricando gli ucraini di fare la guerra con le nostre armi per nostro conto.
Ho nominato il Kurdistan. Non credo che ci fossero dubbi sulla moralità della resistenza nel Rojava. Però non solo non gli abbiamo mandato armi, ma mentre paragoniamo chi si arruola per combattere col battaglione Azov alle Brigate Internazionali di Spagna, gli italiani che sono andati a combattere nel Rojava li teniamo sotto sorveglianza di polizia perché possibili minacce all’ordine pubblico. È vero che il Rojava non stava «nel cuore dell’Europa»: stava in Turchia, paese nostro alleato, nel cuore della Nato, portatore dei nostri valori occidentali.
Manconi non lo dice e non credo che lo pensi, ma metterla in termini di moralità rischia di bollare come immorale chi la pensa in altro modo. Abbiamo troppo interiorizzato una mentalità antagonistica e non dialogica: sì green pass o no green pass, o servi di Putin o servi della Nato, o di qua o di là e chi sta di là è un nemico immorale. Siamo tutti convinti che l’aggressione deve finire e si deve raggiungere un compromesso. Discutiamo e litighiamo fra noi sui mezzi per arrivarci ma non dimentichiamo ciò che unisce e rende possibile parlarsi. E ascoltarsi.
Commenta (0 Commenti)Guerra. Da quando è cominciata la guerra in Ucraina l’incontro di oggi ad Antalya tra Lavrov e Kuleba presente il ministro Cavusoglu, è la mossa diplomatica più rilevante. Ancora una volta Ankara si distacca dall’Ue e dagli Stati Uniti: la sua astensione sulle sanzioni è rilevante perché parliamo del secondo maggiore esercito della Nato
Erdogan e Putin © Ap
Con la guerra si rimescola il Grande Gioco dell’Eurasia, dove l’Occidente con il disastroso ritiro dall’Afghanistan tocca sempre meno palla come dimostra il gran rifiuto a Biden di Arabia saudita ed Emirati sul calmiere all’oro nero. Come la Russia, la Turchia è un Paese eurasiatico e Ankara, come Mosca, è erede di un ex impero che Erdogan sta proiettando da anni dal Mediterraneo ai Balcani, dall’Africa all’Asia centrale turcofona: la Turchia si sente talmente autonoma nella Nato che non ha imposto a Mosca neppure una sanzione, cosa che gli alleati europei e americani _ media compresi _ evitano accuratamente di sottolineare.
PER QUESTO L’INCONTRO trilaterale tra il ministro russo Lavrov e il suo omologo ucraino Kuleba con il collega turco Cavusoglu rappresenta la mossa diplomatica internazionale più rilevante da quando è cominciata la guerra, anche se i russi rimarcano che avviene ai margini di un forum multilaterale in programma da tempo ad Antalya. La coincidenza che ad Ankara è in visita in queste ore il presidente israeliano Herzog, segnale di ulteriore riavvicinamento tra le due potenze mediorientali, aggiunge un peso ulteriore alle manovre di Erdogan che aveva tentato di organizzare un incontro tra Putin e Zelensky in Turchia prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ma senza riuscirci.
LA TURCHIA SI GIOCA buone carte con la Russia di Putin, anche se più dura la guerra e più difficile diventa un compromesso. Ancora una volta Ankara si distacca dall’Unione europea e dagli Stati Uniti: la sua astensione sulle sanzioni è rilevante perché parliamo del secondo maggiore esercito dell’Alleanza Atlantica e del Paese che si affaccia sul Mar e Nero e controlla gli Stretti dei Dardanelli, ovvero in posizione strategica di prima linea.
TURCHIA E RUSSIA sono paesi in competizione ma che collaborano in campi strategici. La cooperazione tra Putin ed Erdogan si è sviluppata in diversi ambiti. Il più importante è costituito dall’energia, e in particolare dal gas naturale. Con oltre il 33% degli approvvigionamenti di gas, la Russia è il primo fornitore della Turchia, nonostante negli anni la quota russa si sia ridotta come conseguenza della diversificazione energetica perseguita da Ankara e per l’arrivo sul mercato turco del gas dall’Azerbaigian. Il gas russo, che giunge in territorio turco attraverso due gasdotti sottomarini nel Mar Nero (il Blue Stream, costruito da Eni e inaugurato nel 2003, e il TurkStream, messo in funzione nel 2020), garantisce flussi costanti che non si sono interrotti neanche nelle fasi più critiche delle relazioni bilaterali, come quella seguita all’abbattimento di un jet russo in Siria da parte delle forze turche nell’ottobre del 2015.
ALLA COOPERAZIONE energetica si aggiunto un nuovo e assai sensibile comparto, quello della difesa. Nel 2019 Ankara ha infatti acquistato il sistema di difesa missilistico russo S-400, per cui la Turchia, membro della Nato, è stata espulsa dal programma degli F-35.
Al di là del gas, la collaborazione si è estesa anche al nucleare, con la società russa Rosatom che sta sviluppando la prima centrale nucleare turca nell’Anatolia meridionale, che dal 2025 dovrebbe produrre circa il 10% del fabbisogno di elettricità. Le forniture energetiche ovviamente costituiscono la parte più consistente degli affari bilaterali. La Russia è il terzo partner commerciale della Turchia dopo Germania e Cina, con un interscambio di 34,7 miliardi di dollari nel 2021, e il secondo fornitore dopo la Cina. Inoltre i russi sono stati nel 2019 i turisti più numerosi in Turchia con 7 milioni di presenze. E i russi sono stati anche i primi a tornare quando lo hanno consentito le misure sulla pandemia.
IL FATTO CHE LA CINA abbia forti interessi in Turchia, dove l’inflazione al 50% sta abbattendo i prezzi reali delle acquisizioni di imprese e infrastrutture, rende ancora più interessante il triangolo Pechino-Ankara-Mosca: di fatto questi tre Paesi controllano direttamente o indirettamente gran parte dei traffici terrestri e navali (nel caso di Turchia e Cina) tra l’Asia e l’Europa. Ecco perché la Russia punta a impadronirsi di Odessa e della fascia costiera ucraina. La Cina controlla porti rilevanti: un paio in Turchia, il Pireo in Grecia e una parte di Haifa in Israele. La Turchia ha la sua sfera di influenza, in aspra concorrenza con la Grecia e la Ue, nel Mediterraneo orientale che ora con politica della Patria Blu e l’intervento in Libia del 2019 ha allargato fino alle coste della Tripolitania.
AL DI LÀ DI QUESTI aspetti, Turchia e Russia sono anche in accesa competizione in diversi teatri di crisi, in particolare in Siria, Libia, Azerbaijan, dove i due paesi si trovano su fronti contrapposti, e dove entrambe cercano di consolidare le rispettive posizioni, evitando allo stesso tempo qualsiasi scontro diretto. Mentre il presidente Erdogan tiene aperti i canali di dialogo sia con Mosca che con Kiev con le forniture militari agli ucraini.
PER LA TURCHIA, che ha molto da perdere dal conflitto tra Kiev e Mosca, è in gioco la sicurezza e l’equilibrio di forze nel Mar Nero, area particolarmente sensibile nella storia delle relazioni turco-russe. Su questo sfondo, da una prospettiva turca, l’Ucraina costituisce un argine all’influenza e alla pressione russa nella regione del Mar Nero. Non sorprende che la Turchia non abbia riconosciuto l’annessione russa della Crimea nel 2014 e poi abbia venduto i suoi droni a Kiev.
Ma nonostante questo sostegno all’Ucraina la Turchia si guarda bene dal compiere mosse che possano compromettere i suoi interessi con Mosca. Alla faccia della Nato e degli europei.
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Quando le truppe alleate sfondarono presso Quartolo per dirigersi verso la Pideura in modo da accerchiare Faenza dal versante delle colline, la mia mamma aveva 14 anni ed abitava al podere "al cà" proprio a poche decine di metri dal baratro del calanco ("al rivv" come le chiamavano loro), dirimpetto al quale verso est c'era la sommità dell'altro calanco (quello dove adesso più o meno c'è l'agriturismo L'Oasi.
Alla sommità del calanco dove viveva mia mamma erano appostati i tedeschi, alla sommità del calanco opposto (500 metri circa in linea d'aria), c'erano gli alleati (inglesi, ghurka, polacchi e greci).
La famiglia di mia mamma aveva scavato per tempo 2 rifugi: il primo, discretamente sicuro era realizzato sulla discesa del calanco e si sviluppava all'interno della scarpata; il secondo era stato realizzato scavando sotto al pagliaio in profondità ed armando con pali di sostegno; il pagliaio era eretto fra la casa e la stradina (quella che adesso percorsa in discesa ci porta alla casa vinicola La Berta. In famiglia erano 26, erano da diversi giorni in mezzo al fronte di guerra e si dividevano nei 2 rifugi.
Verso l'imbrunire di un giorno di cui non ricordo la data un caporale tedesco addetto ai muli (su questo particolare mia mamma è sempre stata precisissima), si affacciò pistola in pugno nel rifugio sotto al fienile dove c'erano mia mamma ed una decina dei familiari, ordinando che uno di loro salisse sul fienile per tagliare il fieno per le sue bestie. Provarono a dissuaderlo, ad implorare di aspettare la notte perché c'era il rischio di essere sicuramente presi di mira dall'artiglieria leggera alleata. Il tedesco minacciò ancora ed armò la pistola, gli zii della mia mamma si guardarono e "Tugnì" che non aveva famiglia si mosse per salire sul fienile a tagliare il fieno da una altezza di 3\4 metri. in quella posizione era visibilissimo. Non aveva ancora iniziato il suo lavoro che una granata assassina tirata dal versante alleato esplose esattamente alla base del pagliaio ed una scheggia colpì il povero "Tugnì" che cadde a terra con il corpo aperto in due dalla scheggia dall'inguine al costato. Non morì subito, passò la notte ed al mattino decisero di tentare la sorte caricandolo su un carro trainato dai buoi per portarlo alla colonia di Castel Raniero dove era stato trasferito l'ospedale; nel frattempo una delle sorelle di "Tugnì", sposata a San Cristoforo saputo della disgrazia volle a tutti i costi raggiungere il fratello, ma poco dopo la chiesa di Castel Raniero, prima della Berta una granata proveniente questa volta dallo schieramento germanico la colpì in pieno lasciandola morta e sfracellata in un lago di sangue. Tugnì non venne portato a Castel Raniero, l'ospedale nel frattempo era stato bombardato, ma venne caricato in un mezzo alleato e morì a Forlì due giorni dopo. Un altro zio (Quinto) ed una zia di mia mamma furono fra coloro che portarono da bere agli sciagurati malati e feriti semiabbandonati a Castel Raniero dopo il bombardamento. Successivamente la famiglia di mia mamma venne fatta sfollare.
Mi chiedo se le vedette alleate e tedesche a cui non sfuggiva nessun movimento non avessero visto che lo zio e la zia uccisi dalle loro granate fossero dei semplici civili, per i quali non vi è stato nessun processo, nè alcuna Corte di Giustizia che abbia perseguito questo orrendo crimine di guerra.
Quanto ho messo per iscritto risale al 1944.
QUESTO RACCONTO, E TANTI ALTRI ALCUNI ANCOR PIU' CRUENTI E CRUDELI, ALTRI TESTIMONI DEL CORAGGIO DEI SEMPLICI CONTADINI O DELL'INCOSCIENZA DEI GIOVANI, MA SOPRATTUTTO GLI OCCHI NARRANTI DEI MIEI GENITORI PROTAGONISTI LORO MALGRADO COME VITTIME CIVILI DELLA FOLLIA DELLA GUERRA, LA DRAMMATICITA', LA PAURA, IL TREMORE CHE PRENDEVA LE LORO LABBRA ED I LORO SGUARDI, QUELLI DI CHI AVEVA VISSUTO QUEI MOMENTI ED IL MIO RAGIONAMENTO CHE NE CONSEGUE E' UNO DEI MOTIVI PER CUI SONO CONTRARIO ALL'INVIO DELLE ARMI IN UKRAINA.
Il presidente Ukraino ha ragioni da vendere, la sua nazione è aggredita dalla Russia che pagherà un prezzo molto più alto se la guerra non si estende, rispetto all'estensione del conflitto come una certa malata e sconcertante propaganda sembra volerci preparare. A Zelensky direi anche: adesso prova a salvare più vite che puoi perché non c'è ragione di contribuire a far allargare il conflitto con più perdite umane in nome della lotta fino all'ultima goccia di sangue, anche se mi risulti molto più simpatico dei generali russi col petto medagliato e con purtroppo lo sguardo del cane rognoso. Tornando ai fatti narrati ricordo che la guerra vera, con la guerra di posizione, i bombardamenti massicci e ripetuti ed i massacri di civili arrivò in Italia dopo l'8 Settembre del 1943 e la successiva occupazione da parte dei tedeschi e la nascita della R.S.I nel Nord Italia.
La guerra partigiana si avviò solo alla fine del 1943.
La 2a Guerra Mondiale era iniziata il 1o Settembre 1939!
La guerra partigiana era in gran parte formata da giovani, alcune ragazze, e molti uomini che erano già stati soldati in guerra nei primi anni del conflitto nell'esercito italiano, che non vollero più continuare la guerra per i fascisti ed i tedeschi!
MA ALLORA NON C'ERA SCELTA! OGGI INVECE LA SCELTA DELLA PACE E' ANCORA POSSIBILE E VA CERCATA IN OGNI MODO!
Allora i proclami della R.S.I. prevedevano la fucilazione per chi non si presentava nei centri di reclutamento fascisti e tedeschi.
LE ALTERNATIVE IN UN MONDO IN GUERRA DA 4 ANNI ERANO:
- fare la guerra nei partigiani oppure nei corpi dell'esercito italiano intruppati nelle divisioni alleate, che fornivano anche le armi ai partigiani.
- Fare la guerra nei reparti della R.S.I intruppati nell'esercito tedesco, con le armi fornite dai tedeschi.
- Una terza via era quella di stare nascosti nelle case di campagne presso i contadini confidando di riuscire a nascondersi in caso di retate da parte dei fascisti che se ti prendevano ti fucilavano oppure di spedivano nei campi di concentramento in Germania!
SE ASCOLTIAMO E SEGUIAMO LE ARGOMENTAZIONI DI QUEI GIORNALISTI CHE SI SONO MESSI L'ELEMETTO ED I TEORICI DELLA STRATEGIA MILITARISTA TORNEREMO A QUELLE 3 ALTERNATIVE SOPRA ELENCATE. Punto
di Alpi Medardo
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