Putin ha avuto dal vertice di Samarcanda con Xi Jinping quello che voleva fortemente. Una risposta all’isolamento delle sanzioni occidentali e al fronte anti-russo, anche se ha alluso in maniera criptica, per la prima volta, alle «preoccupazioni cinesi» sul conflitto.
Il capo del Cremlino, definito da Xi «un caro e vecchio amico», era arrivato in Uzbekistan per la conferenza dell’Organizzazione per la cooperazione di Shangai (Sco) accompagnato dall’eco sinistra della batosta subita nella disordinata ritirata da Kharkiv e prima di decollare aveva lanciato un avvertimento agli Stati uniti: «Gli Usa sono in guerra se forniscono missili a lungo raggio a Kiev».
L’incontro con Xi nei suoi piani doveva confermare, come è stato, la tenuta politica e strategica della sponda cinese nella guerra in Ucraina e i piani comuni di stabilire un «nuovo ordine» internazionale da contrapporre a quello americano-occidentale.
XI JINPING HA DETTO quel che Putin voleva sentirsi dire, anche se, come vedremo, le sfumature sono importanti. La Cina è pronta a lavorare con la Russia «come grandi potenze, per instillare stabilità ed energia positiva in un mondo in tumulto», ha detto il presidente cinese a Putin. Il quale ha denunciato «i tentativi inaccettabili e orribili di creare un mondo unipolare». E Putin, nel lisciare il pelo a Xi, ha condannato, sin dalle prime battute «le provocazioni degli Stati uniti nello Stretto di Taiwan». «Sosteniamo – ha detto – il principio di un’unica Cina». Posizioni inappellabili. «Nessuno ha il diritto di ergersi a giudice sulla questione di Taiwan», ha proclamato Xi Jinping.
MA NON ERA FORSE QUI, nella piazza del Registan di Samarcanda, che i tubi in rame dei re timuridi annunciavano tra le mura delle madrasse i loro proclami? Non è poi così lontana, nel tempo, Samarcanda.
Per Xi Jinping, tra poche settimane protagonista del congresso del Pc cinese, questo era il primo viaggio fuori dalla Cina negli ultimi due anni dell’era Covid, dopo la tappa dell’altro ieri in Khazakistan, in coincidenza con il viaggio di papa Bergoglio che sembra ormai l’unico rimasto tra i leader a invocare la fine della guerra: «Quanti morti ci vorranno per arrivare alla pace?», si è chiesto.
Qui Xi nel 2013 aveva lanciato la Nuova Via della Seta, la Belt and Road Initiative, programma di grandi infrastrutture nel cuore dell’Eurasia che si incrociano con l’espansione commerciale cinese e le rotte delle nuove pipeline dell’energia.
A SAMARCANDA lo aspettavano non solo Putin e i Paesi dell’Asia centrale membri della Sco ma anche i leader di Iran – entrato da ieri a farne parte ufficialmente con il presidente Ebrahim Raisi -, l’indiano Narendra Modi che sull’Ucraina ha preso le distanze dall’occidente, il turco Erdogan – membro della Nato che però non impone sanzioni a Mosca – ma anche i capi di Azerbaijan e Armenia tornati di nuovo sul piede di guerra con in mezzo una Turchia che nel Caucaso, appoggiando militarmente Baku, fa allo stesso tempo da contro-altare e da mediatore con una Russia che fatica assai a mantenere il suo ruolo storico di assoluta protagonista regionale, insidiata anche da un’Unione europea che con gli accordi sul gas della Von der Leyen fa capire di stare più con Baku che con Erevan, in barba ai principi di equidistanza politica.
A Samarcanda, dove certo non tutti sono amici, c’era in questi due giorni un parterre che rappresenta circa la metà della popolazione mondiale e un quarto del Pil del globo, uno schieramento, non un’alleanza, pronto però a rimettere in discussione il predominio occidentale sul mondo.
DALL’INCONTRO TRA PUTIN E XI è emerso quel che si prevedeva da parte russa: il tentativo di Mosca di spingere la Cina ad appoggiare una posizione di confronto verso l’Occidente, con un sostegno ancora più deciso di Pechino contro «l’egemonia globale degli Stati uniti».
Dopo l’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio Xi Jinping – che poco prima aveva incontrato Putin a Pechino per le Olimpiadi invernali – ha sostanzialmente condiviso una lettura del conflitto che rintraccia le sue origini nella penetrazione della Nato nell’Europa centrale. È comunque da sottolineare che se Pechino ha condannato le sanzioni occidentali, allo stesso tempo si è ben guardata dal violarle. Un editoriale di due giorni fa del Global Times sottolineava che «la Cina non è mai stata coinvolta nella guerra Russia-Ucraina ed è sempre stata a favore della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi». Lo stesso China Daily, quotidiano del Partito comunista, ha insistito sulla «neutralità cinese» esprimendo «simpatia per le vittime del conflitto testimoniata dall’aiuto materiale a Kiev per superare la crisi».
Ma, sottolineano i cinesi, Pechino non può non avere buoni rapporti con Mosca con cui condivide 4.300 chilometri di confini.
IL SOSTEGNO ALLA RUSSIA è evidente anche da alcuni segnali. Uno simbolico: Xi non ha mai avuto una conversazione telefonica con Zelenski. E soprattutto il numero tre cinese Li Zhanshu nella sua recente visita a Vladivostok e Mosca per le esercitazioni militari di Vostok 2022 (cui hanno partecipato i membri della Sco) è stato chiaro nell’affermare che «noi sosteniamo totalmente tutte le misure prese da Mosca per proteggere i suoi interessi fondamentali, compreso il dossier dell’Ucraina dove Usa e Nato hanno posizioni che minacciano la sicurezza nazionale della Russia». Non solo: la Cina negli ultimi mesi ha aumentato del 100% i suoi acquisti di petrolio russo (come l’India del resto) e non si escludono in futuro forniture cinesi a Mosca di tecnologie sensibili aggirando le sanzioni, come del resto Pechino fa già con l’Iran e la Corea del Nord.
L’OBIETTIVO PRINCIPALE del vertice era dimostrare che gli anatemi e le sanzioni dell’Occidente non sono sufficienti per isolare un paese. L’elemento in comune condiviso dai russi, dai cinesi e dagli altri partecipanti è la volontà di rimettere in discussione il presunto dominio occidentale. Un segnale che il mondo sta cambiando.ù