"Non esistealcuna scienza, né alcun scenario, che affermi che l'eliminazione graduale dei combustibili fossili sia ciò che ci porterà a il riscaldamento globale a 1,5°”.
“Mi mostri lei la "roadmap" per un'eliminazione graduale dei combustibili fossili che consenta uno sviluppo socioeconomico sostenibile, a meno che lei non voglia riportare il mondo nelle caverne”
Sembra di leggere le parole di un negazionista climatico durante un dibattito sulla transizione energetica. Parole di qualcuno che, nonostante l’unanime consenso globale della quasi totalità della comunità scientifica di riferimento, continua a sostenere che i combustibili fossili non sono la causa del cambiamento climatico.
Invece, sono le parole del Presidente della COP28, Sultan Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della principale compagnia emiratina di gas e petrolio ADNOC. Dichiarazioni che pongono seri dubbi rispetto alle reali volontà della presidenza e sulle ambizioni della COP28 verso un percorso di abbandono delle fonti fossili.
Non sono ancora arrivate reazioni di alto livello a queste parole.
Oggi il presidente Al Jaber ha convocato una conferenza stampa straordinaria nella quale ha affermato che lui crede e rispetta la scienza. Vedremo nei prossimi giorni che conseguenze avranno queste dichiarazioni.
Facciamo un passo indietro.
La COP, che per la complessa terminologia delle Nazioni Unite significa Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), si svolge quest’anno, dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Siamo alla ventottesima edizione, e le Parti, i Paesi, sono 198.
Molte aspettative, ma altrettante perplessità, hanno preceduto l’avvio della COP28. Soprattutto perché parlare di riduzione di emissioni in uno dei principali paesi produttori di fonti fossili solleva interrogativi legittimi sul ruolo dell’industria del petrolio e del gas nella transizione energetica. Il grande elefante nella stanza.
La COP28 è però la prima occasione ufficiale per misurare gli sforzi che i paesi hanno intrapreso per contrastare il cambiamento climatico e sostenere le sue
conseguenze. Questo bilancio si chiama Global Stocktake (GST), ovvero la fotografia reale dei progressi verso il raggiungimento degli obiettivi di Parigi (la storica COP21).
Non c’è suspence. Lo sappiamo già, le emissioni globali non sono calate in questi anni, nonostante regioni come l’Europa abbiano ridotto le loro di oltre il 30 per cento dal 1990. Ad oggi non esiste un meccanismo per verificare se le promesse fatte in sede COP vengano poi effettivamente implementate dai paesi. La reazione a questo primo bilancio sarà l’occasione per mostrare su quale scala di trasformazione si impegneranno i paesi nei prossimi anni.
Giovedì 30 novembre, la COP28 è iniziata con un tema importante, che la collega a quella dello scorso anno a Sharm El-Sheikh. Si tratta dei finanziamenti per le perdite e i danni che subiscono i paesi più fragili e maggiormente colpiti dagli impatti del cambiamento climatico. Da quando esistono le COP, da trent’anni, i paesi più deboli chiedevano un Fondo per le perdite e i danni. Finalmente alla COP27 del 2022 è arrivato.
L’obiettivo di quest’anno era quello di renderlo operativo e finanziarlo. Nel primo giorno è stata approvata la governance del Fondo, primo vero successo della COP28.
Non era mai accaduto che già al primo giorno si prendesse una decisione tanto importante.
La presidenza emiratina ha promesso un finanziamento di 100 milioni di dollari, e a ruota molti paesi hanno annunciato il loro contributo, inclusa l’Italia con 100 milioni di euro. Attualmente il Fondo ha raggiunto un totale di 655,9 milioni di dollari.
Cosa fa l’Italia
Per l’Italia, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è intervenuta l’1-2 dicembre insieme a circa 160 Capi di Stato e di Governo. Oltre ai 100 milioni per perdite e danni, l’Italia ha promesso 300 milioni di euro per il Fondo Verde per il Clima, a favore della transizione dei paesi in via di sviluppo.
Giorgia Meloni, nel suo discorso, ha detto che lavorerà “con determinazione” per raddoppiare la finanza per l’adattamento entro il 2025 come da impegno della COP26 di Glasgow.
Ha sottolineato “il ruolo essenziale delle Banche multilaterali di sviluppo”, evidenziando la necessità di una riforma delle stesse, sottolineando che il G7 – di cui sarà Presidente nel 2024 - farà la sua parte su questo.
Questo slancio in avanti nell’ambizione climatica dovrà però andare di pari passo con un approccio pragmatico e realistico – per usare aggettivi cari alla Premier – anche nella definizione delle politiche energetiche del nostro Paese.
Infatti, l’unico modo per contenere l’innalzamento delle temperature nei tempi suggeriti dalla scienza, è pianificare fin da subito l’uscita dalle fonti responsabili della crisi climatica, gas incluso, che dal 2021 è il principale responsabile della CO2 emessa in Italia.
Più ritardiamo questa pianificazione, più lasciamo persone e imprese esposte alle crisi energetiche di origine fossile, come quella del 2022.
Perché parlare di clima significa innanzitutto affrontare la transizione energetica, strada obbligata per l’abbattimento delle emissioni.
Per questa COP servirà un obiettivo concreto per l’eliminazione graduale e ordinata di tutti i combustibili fossili, affiancato da un obiettivo globale per triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica. Il 2 dicembre 118 paesi, tra cui l’Italia, si sono impegnati formalmente per questo ultimo obiettivo.
La transizione richiede risorse economiche ingenti. Quella dei paesi in via di sviluppo può essere favorita, come abbiamo detto, dal Fondo verde per il clima (Green Climate Fund) che grazie alle promesse dei leader ha raggiunto la cifra di 12.7 miliardi di dollari (2,4 miliardi in più rispetto al primo finanziamento del Fondo).
I meccanismi di finanziamento dell’azione climatica sono molti e diversificati e la comunità internazionale dovrà progredire nel processo di riforma dell’architettura finanziaria internazionale per liberare risorse essenziali per la transizione e aumentare la resilienza di tutti i paesi, superando i limiti fiscali e di bilancio.
L’elefante petrolifero
Infine, ritorniamo al nostro grande elefante nella stanza. In questi giorni, 50 compagnie del settore del petrolio e del gas, tra cui l’italiana Eni, hanno sottoscritto la Carta Globale per la Decarbonizzazione.
Le aziende si sono impegnate a ridurre le proprie emissioni di gas serra ma tale impegno non riguarda la produzione di petrolio e gas o le emissioni derivanti dal loro consumo.
L'accordo è volontario e ripropone in larga parte vecchi impegni assunti nel 2021 e non sono previste sanzioni per il mancato raggiungimento degli obiettivi.
Una promessa troppo vaga per essere significativa e dovrebbe, inoltre, essere accompagnata da una data di uscita graduale e ben gestita dalla produzione. Questi impegni non si dimostrano adeguati per il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni e contenimento delle temperature entro 1,5 gradi.
I negoziati sono in corso. Come ha ricordato la prima ministra delle Barbados Mia Mottley, la sfida è ora quella di portare l’ambizione dai discorsi dei leader alle pagine dei testi decisionali della COP.
Noi seguiremo ogni passo, sperando di riuscire ad arrivare a risultati ambiziosi. Gli accordi che emergeranno dai negoziati e i nuovi impegni saranno cruciali per aumentare la fiducia tra i governi e per rafforzare la cooperazione internazionale necessaria per affrontare la crisi climatica.
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La COP28 è la principale opportunità per costruire una strada credibile verso un futuro vivibile e sostenibile per le persone e per il pianeta. Faremo passi avanti?
Lo sapremo il 12 dicembre.