In un’epoca in cui le parole si sprecano e perdono di valore, anche gli auguri di fine anno rischiano di apparire la stanca e scontata riproposizione di formule vuote. Sono, questi, giorni in cui ritornano i soliti “ce la faremo”, le professioni di ottimismo, i tentativi di accantonare difficoltà e incertezze.
Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti. Otto anni di crisi stanno segnando nel profondo la vita della nostra città. Più di 1.600 persone hanno perso il lavoro, per tante altre il posto è a rischio o resta una meta mai raggiunta.
Un’intera generazione di giovani non sa quale significato attribuire ai termini fiducia e speranza. Le famiglie devono sbarcare il lunario disponendo di
risorse sempre più magre, con l’effetto di un impoverimento generale che si riflette, fra le altre cose, nella chiusura di tante attività commerciali e artigiane. Interi settori lavorativi, basti pensare all’edilizia, sono in preda all’abusivismo e ai subappalti a scapito delle condizioni e della sicurezza di chi vi opera.
Alle pesanti ristrettezze in cui versa chi ha perso il lavoro, si aggiunge l’indigenza di tanti anziani soli, con pensioni che non bastano neppure per far fronte ai bisogni primari.
Ma non si tratta solo di impoverimento materiale. Dilagano l’egoismo e l’individualismo, i rapporti si incattiviscono.
Si può porre rimedio a questo stato di cose se ciascuno è disposto a fare la propria parte. A partire da chi ha il potere di prendere decisioni che rafforzino il senso di comunità, che non alimentino divisioni, che aiutino chi più è in difficoltà, che contrastino ogni atteggiamento di chiusura e di ostilità verso “gli altri”.
Riscoprire il valore dello stare insieme, della solidarietà, del dialogo, del rispetto reciproco: è questo l’impegno che chiama tutti ad un ruolo positivo. Assolverlo da buoni cittadini è il modo migliore per non limitarsi ad auguri rituali, ma per tradurre gli auspici in un contributo al benessere di tutti.