Il Coordinamento per la democrazia costituzionale (nato nel 2014 per opporsi alla riforma costituzionale del governo Renzi) lancia un appello contro la riforma della giustizia sulla quale il premier Draghi vorrebbe porre la questione di fiducia. Pur ammettendo che il «progetto introduce delle note positive che consentono un alleggerimento della macchina giudiziaria, puntano a rendere più equo il processo penale e a valorizzare la funzione rieducativa della pena», la presidenza del Cdc reputa «pericolose e insostenibili» alcune scelte della ministra Cartabia.
Uno dei bocconi più amari è il nuovo istituto introdotto con il ddl: l’improcedibilità del processo per superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione. Il presidente Massimo Villone su questo punto si trova d’accordo con i pm antimafia Gratteri e Cafiero De Raho: «Questa soluzione – scrive – non solo non risolve il problema ma provoca effetti paradossali. Crimini anche gravi, compresi quelli di natura mafiosa, diventeranno non punibili, anche se non sono maturati i termini di prescrizione». In un lungo documento il Cdc arriva a sostenere: «È evidente che se prevarrà il partito dell’impunità, nascosto nelle pieghe della riforma, crescerà nella società il livello di sopraffazione e violenza».
Il secondo motivo di allarme riguarda «la perenne aspirazione dei poteri politici a mettere le mani sul Pm» che «ha trovato eco nella riforma con la norma che assegna al Parlamento di predeterminare con legge i criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale». Il Cdc considera questo un «cuneo nel modello costituzionale che sancisce l’indipendenza del Pm e l’obbligatorietà dell’azione penale a garanzia dei diritti e dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge». L’appello è a mobilitarsi «per evitare soluzioni inadeguate e incostituzionali che possono provocare danni irreversibili».