Carissim*,
La Costituzione è di nuovo sotto attacco.
Il regionalismo differenziato è in realtà previsto come possibilità dalla riforma costituzionale del Titolo V approvata nel 2001 ma rischia di consegnarci un’altra Italia frazionata con una diversa attuazione dei diritti universali a seconda delle regioni.
Di fronte a conseguenze potenzialmente così gravi è necessario che nel Paese si apra un dibattito serio e trasparente che induca a spezzare il silenzio (e addirittura la segretezza) nel quale avvengono gli accordi.
Per questo il nostro Comitato ha partecipato recentemente a due incontri sul Regionalismo differenziato, uno a Bologna, organizzato dal CDC regionale (Coordinamento per la Democrazia Costituzionale E.R.) ed uno a Roma, organizzato dal CDC nazionale. Lo scopo è stato soprattutto informativo. Ne abbiamo tratto la convinzione che si tratta di una questione difficile da comunicare ma molto grave; anche se formalmente non si pone in essere una modifica del testo della Costituzione, dagli accordi fra il Governo e alcune regioni ne deriverebbe una modifica profonda addirittura della forma dello Stato e verrebbero intaccati anche diritti universali.
Come sapete Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno avanzato richieste, le prime due supportate da referendum consultivi, la terza per iniziativa del Presidente e della Giunta regionale ed è stato firmato un preaccordo dal governo Gentiloni, già dimissionario nell’ultimo mese di attività, a pochi giorni dalle elezioni, quando si sarebbe dovuto limitare all’ordinaria amministrazione (e questo è il primo strappo alla Costituzione).
Ora sembra che siano stati firmate già delle bozze di accordo con il nuovo Governo, - difficili anche da definire e da conoscere, poiché tutto avviene nel più grande silenzio, sia da parte delle Regioni, sia da parte del Governo – per ottenere autonomie che in sostanza rischiano di trasferire alle regioni potestà che fino ad oggi sono state in capo allo Stato e che costituiscono anche garanzie dell’unità nazionale. Infatti verrebbero “regionalizzati” servizi legati a beni pubblici fondamentali, come l’istruzione, la sanità, la sicurezza del lavoro, la protezione dell’ambiente e dei beni culturali. Il tutto prevedendo un passaggio alle Camere solo per accettare o rifiutare gli accordi, delegittimando ancora il Parlamento su materie che sono di carattere legislativo e non amministrativo.
Come ha sottolineato Alfiero Grandi (vicepresidente del CDC): “… i diritti fondamentali oggi garantiti dalla Costituzione agli italiani con questa autonomia differenziata non sarebbero più uguali per tutti ma dipenderebbero dalla regione di appartenenza, con un aumento dei costi tanto che il Ministero dell’Economia ha chiesto garanzie sul non aumento, quindi i costi sarebbero a carico delle altre regioni …”
Tutto ciò in un contesto in cui alcune norme costituzionali decisive in materie per rendere legittima la concessione di maggiori poteri ed autonomia, restano ancora disattesi, a partire dalla definizione dei LEP (Livelli essenziali di prestazione).Già ora, a seguito delle politiche dei tagli, i finanziamenti agli Enti locali avvengono non su necessità e bisogni, ma su dati storici, il che significa che se, per esempio, in una città del Sud, non sono stati aperti nei precedenti anni asili nido, non verranno dati finanziamenti per gli anni successivi, anche se la richiesta c’è.
Come ha osservato Massimo Villone, questa scelta “… lascerebbe il Sud con i gravi ritardi di oggi nelle infrastrutture e nei servizi …” e per le tre regioni si stabilirebbe “un privilegio sulle risorse pubbliche, con garanzia che possano solo salire e mai scendere, e con quote riservate per gli investimenti. Altri dovranno stringere la cinghia per garantire i fortunati, e tanti saluti ai diritti uguali per tutti … In Campania continueremo a morire prima, i bambini a non avere asili nido, gli studenti ad avere meno strutture e borse di studio, i treni ad ansimare su vecchie rotaie.”
Per evitare questa svolta pericolosa occorre soprattutto impegnarsi nel diffondere informazione sul tema e far sentire la nostra voce, costringendo il Governo e le Regioni ad un dibattito aperto ed alla luce del sole. È poi fondamentale restituire al Parlamento il pieno diritto a deliberare nel merito di quella che si configura - non nella forma, ma nella sostanza - come una vera e propria riforma costituzionale.
Noi ci proviamo.
per il Comitato di Faenza per la valorizzazione e la difesa della Costituzione
Antonella Baccarini