15 marzo La proposta di Repubblica, nella sua vaghezza, ha generato discussioni laceranti in diversi territori e praticamente in ogni ambito politico-culturale
Uno dice: cosa vuoi che ci sia di più unitario, ecumenico, di largo respiro di un bell’invito a ritrovarsi in piazza genericamente in nome della difesa della nostra bella Europa. E invece l’appello di Michele Serra, formulato in via preliminare sul Post e poi rilanciato, definito e sposato dal giornale-partito Repubblica proprio nei giorni in cui si preparava a uscire la riforma grafica del quotidiano, per la sinistra si è rivelato particolarmente divisivo. Quasi devastante.
Da quel che abbiamo raccolto in questi pochi giorni, la proposta ha spaccato organizzazioni, fatto litigare costituende coalizioni, rianimato scontri nel principale partito dell’opposizione, scatenato discussioni laceranti nel sindacato e tra i movimenti cattolici, aperto fratture nei territori. Una potenza distruttiva impressionante anche per chi, come accade da queste parti, non fa dell’unità a tutti i costi un valore assoluto.
Quell’evento minaccia di scavare un solco tra chi si oppone a Trump e Meloni. Da una parte si dirà che a piazza del Popolo ci stavano i guerrafondai che hanno sostenuto l’Ue armata. Dall’altra quelli che hanno scelto di non esserci, o peggio ancora di manifestare altrove e con altri slogan, verranno definiti disertori o magari putinisti. Sappiamo che solo in pochi casi è vero che tra chi sventolerà la bandiera blu con le stelle gialle ci sarà anche chi si è fatto prendere dal clima bellico. E che raramente tra chi guarda con sospetto alla piazza di Serra ci sono quelli che si sono fatti abbindolare dalla propaganda campista e rossobruna (in base alla quale chiunque avversi «l’Occidente collettivo», persino Putin e Trump, è da considerare un alleato).
Si dirà: questo è lo spirito del tempo, siamo tutti arruolati alla guerra culturale, la polarizzazione è la cifra del nostro tempo. Anche questa è una verità parziale: chi chiamato in piazza la gente doveva porsi anche il problema di fornire basi razionali e solide alla manifestazione invece di lasciarla per settimane in pasto al dibattito pubblico impazzito e ai posizionamenti politicisti in tempi di confusione, crisi dei corpi intermedi ed eventi che si succedono a una velocità feroce.
Lo ha detto una donna, insegnante, che si è rivolta a questo giornale per avere lumi su ciò succede il 15 marzo: «Gli uomini e le donne che credono ancora che stare insieme in piazza serva a cambiare qualcosa non sono carne da cannone mediatica». Meritano cura e rispetto.