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8 marzo S’ode a destra uno squillo di tromba, dalle piazze risponde un urlo: non ci stiamo. I cortei transfemministi tessono il filo mai interrotto che in questi ultimissimi anni ha cucito […]

Manifestazione organizzata da Non una di meno a Roma durante l'8 marzo 2025 foto Valentina Stefanelli/LaPresse Manifestazione organizzata da Non una di meno a Roma durante l'8 marzo 2025 – Valentina Stefanelli/LaPresse

S’ode a destra uno squillo di tromba, dalle piazze risponde un urlo: non ci stiamo. I cortei transfemministi tessono il filo mai interrotto che in questi ultimissimi anni ha cucito insieme alle lotte per i diritti e le libertà e contro la violenza patriarcale forse la risposta collettiva più netta alla montante retorica bellicista.

Quella retorica che, cresciuta di tono insieme all’aumentare del numero di morti nella guerra in Ucraina, nel massacro di Gaza e negli altri conflitti armati disseminati nel pianeta, è divenuta discorso dominante e pervasivo, ai limiti del delirio ma con la pretesa di trasformarsi in senso comune. E dopo l’ulteriore, rapida escalation delle ultime settimane segnate dal ritorno di Trump alla casa Bianca, chi non ci sta va stigmatizzato perché imbelle nel migliore dei casi, se non additato come traditore tout court.

Non ci stiamo, rispondono invece le decine e decine di migliaia di persone (anche questa volta tante giovanissime e tanti giovanissimi) scese in piazza per sovvertire quella retorica che dal sistema patriarcale è nutrita e che punta a informare la società e a trasformare l’economia costringendo alla ritirata i diritti, le libertà, la democrazia stessa.

Manifestazione 8 Marzo a Roma
Manifestazione 8 Marzo a Roma, foto Valentina Stefanelli /LaPresse)

Sono piazze che non intendono soccombere innanzitutto alla cappa plumbea e repressiva e rispondono con musica, colori, fantasia, allegria e non minore determinazione.

Sono le piazze che “il” presidente del consiglio Meloni che ieri definiva le donne «cuore pulsante della nostra società» si ostina a non voler vedere. Perché non è alle domande che lì vengono urlate che questa premier – che ogni giorno s’inventa un record in formato video producendo nuove puntate della fiction «Giorgia» – può e soprattutto vuole rispondere.

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Più della mancanza di lavoro o del lavoro povero più povero ancora di quello maschile, più della precarietà e della difficoltà a trovare un alloggio economicamente sostenibile, più dello smottamento delle basi dello stato sociale che colpisce in primo luogo le donne, a preoccupare la premier è la nota piaga del wokismo, come lei stessa si è premurata di sottolineare alla convention dei conservatori americani tra la motosega di Milei e il saluto romano di Steve Bannon.

Il disegno di legge che introduce il reato di femminicidio con previsione dell’ergastolo è stato presentato da ministre e ministri come il «tentativo di produrre un mutamento culturale». Difficile, se si parte dalla fine perché la principale sfera di interesse è quella penale.

Al di là di quella, finora l’attuale governo e l’attuale maggioranza hanno propugnato solo mistificazioni (l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole scambiata per «ideologia gender») e arretramenti, fino a coprirsi di ridicolo. Le ragazze e i ragazzi che ieri erano in piazza e non solo sono già molto più avanti. Il governo Meloni cerca di braccarli in ogni modo, ma loro corrono più in fretta.