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Intervista Il presidente Arci Walter Massa spiega il senso di non unirsi alla piazza convocata da Michele Serra: «Ma faremo da pontieri. Non servono ulteriori spaccature»

arci logo - cild.eu

«Lo diceva sempre Tom Benetollo: bisogna scegliere di stare dalla parte giusta». Per spiegare la scelta della sua organizzazione di restare fuori dalla piazza per l’Europa del 15 marzo, Walter Massa, presidente nazionale dell’Arci, fa ricorso ai padri nobili. E a Benetollo, che condusse l’associazione oltre il Novecento all’insegna della rivendicazione dell’autonomia della società. Oggi Massa guida la storica associazione che conta quasi mezzo milione di iscritti e che afferma in un comunicato che la manifestazione convocata da Michele Serra «rischia di trasformare un giusto sentimento in un sostegno incondizionato alle politiche di guerra che l’attuale Commissione d’intesa con gli stati membri sta portando avanti».

Perché avete preso questa decisione?
Pensiamo che soltanto restando fuori possiamo svolgere il nostro ruolo. Siamo gli unici che possono permettere che non ci sia una rottura tra la piazza e il resto. Siamo convinti che dentro quella piazza non saranno tutti guerrafondai così come siamo convinti che fuori da quella piazza non ci saranno tutti i putiniani. E dobbiamo fare da ponte tra queste dimensioni, perché il mondo non finisce il 15 marzo.

Essere pontieri tra diversi è la cosa che vi caratterizza quasi da sempre.
È il nostro lavoro. Pensa a Genova contro il G8, nel 2001, quando manifestammo senza che ci fosse nessuno dei nostri amici storici. Adesso il mondo è cambiato e in questo momento c’è bisogno di dare un segnale.

È stato difficile prendere questa decisione?
Consideriamo che la nostra sia una scelta al servizio del movimento pacifista, che non può permettersi di spaccarsi ancora una volta.

Non c’era altro modo?
Si trattava di scegliere: se esserci con le nostre posizioni o non esserci. Ma in questa epoca di grande caos occorrono tre cose soprattutto: chiarezza delle posizioni, fermezza nei valori e disponibilità a discutere. Cerchiamo di rispettarle tutte e tre.

Dal 16 marzo cosa succederà?
Tutti e tutte, con altre parole potranno ritrovarsi in altre mobilitazioni contro il riarmo, non solo nazionali ma europee. Crediamo che sia sbagliata la posizione secondo la quale l’Europa debba fare quello che gli Stati uniti non vogliono più fare. Senza metterci alla testa di niente, come è il nostro stile, vogliamo mobilitarci in questo senso. E offriamo questo terreno da dopo il 15 marzo.

Una cosa possiamo dire con certezza, dopo anni di combattimenti ai bordi dell’Europa: non è stato quello della guerra il terreno della ricomposizione delle lotte. Eppure la pace lo era stata tante volte. Perché?
Non lo è stato, lo abbiamo verificato sia in Italia che nei rapporti internazionali che abbiamo. Non lo è stato perché la cultura bellicista è tornata ad essere unico strumento possibile per risolvere le questioni, di qualunque natura. E perché il confronto politico troppo spesso è fatto da bolle che ti costringono di stare o da una parte o dall’altra.

Si inaridisce lo spazio pubblico.
C’è anche che dobbiamo recuperare una capacità di analisi. Ad esempio c’è un documento che mi ha fatto scoprire il professor Stefano Zamagni, risale ad anni fa e porta la firma dei nuovi oligarchi digitali. In questo testo si sostiene che la democrazia è ormai un ostacolo allo sviluppo. Dunque, quando il vicepresidente degli Stati uniti va in Germania e incontra solo quelli Afd lo fa perché considera che quello è il grimaldello che fa saltare il sistema.

È quello che negli anni precedenti ha fatto Putin, investendo sulle estreme destre.
Ecco: questo è il mondo dei forti che si mettono d’accordo alle spalle dei deboli.

La vostra gente capirà il senso di questa decisione?
Se dovessi rappresentare con un immagine la scelta che facciamo come Arci lo farei dicendo che non stiamo a questo gioco e mi viene in mente l’appello di Öcalan, che dal carcere dice basta alle armi proprio mentre sta per scoppiare la terza guerra mondiale. Mi riconosco in quella volontà e nel messaggio che ci dà: è che quello il gioco fa far saltare, il piano della guerra.