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Il sesto rapporto sullo Stato sul clima dell’IPCC evidenzierà l'accelerazione della crisi climatica, eppure c’è chi per rallentare le politiche di intervento propone soluzioni bizzarre e impraticabili.

 

Oggi, lunedì 9 agosto, verrà reso pubblico il sesto rapporto sullo Stato sul clima dell’IPCC, il precedente risaliva al 2013, che sottolineerà l’accelerazione dei fenomeni estremi e al tempo stesso la possibilità di evitare esiti catastrofici.

Del resto, analizzando gli eventi recenti si evidenziano due trend complementari. Da un lato una successione impressionante di impatti climatici, dagli incendi con devastazioni eccezionali (Australia, Nord America, Siberia) alle alluvioni di una gravità estrema (Europa, Cina). Dall’altro l’innalzamento, in alcuni casi imprevisto, degli obiettivi climatici al 2030 e 2050 da parte di molti paesi.

Riuscire a far diventare climaticamente neutre in 30 anni economie forti come quelle della Ue, degli Usa o del Giappone, rappresenta in effetti un impegno notevole. E ancor più sfidante sarà lo sforzo per raggiungere la neutralità carbonica da parte della Cina e di altri paesi asiatici (vedi figura).

Va detto che l’accelerazione dei governi è sì legata all’aggravarsi della crisi climatica, ma è anche confortata dalla disponibilità di tecnologie “dirompenti” a prezzi sempre più bassi.

E proprio l’abbinamento tra obiettivi ambiziosi e soluzioni sempre più competitive, dalle rinnovabili alla mobilità elettrica, sta innescando trasformazioni epocali di interi settori.

Sono recentissime sia le proposte della Commissione UE sullo stop alle vendite di auto a combustione interna dal 2035 che l’ordine esecutivo di Biden che prevede che la metà delle auto vendute negli Usa nel 2030 debbano essere elettriche. E secondo i costruttori cinesi il mercato dell’auto del loro paese a fine decennio sarà elettrico per il 70%.

Certo, parliamo di sfide gigantesche. Ma la lucidità politica consiste proprio nel saper coglie l’onda che è partita e non rimanerne travolti.

“La transizione ecologica, se fatta bene, genera occupazione e innovazione”, ha dichiarato Mario Draghi.  Ma non sembrano altrettanto positive le affermazioni del ministro Cingolani che teme “un bagno di sangue”. O ancora peggio quelle del professor Alberto Clò, che ritiene le proposte europee “simboliche, frutto del fanatismo ecologista”.

Eppure sul fronte delle imprese c’è chi ha capito che occorre cambiare, e rapidamente. Così, Herbert Diess, amministratore delegato di Volkswagen è netto: “La mobilità individuale ha davanti a sé un futuro luminoso. Il nostro obiettivo è di diventare leader nel mercato globale dei veicoli elettrici”. Considerato che l’industria italiana della componentistica dell’auto lavora molto per la Germania, è ovvio che ad essa andrebbe destinata una forte attenzione, cosa che non si nota purtroppo nel Pnrr.

L’altro settore che verrà completamente rivoluzionato è quello della generazione elettrica.

Le fonti rinnovabili continuano a macinare record, con 174 miliardi $ di investimenti nel primo semestre 2021, e sono destinati a dominare il mercato elettrico nei prossimi decenni.

Anche in questo campo c’è chi si attarda nel vecchio modello e chi si è lanciato nell’avventura verde. Enel, ad esempio, nel prossimo decennio spenderà 160 miliardi di euro nelle rinnovabili e nelle reti puntando ad avere 120 GW verdi.

Ed è interessante sottolineare come rinnovabili e auto elettriche risulteranno sul medio e lungo periodo decisamente più competitive rispetto alle tecnologie del passato.

Ma in questa situazione in rapida evoluzione, suonano stonate le posizioni di coloro che vogliono frenare la transizione.

È vero che è difficile ormai trovare in Italia dei negazionisti del clima, ma pur di rallentare le politiche di intervento emergono le posizioni più bizzarre.

Così, La Verità titola un articolo di Carlo Pelanda “Invece di cercare di cambiare il clima dobbiamo fare le cose giuste per difenderci”.

Ci sono poi le proposte surreali di Enrico Mariutti sul Sole24Ore del 2 agosto. “Le rinnovabili, l’auto elettrica, gli hamburger vegetali non ci aiutano in alcun modo a scongiurare le minacce”.

Ecco quindi la formula magica, la cattura dell’anidride carbonica dall’aria, una soluzione che, oltre ad essere terribilmente energivora, (e come la produciamo tutta questa energia?), è destinata a svolgere un ruolo del tutto marginale.

Sempre negli ultimi giorni, il Foglio, i cui articoli spesso hanno sposato posizioni negazioniste sul clima, ha pubblicato un pezzo dal titolo “L’apocalisse che non c’è” con sottotitolo “Il riscaldamento globale non si risolve azzerando le emissioni” in cui l’autore Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione Italiana Nucleare, evidenzia alcune proposte contenute in un libro statunitense, peraltro molto contestato in casa.

Così esce dal cappello un “piano B” più leggero, graduale, da realizzare senza fretta. E cosa spunta fuori? La gassificazione del carbone, i reattori nucleari leggeri, la fusione nucleare.

Insomma, adesso che è il momento di agire, si alza una coltre fumogena. C’è chi sostiene che ormai non c’è più niente da fare per scongiurare l’emergenza climatica e chi propone soluzioni impraticabili.

E torniamo così agli obiettivi 2030 europei, al processo Fit for 55, che dovrà essere gestito con grande intelligenza.  Sapendo che l’Unione Europea potrà facilitare passaggi complicati, come quelli del carbone polacco, di alcuni settori industriali o del comparto auto.

Poi naturalmente ci sono paesi e realtà che tirano.

È uscito in questi giorni il “Programma di protezione climatica subito” dei Verdi tedeschi. Si prevede un nuovo Ministero, con diritto di veto in caso di leggi non compatibili con l’Accordo di Parigi, responsabile del coordinamento di tutti i Ministeri. E vengono indicati diversi sfidanti obiettivi settoriali, come i 12 GW solari e 6 GW eolici da installare all’anno.

Vedremo cosa succederà alle elezioni del 26 settembre, ma è molto probabile un’accelerazione delle politiche climatiche da parte del prossimo governo tedesco e quindi un impulso a tutta l’Europa.

Sapendo inoltre che le dinamiche della Ue hanno avuto in passato, e avranno anche in futuro, un notevole impatto anche a livello globale.

Nuovo appuntamento lunedì 9 agosto con il tavolo ministeriale che vede a confronto le parti interessate. Scacchetti, Cgil: “Puntiamo a un sistema che includa tutti i lavoratori, indipendentemente dalla tipologia di azienda”

Riprende il confronto sulla riforma degli ammortizzatori sociali con il tavolo convocato dal ministero del Lavoro per lunedì 9 agosto alle 15.30, a cui partecipano tutti i sindacati, i rappresentanti delle imprese, e le parti interessate. L’obiettivo, fare un ulteriore passo in avanti nella discussione che vedrà come punto di partenza le linee guida stilate dal Ministero, per contribuire “a costruire un modello di welfare state inclusivo che sia compiutamente idoneo a fungere da strumento di realizzazione dell’uguaglianza sostanziale quale presidio fondamentale di tutela e garanzia della dignità umana”. Lo scopo prioritario della riforma è che non ci siano lavoratori esclusi dal sistema di protezione sociale, sia in costanza di rapporto di lavoro sia in mancanza di occupazione. Ma su come garantire questa inclusione e quindi sulle modalità per raggiungerlo che si gioca la partita principale.  

 “Per noi è importante che si costruisca un sistema di ammortizzatori sociali che sia universale -  spiega Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil -. Quello a cui vogliamo arrivare è che

Avevano fatto un appello il 24 giugno per cercare di fermare la macchina della campagna elettorale a sinistra e tentare un rassemblement radicale che confluisse nella coalizione di de Pascale. Non ci sono riusciti e alla fine hanno optato per il piano B, cioè per un accordo con Ravenna Coraggiosa. È questo il senso del comunicato di oggi dal titolo significativo “una sinistra unita per Ravenna in Ravenna Coraggiosa” .

Giovanni Paglia

“Il 24 giugno scorso, una parte della sinistra ravennate che aveva dato vita nel 2016 a Ravenna in Comune, ha promosso e sottoscritto  il Manifesto per una sinistra ampia, forte e coesa al governo di Ravenna, firmato da E’Viva, Circolo “Laura Conti” e Sinistra Italiana Ravenna, oltre che da 44 cittadine e cittadini provenienti da varie esperienze civiche. – si legge nella nota – Ci chiedevamo se fosse possibile la confluenza di percorsi distinti, segnati da differenze ma anche dalla comune consapevolezza che la nostra città debba diventare capitale della dignità del lavoro, della transizione ecologica e dell’inclusione sociale. Abbiamo apprezzato la risposta di apertura e coerenza di Ravenna Coraggiosa che nel frattempo aveva consolidato con le “idee coraggiose” una visione di Ravenna cui abbiamo sempre guardato con attenzione. Da allora, è iniziato un percorso di dialogo e confronto con Ravenna Coraggiosa, che ha determinato le condizioni per la confluenza in quel percorso  e la presentazione di una lista comune fra le diverse esperienze alle amministrative di ottobre. Siamo felici di essere arrivati ad una sintesi né semplice, né scontata, considerata la nostra collocazione all’opposizione negli ultimi 5 anni.”

“È stato un percorso vero, in cui abbiamo confrontato programmi, obiettivi, e la nostra visione della città, e che ci porta a chiedere a chi ha apprezzato il nostro percorso di sottoscrivere l’appello per una Ravenna Coraggiosa. Siamo convinti che da oggi sia più forte la Ravenna solidale, quella fatta di persone che come noi hanno a cuore la giustizia sociale, i diritti umani e civili, la cultura diffusa, l’ambiente. Vogliamo dare forza e sostanza ad un progetto di sinistra per la città, a sostegno della candidatura del Sindaco Michele de Pascale, e siamo certi che unire le forze in questa direzione sia un passo importante per battere le forze di destra che ci vogliono sempre più chiusi, impauriti, ripiegati nell’individualismo. Da oggi inizia quindi il nostro percorso comune e la sfida per coinvolgere cittadini e cittadine nel nostro progetto per una Ravenna inclusiva, verde, solidale” conclude la nota.

 

Notizie! Comitati Locali CDC – Coordinamento per la democrazia  costituzionale

Il Coordinamento per la democrazia costituzionale (nato nel 2014 per opporsi alla riforma costituzionale del governo Renzi) lancia un appello contro la riforma della giustizia sulla quale il premier Draghi vorrebbe porre la questione di fiducia. Pur ammettendo che il «progetto introduce delle note positive che consentono un alleggerimento della macchina giudiziaria, puntano a rendere più equo il processo penale e a valorizzare la funzione rieducativa della pena», la presidenza del Cdc reputa «pericolose e insostenibili» alcune scelte della ministra Cartabia.

Uno dei bocconi più amari è il nuovo istituto introdotto con il ddl: l’improcedibilità del processo per superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione. Il presidente Massimo Villone su questo punto si trova d’accordo con i pm antimafia Gratteri e Cafiero De Raho: «Questa soluzione – scrive – non solo non risolve il problema ma provoca effetti paradossali. Crimini anche gravi, compresi quelli di natura mafiosa, diventeranno non punibili, anche se non sono maturati i termini di prescrizione». In un lungo documento il Cdc arriva a sostenere: «È evidente che se prevarrà il partito dell’impunità, nascosto nelle pieghe della riforma, crescerà nella società il livello di sopraffazione e violenza».

Il secondo motivo di allarme riguarda «la perenne aspirazione dei poteri politici a mettere le mani sul Pm» che «ha trovato eco nella riforma con la norma che assegna al Parlamento di predeterminare con legge i criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale». Il Cdc considera questo un «cuneo nel modello costituzionale che sancisce l’indipendenza del Pm e l’obbligatorietà dell’azione penale a garanzia dei diritti e dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge». L’appello è a mobilitarsi «per evitare soluzioni inadeguate e incostituzionali che possono provocare danni irreversibili».

Nel triennio 2017-2020 ogni abitante ha perso oltre 3 mq di campagna, per un totale di quasi 1500 ettari complessivi: il 20% dell'intero limite concesso fino al 2050 secondo la legge regionale

 Piacenza, Ravenna, Parma e Bologna le province che detengono il record di ettari consumati

Consumo di suolo: cosa prevede il disegno di legge approvato alla Camera

Legambiente commenta i dati pubblicati dal recente Rapporto di ISPRA sul consumo di suolo, con un focus sugli andamenti dell’Emilia Romagna. Lo fa tornando sul tema a un mese dalla lettera mandata ai consiglieri regionali in cui si chiedeva lo stop delle deroghe alla legge urbanistica regionale e più forza nella tutela del suolo vergine dell’Emilia-Romagna.

Prendendo in esame i dati ISPRA, che riportano una perdita di 425 ettari tra il 2019 e il 2020, si evince come, in media, ogni abitante dell’Emilia-Romagna, bambini compresi, abbia perso personalmente un metro quadrato di campagna.

Un dato preoccupante, che conferma una tendenza già in atto da tempo. A dimostrazione di ciò l’associazione, ampliando il raggio temporale al triennio 2017-2020, riporta come in soli tre anni i metri quadrati di campagna consumati per cittadino siano più di 3, per un totale di circa 1500 ettari totali nell’arco temporale preso in esame.

Uno scenario sconcertante, soprattutto alla luce del fatto che la legge regionale approvata nel 2017 prevederebbe un massimo di 7000 ettari di consumo ammissibile dal 2020 al 2050.

In definitiva, i dati mettono in luce come in soli tre anni si sia già compromesso un quantitativo pari al 20% dell’intero limite regionale.

Proprio per questo motivo Legambiente chiede da tempo che la normativa regionale cominci ad essere applicata a pieno e venga resa più restrittiva e cogente, al fine di arginare realmente il continuo assalto al territorio.

Se infatti la media regionale di consumo di suolo pro capite nello scorso anno è stata di circa 1 metro quadro a testa, ci sono comuni che vantano record negativi ben più allarmanti.

È il caso, per esempio, di Villanova sull’Arda e Sarmato (entrambi in provincia di Piacenza), che hanno prodotto un consumo record rispettivamente di 28 mq e 21 mq di campagna sacrificata per abitante. Segue San Giorgio in Piano (BO) con un consumo di 15 mq di suolo vergine (si vedano le tabelle successive).

 Se invece si considera come indicatore il totale di ettari consumati allora è il comune di Ravenna a guidare la triste classifica, con ben 64 ettari di campagna persa in un solo anno. Seguono Modena con 16 ettari e di nuovo San Giorgio in Piano (BO), che con i suoi 14 ettari consumati si guadagna il podio insieme ai due comuni capoluogo.

A livello provinciale è il territorio ravennate che nel 2020 ha consumato maggior suolo pro capite, arrivando ad un risultato doppio rispetto alle statistiche regionali.

Guardando invece al triennio 2017-2020 si conferma il protagonismo negativo delle province di Piacenza e Ravenna, seguite da Parma. Se, infatti, la media di consumo pro capite regionale si attesta attorno ai 3 mq, la provincia di Piacenza arriva quasi a 7 mq, mentre Ravenna e Parma superano i 5 mq. Su Piacenza è la logistica a creare i più forti allarmi, anche se non mancano certo i progetti per cementare aree cittadine, come quella urbana di Via Campesio e per il futuro ospedale. Nella provincia parmense le cause si riscontrano soprattutto nel peso delle infrastrutture in costruzione (si pensi all’autostrada Ti-BRe), mentre altre sono purtroppo in previsione (la tangenziale di Noceto) o progettate (l’ampliamento dell’aeroporto).

Se si guarda, invece, ai singoli comuni sono 13 quelli che nel triennio hanno consumato più di 20 mq per abitanti: di questi ben 5 sono della provincia di Piacenza.

I peggiori risultati in assoluto si riscontrano ancora a Villanova e a Sarmato, con un area di campagna consumata per abitante equivalente a quella di un bilocale (rispettivamente 71 e 54 mq).

Discorso a parte va fatto per la provincia di Bologna: analizzando i dati di consumo pro capite l’area metropolitana, infatti, sta sotto le medie regionali di consumo di suolo; un dato giustificato dal numero elevato di abitanti e da un capoluogo - stretto tra collina ed altri comuni - che ha oramai tassi di crescita molto bassi.

Discorso diverso va fatto se si guarda invece al valore assoluto degli ettari totali consumati: la Città Metropolitana è la peggiore a livello regionale e vede alcuni comuni della Pianura che spiccano per consumi davvero enormi, come Bentivoglio (40 mq) e Mordano (30 mq). Il piccolo comune bolognese ha peraltro anche una concentrazione davvero elevata di industrie a rischio incidenti rilevanti, situazione che determina una pressione ambientale molto alta. In generale poi sul bolognese gravano enormi proposte di espansioni logistiche che annunciano altro consumo di suolo.

Alla luce di questa ulteriore conferma, Legambiente ribadisce ancora una volta la necessità di lavorare per cercare di arginare il fenomeno del consumo indiscriminato di suolo, adottando strumenti normativi e soluzioni che contengano questo continuo sfregio al territorio.

Fra le varie proposte che l’associazione aveva sottoposto anche ai consiglieri regionali, vale la pena ricordare la richiesta di affrontare in maniera adeguata il consumo di suolo derivante dal comparto della logistica, adottando criteri puntuali sull’ubicazione dei poli e sui collegamenti con il trasporto pubblico e ferroviario; ma anche la necessità di attuare davvero la rigenerazione delle aree dismesse e prevedere una mappatura di queste aree sul territorio.

A questo link è possibile leggere tutte le proposte fatte da Legambiente ai consiglieri regionali.

 

ELABORAZIONI LEGAMBIENTE SU DATI ISPRA 2021

 

Primi 10 comuni per aumento pro capite di consumo di suolo 2019-2020 (elaborazione su dati ISPRA 2021)

Provincia

Comune

metri quadri - aumento per abitante 2019/20

ettari totali aumento 2019-2020

 

 

 

 

PC

Villanova sull'Arda

28.90

4.94

PC

Sarmato

21.50

6.28

BO

San Giorgio di Piano

15.00

13.65

FE

Jolanda di Savoia

12.90

3.55

PC

Caorso

12.60

6.09

BO

Mordano

12.20

5.79

PR

Fontevivo

10.50

5.88

RE

Rolo

10.30

4.15

BO

Bentivoglio

8.50

4.9

FE

Copparo

8.20

12.96

 

Primi 10 comuni per consumo di suolo assoluto, in ettari 2019-2020  (elaborazione su dati ISPRA 2021)

Provincia

Comune

ettari totali aumento 2019-2020

aumento  mq/abitante

 

 

 

 

RA

Ravenna

64

4.05

MO

Modena

16

0.88

BO

San Giorgio di Piano

14

15.10

FE

Copparo

13

8.06

MO

Sassuolo

12

3.02

PR

Parma

12

0.62

PC

Piacenza

11

1.10

RE

Reggio nell'Emilia

10

0.59

BO

San Giovanni in Persiceto

9

3.10

FC

Cesena

9

0.88


 

Dati per provincia – consumo di suolo 2019-2020

Provincia

aumento mq/abitanti 2019-2020

Incremento  consumo di suolo annuale netto in ettari 2019-2020

 

Piacenza

1.6

46.0

 

Parma

0.9

40.0

 

Reggio nell'Emilia

0.7

40.0

 

Modena

1.0

67.0

 

Bologna

0.7

76.0

 

Ferrara

0.8

28.0

 

Ravenna

2.3

90.4

 

Forlì-Cesena

0.8

30.0

 

Rimini

0.2

8.0

 

REGIONE ER

0.95

425

 

 

ULTIMI 3 ANNI

 Comuni con maggiore aumento pro capite di consumo di suolo nel triennio 2017-2020 (più di 20 mq/abitante) (elaborazione Legambiente su dati ISPRA 2021)

 

Provincia

Comune

metri quadri - aumento per abitante 2017/20

ettari totali aumento 2019-2020

PC

Villanova sull'Arda

71.6

12.23

PC

Sarmato

54.4

15.97

BO

Bentivoglio

44.6

25.58

PR

Torrile

39.5

30.72

PC

Gragnano Trebbiense

32.3

14.8

RE

Baiso

31.7

10.22

BO

Mordano

30.6

14.54

PR

Medesano

28.5

31.07

FE

Jolanda di Savoia

25.8

7.16

PC

Castel San Giovanni

25.5

35.45

FC

Gatteo

23.9

22.03

RE

Rolo

23.2

9.31

PC

Gazzola

20.9

4.43

 

Consumo di suolo per provincia - triennio 2017-2020 (più di 20 mq/abitante) (elaborazione Legambiente su dati ISPRA 2021)

Provincia

aumento per abitante 2017-2020

differenza ettari 2017-2020

Rimini

1.27

42.42

Forlì Cesena

2.70

106.59

Ravenna

5.23

204.08

Ferrara

3.01

104.1

Bologna

2.77

282.92

Modena

3.55

251.7

Reggio Emilia

3.03

161.64

Parma

5.17

234.71

Piacenza

6.70

192.75

TOTALE ER

3.54

1580.91

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