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Per ENI è la soluzione giusta per la transizione energetica. La Regione Emilia Romagna è interessata, gli scienziati obiettano su molti punti e gli ambientalisti si oppongono.

Stoccare la CO2 in Adriatico? Idrogeno "blu" per la decarbonizzazione? - Agenda17

Sceneggiatura: Milva Naguib
Interventi: Leonardo Setti, ricercatore dell’Università di Bologna, Viviana Manganaro, portavoce Rete Emergenza Climatica Ambientale Emilia Romagna; 
Paolo Bartolomei, collabora con il Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università di Ferrara; Pippo Tadolini, coordinatore della campagna
‘Per il Clima – Fuori dal Fossile’; Anna Fedriga coordinatrice Fridays for Future Ravenna. Conduce: Milva Naguib Montaggio, musiche ed effetti sonori: Michele Marini Coordinatore e grafica: Nicolò Scialpi

 

190 foto e immagini di Roberto Cingolani - Getty Images

Comunicato stampa

Dopo le ferie estive non poteva esserci una riapertura più chiara. Roberto Cingolani, Il titolare del Ministero che porta il nome di Transizione Ecologica, negli ultimi giorni, con interviste a diversi quotidiani e con un  astioso intervento alla platea offertagli da Matteo Renzi, si è sperticato in insulti al mondo ambientalista, dichiarando che gli attivisti  sono “peggio della catastrofe climatica”. Una posizione così netta non si sentiva dai tempi di Trump, quando dichiarò che l’ambientalismo era “fuori controllo”. Così sappiamo a chi si ispira il Ministro.

Al di là del fatto che questo tono sprezzante (con la sostituzione della discussione con giudizi totalmente gratuiti) non lo si vorrebbe sentire da un Ministro della Repubblica, il contenuto della crociata anti-ambientalista dimostra innanzi tutto  quale sia la direzione che il prof. Cingolani intenda dare ai futuri investimenti nel settore energetico, e  chiarisce che egli non si è mai preso la briga di leggersi qualcuno dei documenti che tante illustri figure del mondo scientifico, anche non strettamente legate al movimento, hanno prodotto negli ultimi quattro decenni, e in particolare negli ultimi anni.

Quando il Ministro dice, solo per fare un esempio, che “non si può ridurre la CO2 chiudendo da domani le fabbriche di auto mettendo sul lastrico milioni di famiglie” ci piacerebbe sapere dove ha letto, e quando,  questa posizione adatta alle chiacchiere da Bar Sport molto di più che ad una discussione degna di questo nome, o chi gliel’abbia riportata e attribuendola a quale esponente ambientalista.

In questi anni, in tutto il mondo, un variegato movimento che fortunatamente si va piano piano allargando, e che sta coinvolgendo un’ area molto vasta di giovani, di scienziate/i, di ricercatori e ricercatrici, di esponenti del mondo del lavoro e della cultura, sta producendo una messe di informazioni e di proposte, comprensive di ragionamenti molto solidi sul concetto della gradualità e dei tempi necessari per la svolta ecologica, indispensabile per invertire la rotta che il pianeta ha preso. E sta dimostrando come questa svolta non solo non sia foriera di quegli scenari di miseria che il Ministro dipinge, ma - al contrario – apra nuove prospettive anche per l’ occupazione e l’economia, e più in generale per la giustizia sociale e ambientale.

La politica di Cingolani è chiara: seminare il terrore nella gente, cosicchè nessuno sia tentato di simpatizzare con coloro che si stanno muovendo per un futuro davvero sostenibile, e tutto il mondo si schieri con chi vuole continuare nel modello estrattivista e distruttivo.

Auspichiamo che le sue posizioni trovino scarso appoggio nello stesso mondo politico e istituzionale. In ogni caso, crediamo che di fronte ad esse, la mobilitazione debba crescere e allargarsi.  La campagna “Per il Clima – Fuori dal Fossile” convoca per la giornata di SABATO 9 OTTOBRE una MANIFESTAZIONE NAZIONALE a Roma, alla quale invitiamo ogni persona di buon senso, e per la quale ci adopereremo al fine portare sotto il Ministero della Transizione Ecologica (mai nome è stato così mal attribuito) una nutrita delegazione di Ravenna.

 

Campagna “Per il Clima – Fuori dal Fossile” Coord. Ravennate

per il Coordinamento, Giuseppe Tadolini

Depositata al tribunale di Milano per cancellare l'accordo Assodelivery-Ugl. Si punta ad applicare a tutti i rider il testo della logistica togliendo il cottimo e con un aumento del 20% medio al mese

Una protesta della Cgil dei rider Deliveroo

 

Una protesta della Cgil dei rider Deliveroo

È «la madre di tutte le battaglie» contro il contratto pirata Assodelivery (leggasi Deliveroo) – Ugl sui rider che legalizzò il cottimo. Così l’avvocato Carlo De Marchis sintetizza il significato della class action depositata dalla Cgil al tribunale di Milano, sede legale di Assodelivery.
Si tratta del primo caso di una azione legale di questo tipo in Italia e in Europa, resa possibilecon l’allargamento della normativa in materia dal 19 maggio di «azione di classe», prima possibile solo ai consumatori. I richiedenti sono un lavoratore di Palermo – portatore di un interesse comune leso – e le categorie della Cgil – Nidil (precari), Filcams (commercio) e Filt (trasporti) che seguono i rider – che rappresentano gli interessi di tutti i sindacati. Durante l’iter altri lavoratori e altri sindacati potranno aderire alla causa.
L’azione legale chiede l’applicazione a tutti i rider in Italia del contratto nazionale della logistica facendo leva su tre diverse decisioni. La prima è la sentenza del tribunale di Bologna che lo scorso 3 luglio ha dichiarato «l’illegittimità dell’applicazione ai riders»: a questa sentenza però Deliveroo ha risposto limitando l’applicazione ai soli rider di Bologna in modo poco trasparente: «dalle buste paga c’è un’integrazione di circa il 20% – spiega De Marchis – con una nuova voce, ma il tutto non è chiaro».
La seconda recente novità riguarda il pronunciamento del Tar del Lazio che lo scorso 3 agosto ha bocciato il ricorso di Assodelivery contro la circolare con cui il ministero del Lavoro – all’epoca guidato da Nunzia Catalfo – aveva bocciato il Assodelivery- Ugl a settembre 2020. Il Tar del Lazio ha ribadito come il sindacato Ugl non sia rappresentativo, un vero autogol per Assodelivery e Deliveroo e il loro capo Matteo Sarzana. L’ultimo pronunciamento è stato quello del Garante della privacy che il 2 agosto ha affibiato una multa da 2,5 milioni a Deliveroo Italy per il sistema di ranking usato per qualificare i rider, contestando anche il nuovo sistema che decide l’assegnazione degli ordini ai rider.
«Tutti questi pronunciamenti di diversi tribunali rafforzano la nostra class action – spiega De Marchis – e ci spinge a chiedere l’efficacia generalizzata: l’applicazione del contratto nazionale della logistica a tutti i rider».
La battaglia legale si annuncia lunga e dura. Se la Cgil la vincerà, la nuova normativa sulla class action prevede infatti «il danno punitivo: Deliveroo se non si adeguasse subito, dovrebbe pagare una sanzione per ogni giorno di ritardo, calcolata proporzionalmente al suo fatturato», specifica De Marchis.
La Cgil sottolinea come il contratto Assodelivery-Ugl «sancisce il cottimo limitando i diritti dei lavoratori delle piattaforme del food delivery. È la prima class action dei lavoratori della gig economy in Europa e la prima in Italia in materia di lavoro. La class action – conclude la Cgil – è un’iniziativa dai possibili effetti dirompenti: consentirebbe a tutti i rider di avere retribuzioni adeguate e condizioni di lavoro parametrate alla contrattazione collettiva di settore. Con questa ulteriore iniziativa giudiziaria, la Cgil interviene su uno dei principali fattori distorsivi della contrattazione e di precarizzazione».

Sicurezza sul lavoro. Una risposta a Bruno Giordano, nuovo direttore dell’Ispettorato nazionale sul lavoro

Foto Ansa

 

Ho letto con attenzione l’intervista al dott. Bruno Giordano, magistrato serio e competente e nuovo responsabile dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. E condivido la proposta di modifica dell’articolo 14 del Testo Unico volta a estendere, rispetto a quanto oggi previsto, il ricorso alla sospensione di attività di impresa.

Sulla patente a punti, o meglio, su un sistema di qualificazione delle imprese (come recita l’art. 27 del Testo Unico) al fine di avere in questo paese un sistema premiante/penalizzante anche ai fini della stessa permanenza sul mercato di aziende che non rispettino la sicurezza, mi permetto di sottolineare come essa rappresenti non certo la soluzione ad ogni problema ma un sistema di qualificazione preventiva con una “pervasività” sicuramente superiore alla possibile “sanzione sospensiva” che potrebbe scattare solo a seguito di accesso da parte degli ispettori (con tutti i limiti di risorse, programmazione, ecc. sottolineati anche da Giordano).

Rispetto poi ad alcune affermazioni è vero che il legislatore all’epoca pensò di iniziare la sperimentazione dall’edilizia per poi eventualmente estenderla ad altri (del resto così è stato anche per il Documento Unico di Regolarità Contributiva, per la Congruità, per la stessa asseverazione, ecc.), ma questa non è una “buona scusa” per non avviare la patente a punti nel nostro settore, che ahimè, conosce un numero di irregolarità e di infortuni mortali molto alto come ci ricorda la cronaca quotidiana e come sa lo stesso Ispettorato impegnato, insieme alle Casse Edili, a promuovere il rispetto delle norme di legge e contrattuali (si veda la convenzione tra Inl e Cnce recentemente sottoscritta).

Soprattutto, ma questo il dott. Giordano potrebbe non saperlo, non è vero che vi furono (e vi sono) problemi tecnici che, in questi 13 anni, hanno impedito l’avvio della patente a punti: tanto è che una bozza di decreto del Presidente della Repubblica condiviso con il Ministero del Lavoro era stata redatta e condivisa da molti (era il 2009/2010) sia in termini normativi che tecnici e – per stare ai giorni nostri- si è discusso di attuare l’art. 27 anche recentemente (precisamente durante il confronto con Palazzo Chigi sulle nuove norme in materia di appalti relativamente al decreto 77/21).

All’epoca, per la precisione nel 2009 e nel 2010, la sperimentazione fu bloccata per esplicita scelta politica a seguito delle proteste di alcune associazioni di impresa a cui, purtroppo, anche chi si reputava di sinistra era molto sensibile. Più recentemente l’argomento è stato quello di “non pesare” sulle incombenze delle aziende… Chiarito ciò mi chiedo: ma se la patente a punti, che tutti dicono essere una buona idea, per essere operativa – anche se per ora nei cantieri- ha bisogno solo di un Decreto del Presidente della Repubblica, On. Mattarella, su proposta del ministro Orlando, senza passaggi parlamentari o dal Consiglio dei Ministri, intanto perché non la si sperimenta? Anche per dare attuazione a quel richiamo presente sempre nel decreto 77/2021 così fortemente voluto da Draghi, dove si mette in capo alle stazioni appaltanti dal 1 Novembre prossimo la possibilità di “introdurre elementi di qualificazione delle imprese al fine di garantire la massima sicurezza nei cantieri e sui luoghi di lavoro”?

Si vedrà così quel che funziona e quello che eventualmente va corretto. Anche perché – lo dico sommessamente- prima di riaprire in Parlamento, in questo Parlamento, una discussione su modifiche normative (tale è la proposta di Giordano) al Testo Unico, senza averne “blindato” con le organizzazioni sindacali perimetri e interventi, ci andrei cauto. E prima di cambiare le norme esistenti, sarebbe buona case renderle operative e applicarle.

* L’autore è segretario generale Fillea-Cgil

Una riviera sostenibile, rinnovabile e resiliente ai cambiamenti climatici:

unico futuro possibile per la nostra costa

Goletta Verde arriva a Marina - Cronaca - ilrestodelcarlino.it

Legambiente lancia il Manifesto per costa dell’Emilia Romagna, un documento che parte dalle problematiche che attanagliano la costa emiliano-romagnola per far sì che si mantenga alta l’attenzione e mettere in luce le possibili soluzioni da adottare per avviare percorsi virtuosi e rendere questa fetta di territorio realmente sostenibile e motivo di vanto per l’intera regione.

Il Manifesto è stato presentato in occasione dell’evento di chiusura della tappa emilano-romagnola di Goletta Verde ed è frutto del lavoro di coordinamento dei Circoli di Legambiente della costa, che quotidianamente affrontano da vicino i problemi delle aree interessate, dal delta del Po fino al riminese.

Il paesaggio costiero dell’Emilia-Romagna, infatti, rappresenta da sempre una parte rilevante dell’identità delle regione, oltre che un patrimonio naturale da tutelare e una risorsa turistica importantissima. È risaputo però che la pressione antropica e le trasformazioni avvenute nei decenni se da un lato hanno portato un innegabile benessere economico, dall’altro hanno causato danni irreversibili all’ambiente, con distruzione di interi ecosistemi.
Fra i problemi più rilevanti vale la pena ricordare la massiccia cementificazione, il rischio di inquinamento portato dai fiumi dell’interno, la plastica in mare, i rischi idraulici di ingressione marina e alluvioni fluviali determinati dall’abbassamento del suolo e dai cambiamenti climatici, a cui si aggiunge poi la contaminazione delle acque dolci di falda per effetto dell'intrusione delle acque salate marine. A queste pressioni “legali” si sommano poi quelle illegali, come la caccia e la pesca di frodo, gli incendi, gli abbandoni di rifiuti.

Si stima che dal 1988 al 2011 siano oltre settemila i metri di costa naturale scomparsi a causa dell’urbanizzazione, situazione peggiorata dal rischio idrogeologico e dai fenomeni legati ai mutamenti climatici. In primis la subsidenza (cioè il fenomeno di abbassamento del suolo) e l’erosione costiera che, sommati al rischio di innalzamento marino e all’aggravarsi di mareggiate dovute al cambiamento climatico, determinano un forte rischio di ingressione marina e alluvioni per gli abitati costieri.

Si tratta di un quadro già di per sé allarmante, reso ancora più grave dalle numerose concessioni di sfruttamento di giacimenti di idrocarburi a mare che negli anni hanno riguardato l’Alto Adriatico, con il tessuto economico di Ravenna che si è connotato come l’hub nazionale dell’Oil and Gas e dei servizi off-shore ad esso connessi.
Risulta quindi incomprensibile la notizia che recentemente il MiTe abbia concesso l’autorizzazione per la realizzazione di due nuovi pozzi di estrazione a mare e il rinnovo delle altre concessioni, così come la realizzazione del CCS. Un atteggiamento che stride fortemente con l’obiettivo del Patto per il Lavoro e il Clima in cui la Regione Emilia Romagna si è posta un obiettivo molto ambizioso: arrivare al 100% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2035. Si dovrebbe quindi piuttosto puntare sullo sviluppo delle rinnovabili e velocizzare la realizzazione di progetti già esistenti, come l’eolico offshore e il fotovoltaico galleggiante.

Nel Manifesto di Legambiente emerge la centralità del turismo, negli anni caratterizzato da una pressione antropica elevata e concentrata in pochi mesi, che non ha fatto altro che mettere in evidenza diverse criticità: la gestione dei rifiuti, l’approvvigionamento idrico e la gestione dei reflui, a cui solo negli ultimi anni le diverse amministrazioni hanno cominciato a dare risposta. Ma soprattutto la conseguente mobilità incentrata sull'auto privata, anche se negli anni sono stati fatti passi in avanti con la creazione di nuove ciclabili e con lo sviluppo del trasporto pubblico e della sharing mobility. Sono primi passi che necessitano di sviluppi ulteriori, soprattutto in quelle località dove ancora non ci sono sistemi adeguati. 

Proprio per questi motivi la proposta di Legambiente per la costa dell’Emilia-Romagna è quella di dare priorità alla messa in sicurezza fisica del territorio, facendo sì che questa zona turistica possa diventare un distretto di eccellenza della sostenibilità, in cui mobilità, produzione di energia verde e gestione dei rifiuti siano all’avanguardia a livello nazionale ed internazionale.

Legambiente lancia quindi le seguenti azioni necessarie:

  1. Che venga bloccato il rilascio di nuove concessioni per lo sfruttamento di idrocarburi per mitigare il rischio legato alla subsidenza;
  2. Che venga messa in campo una strategia per la riconversione del distretto industriale dell’Oil and gas di Ravenna verso un vero futuro sostenibile, che deve essere diverso dalla soluzione del CCS di ENI. Tra le ipotesi concrete da sviluppare: 1) una strategia forte per un’ampia produzione di eolico off-shore a distanza dalla costa (pianificazione, infrastrutturazione della rete elettrica); 2) un piano di decommissioning delle piattaforme dismesse, che – stante il numero di piattaforme al largo delle coste italiane - garantirebbe anni di attività;
  3. Che vengano costantemente diminuiti i prelievi idrici in falda per rallentare ulteriormente il fenomeno della subsidenza;
  4. Che si attuino politiche di bacino più forti per garantire le portate estive adeguate al Po;
  5. Che sia fatto un importante lavoro verso il mondo agricolo per favorire e sostenere l’adozione di colture meno idroesigenti;
  6. Che vengano previste misure di protezione idrauliche (ad esempio il parco del mare di Rimini) o l’innalzamento delle quote dei manufatti, con particolare attenzione alle quote delle banchine dei porti canale che sono l'ingresso del mare all'interno delle città costiere.
  7. Che vengano ripristinati, dove possibile, i cordoni dunosi e gli habitat tipici del litorale adriatico con la reintroduzione di specie vegetali e animali autoctoni e vengano rispettati i ritmi e gli spazi della biodiversità marina;
  8. Che vengano aggiornate le mappe demaniali, in relazione ai mutamenti che ha subito la costa, e venga istituito un sistema rapido per l’aggiornamento delle stesse;
  9. Che siano realizzati regolamenti omogenei sul territorio regionale che includano indicazioni per ridurre le perdite di sedimenti dal sistema spiaggia e per favorire l’utilizzo delle sabbie recuperate dagli scavi edili e da altre fonti in ambito litoraneo, ai fini del ripascimento;
  10. Che sia ridotto il tasso di erosione mediante installazione di barriere soffolte permeabili per il mantenimento dei sedimenti portati a ripascimento;
  11. Che non siano date ulteriori concessioni edilizie che prevedano ulteriore consumo di suolo, puntando quindi sulla rigenerazione del costruito e sia previsto, ove possibile, un arretramento dell’edificato per una maggiore capacità di risposta ai cambiamenti climatici in atto;
  12. Che vengano diversificate e destagionalizzate le opportunità e le offerte turistiche;
  13. Che sia garantita la presenza di aree di spiaggia libera proporzionate all’utenza della località, curate e in aree appetibili e siano vietate ulteriori concessioni rispetto alle esistenti o allargamento delle esistenti;
  14. Che si sviluppi una reale mobilità sostenibile lungo tutta la costa, migliorando le ciclabili esistenti e collegandole tra loro, fornendo servizi di TPL sufficienti per capienza e con passaggi più frequenti; creando la metropolitana del mare per collegamenti rapidi via ferro delle località costiere; sviluppando nella località diversi sistemi di sharing mobility;
  15. Che si lavori per istituire un Parco unico del Delta del Po;
  16. Che siano realizzate campagne formative e informative sui rischi legati al cambiamenti climatico e sulle azioni che vengono adottate per ridurne gli impatti
  17. Che si connoti la costa dell’Emilia Romagna come uno dei territori più avanzati sulle politiche plastic free e contro l’usa e getta. Da questo punto di vista vanno proseguite e potenziate le attività di supporto al settore turistico e della ristorazione e le attività contro le plastiche a mare. Vanno inoltre promosse azioni per eliminare le retine della miticoltura a mare utilizzando materiali biodegradabili o garantendo sistemi di recupero delle “calze” usate negli allevamenti

   L’Ufficio stampa

ufficiostampa@legambiente.emiliaromagna.it

Tel: 051241324

Il sesto rapporto sullo Stato sul clima dell’IPCC evidenzierà l'accelerazione della crisi climatica, eppure c’è chi per rallentare le politiche di intervento propone soluzioni bizzarre e impraticabili.

 

Oggi, lunedì 9 agosto, verrà reso pubblico il sesto rapporto sullo Stato sul clima dell’IPCC, il precedente risaliva al 2013, che sottolineerà l’accelerazione dei fenomeni estremi e al tempo stesso la possibilità di evitare esiti catastrofici.

Del resto, analizzando gli eventi recenti si evidenziano due trend complementari. Da un lato una successione impressionante di impatti climatici, dagli incendi con devastazioni eccezionali (Australia, Nord America, Siberia) alle alluvioni di una gravità estrema (Europa, Cina). Dall’altro l’innalzamento, in alcuni casi imprevisto, degli obiettivi climatici al 2030 e 2050 da parte di molti paesi.

Riuscire a far diventare climaticamente neutre in 30 anni economie forti come quelle della Ue, degli Usa o del Giappone, rappresenta in effetti un impegno notevole. E ancor più sfidante sarà lo sforzo per raggiungere la neutralità carbonica da parte della Cina e di altri paesi asiatici (vedi figura).

Va detto che l’accelerazione dei governi è sì legata all’aggravarsi della crisi climatica, ma è anche confortata dalla disponibilità di tecnologie “dirompenti” a prezzi sempre più bassi.

E proprio l’abbinamento tra obiettivi ambiziosi e soluzioni sempre più competitive, dalle rinnovabili alla mobilità elettrica, sta innescando trasformazioni epocali di interi settori.

Sono recentissime sia le proposte della Commissione UE sullo stop alle vendite di auto a combustione interna dal 2035 che l’ordine esecutivo di Biden che prevede che la metà delle auto vendute negli Usa nel 2030 debbano essere elettriche. E secondo i costruttori cinesi il mercato dell’auto del loro paese a fine decennio sarà elettrico per il 70%.

Certo, parliamo di sfide gigantesche. Ma la lucidità politica consiste proprio nel saper coglie l’onda che è partita e non rimanerne travolti.

“La transizione ecologica, se fatta bene, genera occupazione e innovazione”, ha dichiarato Mario Draghi.  Ma non sembrano altrettanto positive le affermazioni del ministro Cingolani che teme “un bagno di sangue”. O ancora peggio quelle del professor Alberto Clò, che ritiene le proposte europee “simboliche, frutto del fanatismo ecologista”.

Eppure sul fronte delle imprese c’è chi ha capito che occorre cambiare, e rapidamente. Così, Herbert Diess, amministratore delegato di Volkswagen è netto: “La mobilità individuale ha davanti a sé un futuro luminoso. Il nostro obiettivo è di diventare leader nel mercato globale dei veicoli elettrici”. Considerato che l’industria italiana della componentistica dell’auto lavora molto per la Germania, è ovvio che ad essa andrebbe destinata una forte attenzione, cosa che non si nota purtroppo nel Pnrr.

L’altro settore che verrà completamente rivoluzionato è quello della generazione elettrica.

Le fonti rinnovabili continuano a macinare record, con 174 miliardi $ di investimenti nel primo semestre 2021, e sono destinati a dominare il mercato elettrico nei prossimi decenni.

Anche in questo campo c’è chi si attarda nel vecchio modello e chi si è lanciato nell’avventura verde. Enel, ad esempio, nel prossimo decennio spenderà 160 miliardi di euro nelle rinnovabili e nelle reti puntando ad avere 120 GW verdi.

Ed è interessante sottolineare come rinnovabili e auto elettriche risulteranno sul medio e lungo periodo decisamente più competitive rispetto alle tecnologie del passato.

Ma in questa situazione in rapida evoluzione, suonano stonate le posizioni di coloro che vogliono frenare la transizione.

È vero che è difficile ormai trovare in Italia dei negazionisti del clima, ma pur di rallentare le politiche di intervento emergono le posizioni più bizzarre.

Così, La Verità titola un articolo di Carlo Pelanda “Invece di cercare di cambiare il clima dobbiamo fare le cose giuste per difenderci”.

Ci sono poi le proposte surreali di Enrico Mariutti sul Sole24Ore del 2 agosto. “Le rinnovabili, l’auto elettrica, gli hamburger vegetali non ci aiutano in alcun modo a scongiurare le minacce”.

Ecco quindi la formula magica, la cattura dell’anidride carbonica dall’aria, una soluzione che, oltre ad essere terribilmente energivora, (e come la produciamo tutta questa energia?), è destinata a svolgere un ruolo del tutto marginale.

Sempre negli ultimi giorni, il Foglio, i cui articoli spesso hanno sposato posizioni negazioniste sul clima, ha pubblicato un pezzo dal titolo “L’apocalisse che non c’è” con sottotitolo “Il riscaldamento globale non si risolve azzerando le emissioni” in cui l’autore Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione Italiana Nucleare, evidenzia alcune proposte contenute in un libro statunitense, peraltro molto contestato in casa.

Così esce dal cappello un “piano B” più leggero, graduale, da realizzare senza fretta. E cosa spunta fuori? La gassificazione del carbone, i reattori nucleari leggeri, la fusione nucleare.

Insomma, adesso che è il momento di agire, si alza una coltre fumogena. C’è chi sostiene che ormai non c’è più niente da fare per scongiurare l’emergenza climatica e chi propone soluzioni impraticabili.

E torniamo così agli obiettivi 2030 europei, al processo Fit for 55, che dovrà essere gestito con grande intelligenza.  Sapendo che l’Unione Europea potrà facilitare passaggi complicati, come quelli del carbone polacco, di alcuni settori industriali o del comparto auto.

Poi naturalmente ci sono paesi e realtà che tirano.

È uscito in questi giorni il “Programma di protezione climatica subito” dei Verdi tedeschi. Si prevede un nuovo Ministero, con diritto di veto in caso di leggi non compatibili con l’Accordo di Parigi, responsabile del coordinamento di tutti i Ministeri. E vengono indicati diversi sfidanti obiettivi settoriali, come i 12 GW solari e 6 GW eolici da installare all’anno.

Vedremo cosa succederà alle elezioni del 26 settembre, ma è molto probabile un’accelerazione delle politiche climatiche da parte del prossimo governo tedesco e quindi un impulso a tutta l’Europa.

Sapendo inoltre che le dinamiche della Ue hanno avuto in passato, e avranno anche in futuro, un notevole impatto anche a livello globale.