La associazioni ambientaliste e animaliste chiedono a Stefano Bonaccini “tavoli permanenti di approfondimento, analisi ed impegno”. Sono 58 fra comitati, movimenti, gruppi, reti ecologiste dell’intero territorio regionale, compresi i ragazzi dei Fridays For Future, che scrivono.al presidente dell’Emilia Romagna. E affermano: “Vogliamo essere protagonisti in prima linea della conversione green di questa Regione, che può e deve essere – a nostro avviso – un faro per il resto del Paese sul fronte ambientale, tenuto conto anche di quanto deliberato dalla Sua precedente Giunta, ossia la Dichiarazione dello stato di Emergenza Climatica reclamata dal movimento studentesco Fridays For Future”.
“Adulti e giovanissimi assieme – spiegano – per un appello corale congiunto inviato che ha unito le forse ambientaliste ed ecologiste impegnate in prima linea sui problemi di ordine ambientale nelle province di Rimini, Forli- Cesena, Ravenna, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Piacenza”.
Tutti interpellano il Governatore, a pochi giorni dalla nomina del nuovo Assessore regionale all’Ambiente sui temi dell’emergenza climatica, sostenibilità ambientale, tutela del territorio e qualità della vita, chiedendo “azioni immediate di prevenzione, incentivazione delle rinnovabili, transizione ecologica ampia e totale di tutti i comparti produttivi, commerciali e sociali, pubblici e privati”.
Qui il testo integrale della lettera inviata a Stefano Bonaccini:
Commossa. 22'098 preferenze.
15'975 a Bologna, 3'896 a Reggio Emilia, 2'227 a Ferrara.
La più votata della Regione.
Vi ringrazio infinitamente della fiducia.
La meravigliosa squadra di Emilia-Romagna Coraggiosa • Ecologista e progressista, con un simbolo nuovo e un mese di campagna elettorale, ottiene il 3,8% dei consensi, con una punta dell’8,73% a Bologna città.
Grande felicità per questa bella vittoria di coalizione e per la netta affermazione di Stefano Bonaccini.
Vi ringraziamo di cuore per il sostegno, per l’entusiasmo, e soprattutto per averci resi decisivi nel definire le scelte future di questa Regione..
— elly schlein (@ellyesse) January 27, 2020 >
«Siamo riusciti nel tentativo di aggiungere a questa coalizione un pezzo importante, per rimotivare una parte di elettori che in questi anni sono rimasti senza casa. Credo sia un'interessante premessa per il futuro», ha commentato. «È stata un'operazione politica e culturale insieme - ha detto - abbiamo messo insieme sensibilità diverse, forze ecologistiche, una lista transnazionale come Diem 25, una cultura ecologista, progressista e femminista. Credo sia un bell'esempio di come ripartire per riaggregare tante persone. Personalmente sono felice e commossa: credo sia stato anche ripagato, in questi anni, il lavoro di rappresentanza che ho fatto come europarlamentare. Le sardine - ha aggiunto - hanno contato molto in questo risultato, nel cambiare il clima e farci ritrovare un senso di comunità. E non sentirci schiacciati da una destra che sembrava inarrestabile. Abbiamo dimostrato che non è inarrestabile».
IL PROGRAMMA
Nove interventi per la transizione ecologica, la lotta alle disuguaglianze, il lavoro dignitoso e il miglioramento del ritmo e della qualità dell’economia
Il 26 gennaio 2020 la Regione Emilia-Romagna sarà posta di fronte ad una scelta sul suo futuro. Una scelta importante, con una posta in gioco inedita che chiama in causa la propria identità comunitaria.
L’Emilia-Romagna è spesso guardata anche da altri Paesi come la terra del ‘buon governo’, dove si è saputo coniugare crescita economica, crescita sociale e sostenibilità ambientale. Una terra di valori fatti di inclusione, di lavoro dignitoso, di impresa etica, di innovazione scientifica, di cultura. Ma anche il nostro territorio ha affrontato in questi anni trasformazioni enormi. La rivoluzione tecnologica mette in crisi il lavoro, le diseguaglianze aumentano, la transizione demografica mette alla prova il sistema di servizi, la crisi ambientale diviene evidente e anche il senso civico sembra affievolirsi.
È vero! I segnali di un disagio sociale crescente sono evidenti e tangibili. Il rischio di consegnare alle prossime generazioni
La rete di associazioni OVERALL Faenza multiculturale (di cui anche Qualcosadisinistra fa parte) ha inviato questo messaggio:
Per il prossimo 25 01 si sta organizzando una giornata di mobilitazione internazionale per la Pace in allegato l'appello con l'elenco dei promotori a livello nazionale.
Noi proponiamo di aderire e organizzare a FAENZA in PIAZZA DELLA LIBERTA' SABATO 25 GENNAIO 2020 ORE 16 un SIT-IN PER LA PACE
si richiede una risposta in tempi rapidi (rispondendo alla mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) per poter inviare il comunicato stampa entro il 20 01 2020
grazie per l'attenzione
https://overall-faenzamulticulturale.webnode.it
La riduzione del numero dei parlamentari dovrebbe essere uno strumento per restituire senso ed efficacia alla rappresentanza, e centralità al Parlamento. La legge elettorale proporzionale è la prima, essenziale, condizione per il bilanciamento tra partecipazione e rappresentanza. È inoltre indispensabile un progetto di regionalismo e di autonomie, coerente con l’impianto unitario della Repubblica e con i principi costituzionalmente garantiti di uguaglianza e solidarietà.
Riforme ineludibili per rendere il demos presente, dando voce a tutte le sue parti, e per restituire alla politica la capacita di progetto della società.
Un documento politico del CRS
I guasti di decenni all’insegna della governabilità
Nell’avvilente dibattito che ha accompagnato l’approvazione della legge sulla riduzione del numero di parlamentari si è sentito quasi solo il refrain sul taglio dei costi e delle “poltrone”.
Un dibattito avvilente destinato a riprodursi, enfatizzato, se ci sarà il referendum confermativo della legge, richiesto da 64 senatori e senatrici. E non è difficile immaginare come questa stessa richiesta, sarà destinata a pesare nella campagna elettorale, e nel voto, per confermare che il No al taglio è una difesa, consapevole o meno, della “casta”. O degli interessi, trasversali agli schieramenti politici, sulla durata del governo e della legislatura, e sulla legge elettorale più conveniente a questa o quella forza politica.
È solo l’ultimo atto della riduzione della democrazia a governabilità che, nell’arco di decenni, ha motivato le proposte di riforme istituzionali e l’adozione di leggi elettorali che, di volta in volta, dovevano assicurare stabilità e durata al governo del “vincitore” di turno. Come è noto le terapie proposte, lungi dal riformare, hanno contribuito al deperimento della rappresentanza, generando distanza e risentimento di cittadini/e, alimentando la demagogia populista ed antipolitica.
Persiste e si aggrava “l’impoverimento strategico”, diagnosticato da Pietro Ingrao nel 1988, da parte di una classe politica col respiro corto, con lo sguardo miope rivolto all’ultimo sondaggio. Resiste tuttavia in larga parte della società il legame con i principi della Costituzione. È una risorsa preziosa da accogliere e valorizzare per restituire vitalità ed efficacia alla democrazia rappresentativa e partecipata.
Riscoprire il senso della Costituzione
Si può, si deve, ribaltare il discorso sulle riforme. Non è ancora troppo tardi per comprendere che non basta arroccarsi in difesa della Costituzione.
Serve invece riproporne lo spirito e gli intenti, per ricostituzionalizzare la Repubblica, in tutte le sue forme e sedi.
È un compito che non si esaurisce con leggi di revisione, ma deve investire tutte le attività politiche: legislative, amministrative, di organizzazione sociale, ricostruendo la fiducia nelle istituzioni. Facendo riscoprire il senso dell’”avere una Costituzione scritta” che serve alla qualità della vita e della convivenza.
Dal taglio dei costi alla centralità del Parlamento
Nel dibattito su mono o bicameralismo, riproposto anche dal CRS negli anni Ottanta, la riduzione del numero dei parlamentari era considerata non un fine in sé, ma uno strumento, tra gli altri, per restituire senso ed efficacia alla rappresentanza e centralità al Parlamento.
Ed è in questa prospettiva che va considerato ancora oggi. Ciò che conta è che le Camere, anche ridimensionate nel numero, tornino ad essere la sede della rappresentanza politica. Recuperando il senso più profondo della funzione: rendere il demos presente, dando voce a tutte le sue parti per ricomporle nell’unità e coesione nazionale, attraverso il confronto e la mediazione. Restituendo alla politica la capacità di progetto della società, e non di mera amministrazione dell’esistente, vanamente enunciata come “buon governo”.
La sovranità del popolo, oggi tanto evocata, non può, non deve, ridursi all’investitura e al potere salvifico di un leader. Né basta la conquista di un voto in più per ottenere una piena e forte legittimazione democratica.
Perché serve una legge elettorale proporzionale
La legge elettorale proporzionale è la prima, essenziale, condizione su cui poggia il rapporto tra partecipazione e rappresentanza. Poiché il numero ridotto dei seggi comporta un sensibile allargamento dei collegi, o delle circoscrizioni, introdurre una soglia di sbarramento o altri correttivi maggioritari, comporterebbe di lasciare senza rappresentanza un numero molto ampio di elettori ed elettrici.
Un altro intervento strategico è la modifica dei regolamenti parlamentari per reintegrare le funzioni essenziali sia di discussione e decisione sulle leggi che di indirizzo e controllo sul governo.
Il CRS già nel 2016 ha analizzato le distorsioni, tutt’oggi permanenti, che portano ad una disordinata superfetazione normativa (clicca qui per la registrazione di quel convegno), e a un circuito perverso nella formazione della legislazione statale: leggi delega scritte in modo incomprensibile; commissioni parlamentari che si limitano a piccoli ritocchi agli impianti predeterminati dal Governo; decreti legislativi che, quasi sempre, contengono ulteriori deleghe; nell’insieme una produzione di leggi senza qualità, di difficile applicazione, soprattutto senza un chiaro disegno politico e sistematico.
Contro la secessione dei ricchi
Una scelta sbagliata e miope è l’eliminazione della base regionale per l’elezione del Senato, contestuale al processo in corso del regionalismo differenziato. Processo che avrebbe effetti devastanti in ambiti cruciali delle politiche pubbliche: dalla sanità, all’istruzione, alla redistribuzione delle risorse fiscali, alla tutela del patrimonio artistico e paesaggistico, alla rete delle infrastrutture.
Le scelte rilevanti per i rapporti tra centro e periferia non possono essere più affidate alla concertazione tra Stato e Regioni.
Le intese con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, improntate ad un marcato egoismo territoriale, hanno avviato un pericoloso percorso disgregativo che approfondirebbe le disuguaglianze, già drammaticamente esistenti tra Nord e Sud nel nostro paese.
Si può, si deve, valorizzare un progetto di regionalismo e di autonomie, coerente con l’impianto unitario della Repubblica e con i principi costituzionalmente garantiti di uguaglianza e solidarietà. Prestando adeguata cura al funzionamento di una macchina che è sempre più inefficiente ed in affanno. Le gravi disfunzionalità che hanno riguardato molte regioni, sia a Nord che a Sud, non possono essere un alibi per abbandonare larga parte dei cittadini e delle cittadine al loro destino.
Per una democrazia politica
Prima di un sistema istituzionale la democrazia è una costruzione politica. È qui che si avverte il deficit più forte. La pretesa di colmarlo ricorrendo all’“ingegneria istituzionale” ha lasciato senza risposta la domanda cruciale: dove e come si è spezzata la relazione tra rappresentanti e rappresentati? Ha agito in profondità una mutazione radicale dei partiti: dalla rappresentanza basata sulla presenza nella società alla conquista del voto mediatico per il governo.
Per dare soluzioni alle criticità in atto, è centrale ricreare un circuito virtuoso tra i soggetti e le sedi della rappresentanza ed i soggetti e le sedi della partecipazione alle scelte politiche (e sono sedi di questa partecipazione anche i luoghi in cui si produce cultura sociale, scientifica e tecnica).
Individuare le forme, gli strumenti e le pratiche per farlo comporta, innanzitutto, una ricognizione delle molteplici esperienze presenti nel paese, delle elaborazioni e delle proposte che hanno prodotto. È una tematica al confine con quella, qui affrontata, delle riforme istituzionali. Ma è questione di primaria rilevanza costituzionale, se si vuole trovare soluzioni davvero efficaci al declino della democrazia.
CRS (Centro per la Riforma dello Stato)
(11 gennaio 2020)
Quanti sono, quanto e come lavorano, quanto guadagnano, il loro livello di istruzione e formazione. Una delle regioni con la quota più bassa di under 35. In calo l'occupazione. I neet sono di meno rispetto alla media. I dati delI'Ires Cgil
Foto Sintesi
Pubblichiamo un estratto dal Settimo rapporto dell’Ires Cgil Emilia Romagna sulla condizione giovanile nella regione.
In quasi tutti gli Stati europei la percentuale di giovani nella fascia d’età tra i 15 e i 34 anni sul totale della popolazione segna un netto calo negli ultimi 10 anni. In senso opposto vanno soltanto Danimarca, Lussemburgo, Norvegia e Olanda, mentre in Germania questa percentuale oscilla sempre con poche variazioni attorno allo stesso valore, 23,3%. In questo quadro, l’Italia resta sempre, se si esclude San Marino, lo Stato europeo con la più bassa quota di popolazione collocata in questa fascia d’età, seguito a distanza da Spagna, Grecia, Portogallo e Slovenia.
L’Emilia Romagna è a propria volta una delle regioni italiane con la quota più bassa, preceduta però da Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Piemonte e, quasi alla pari, Umbria. Va segnalato tuttavia che rispetto all’anno precedente (2018) l’Italia mantiene la propria percentuale invariata e l’Emilia Romagna registra addirittura un lievissimo miglioramento, passando dal 19,0 al 19,1%.
La riduzione della quota di popolazione nella fascia d’età dai 15 ai 34 anni è la risultante di due dinamiche dalle conseguenze opposte: da un lato il calo delle nascite, molto forte in Italia e soprattutto in Emilia Romagna a partire dagli anni 80, dall’altro l’afflusso di popolazione straniera, mediamente molto più giovane di quella già residente in Italia, soprattutto a partire dai primi anni del secolo in corso. Questo ha comportato anche la crescita della percentuale di residenti stranieri sul totale della popolazione in questa fascia d’età. Si tratta di un fenomeno molto più rilevante in Emilia Romagna che nella media italiana, ma che in tutti i casi sembra essersi sostanzialmente arrestato a partire dal 2014, probabilmente per effetto sia della riduzione dei flussi migratori, sia delle aumentate acquisizioni di cittadinanza italiana.
La composizione della popolazione dei giovani di 15-34 anni rispetto al lavoro è caratterizzata da andamenti molto differenziati tra l’Unione Europea da una parte e Italia ed Emilia Romagna dall’altra. In comune c’è, come abbiamo visto, la riduzione del totale della popolazione. Ma nella media dei 28 Stati dell’Unione Europea il confronto 2008-2018 restituisce una composizione non molto modificata: aumenta di poco la quota degli inattivi e cala circa nella stessa misura quella degli occupati, mentre la percentuale dei disoccupati resta quasi invariata (da 6,7 a 6,5%).
In Italia e ancor più in Emilia Romagna, invece, la caduta della quota degli occupati è molto consistente, così come è rilevante la crescita della percentuale di disoccupati e inattivi. La percentuale di questi ultimi cresce di oltre 10 punti in Emilia-Romagna.
I dipendenti con un’età inferiore ai 35 anni sono molto più frequentemente assunti con tipologie contrattuali a tempo determinato: la percentuale sul totale degli occupati è infatti più che doppia rispetto a quella degli over 35. Questo avviene allo stesso modo sia a livello nazionale sia a livello della Regione Emilia Romagna. In quest’ultima anzi la quota di giovani assunta a tempo determinato risultava nel 2017 superiore di un paio di punti percentuali rispetto a quella nazionale, mentre era identica per i dipendenti con almeno 35 anni di età.
Dal punto di vista retributivo è evidente come esista una correlazione tra l’età del dipendente e il suo trattamento economico, anche là dove, come in Emilia Romagna, le retribuzioni sono sempre un po’ più alte rispetto alla media nazionale. La retribuzione giornaliera di chi ha meno di 35 anni di età è nella media inferiore di quasi un terzo a quella di chi ha dai 35 anni in su e di quasi un quarto rispetto alla media totale.
La media italiana dei cosiddetti Neet, cioè dei giovani che non studiano e non lavorano, è quasi doppia rispetto a quella dei 28 Paesi dell’Unione Europea. Pesano in particolare le condizioni delle regioni del Sud, alcune delle quali (Campania, Calabria e Sicilia) superano, tra i giovani con un’età tra i 15 e i 29 anni, il 35%. L’Emilia Romagna registra una delle percentuali più basse tra le regioni italiane e molto più vicina alla media europea. Tuttavia, va evidenziata la dinamica particolarmente accentuata di questa variabile nel corso dell’ultimo decennio a livello regionale.
Nel 2008 infatti l’Emilia Romagna vantava una percentuale di Neet addirittura inferiore alla media europea; poi negli anni della crisi, fino al 2014, la crescita dei Neet è stata imponente; nel successivo 2015-2016 questa percentuale è tornata a scendere e infine negli ultimi due anni si è sostanzialmente stabilizzata, riallargando la forbice con la media UE.
L’Italia resta, dopo la Romania, lo Stato di tutta l’Europa allargata (non solo quindi dell’Unione Europea) che registra la più bassa quota di laureati nella popolazione dai 30 ai 34 anni d’età. Il “distacco” si mantiene negli ultimi anni stabile attorno ai 12-13 punti percentuali: era di 11,9 punti nel 2008. Decisamente più virtuosa la condizione dell’Emilia Romagna, che soprattutto nell’ultimo anno considerato, il 2018, registra un balzo della propria percentuale di laureati, che la colloca da questo punto di vista al primo posto in Italia (insieme al Friuli-Venezia Giulia), in una posizione di quasi perfetta equidistanza tra la media europea e quella nazionale.