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IL CASO. Allarme della Fondazione Di Vittorio: ci sono 9,1 milioni tra disoccupati, poveri e precari. I più colpiti giovani e donne. Ocse: entro la fine dell’anno i salari reali caleranno del 3%. E mentre l’inflazione morde, la campagna elettorale ha rimosso il lavoro e i diritti sociali. Landini (Cgil): "Il male assoluto di questi anni è aver creato una precarietà che non ha paragoni in Europa"

La crisi è senza fine: 9,1 milioni di lavoratori  precari e poveri LaPresse

La recessione in arrivo peggiorerà la vita di 9,1 milioni di lavoratori poveri e precari, giovani under 24 e donne, inattivivi o occupati parzialmente e in maniera intermittente, poveri relativi o assoluti. Lo sostiene la Fondazione Giuseppe Di Vittorio della Cgil secondo la quale a fronte di 23 milioni di occupati, circa 2,4 milioni avevano un contratto a tempo determinato. Oggi, con un numero simile di occupati, i precari sono 3,2 milioni: 800 mila in più. Un picco già registrato a luglio dall’ Istat. L’occupazione a termine è di solito usata «come locomotiva» nelle fasi di crescita economica e «come ultima carrozza della quale liberarsi» nelle crisi. Con ogni probabilità è quello che avverrà anche nel corso del prossimo anno.

NON VA DIMENTICATO il fatto che il modello economico dominante è stato concepito per occultare il livello di disoccupazione «reale». Per la Fondazione Di Vittorio quello ufficiale stabilito al 9,5% nel 2021 non coglie la costituzione materiale del lavoro intermittente che

alterna periodi di attività poco pagata ad altri di attività e generalmente nemmeno garantita oltre una certa soglia. Se invece fosse considerato questo aspetto allora la disoccupazione «reale» sarebbe al 16%. Addirittura al 18,6% tra le donne e al 34,2% tra i giovani fino a 24 anni. Questo considerevole aumento sarebbe dovuto ai cosiddetti «inattivi», (ovvero scoraggiati che non cercano neanche un posto, bloccati da motivi oggettivi o familiari, o «sospeso» perché ad esempio in cassa integrazione. In questa condizione ci sarebbero quasi 4,3 milioni di persone, delle quali formalmente disoccupate più di 2,3 milioni. Se si aggiunge l’area del disagio occupazionale, che comprende chi ha un lavoro temporaneo o part-time involontario e che raccoglie quasi 4,9 milioni di persone, si arriva così alla cifra di 9,1 milioni in difficoltà.

«QUESTI NOVE MILIONI – ha commentato il segretario della Cgil Maurizio Landini – sono in una condizione inaccettabile. C’è la necessità di ridistribuire le risorse a chi lavora e soprattutto bisogna combattere la precarietà: il male assoluto di questi anni è aver creato una precarietà nella vita e nel lavoro che non ha paragoni in Europa. La campagna elettorale dovrebbe indicare come affrontare questi problemi». Un vasto programma che non rientra, come sempre, tra le priorità di partiti che, dopo il voto, torneranno a solfeggiare lo spartito che ha creato questa situazione.

UN ALTRO EFFETTO della crisi in corso è stato evidenziato dall’Ocse nelle Prospettive dell’Occupazione 2022 pubblicate ieri a Parigi. Al termine di quest’anno in Italia i salari reali caleranno del 3%. Lo sostiene l’Ocse. Negli altri paesi membri dell’organizzazione, invece, caleranno «solo» del 2,3%. La proiezione è una prima conferma del fatto che l’aumento dell’inflazione provocato da fattori esogeni, ad esempio la speculazione di Stati e mercati sui prezzi delle materie prime energetiche o alimentari, contribuirà al contenimento o, peggio, all’affossamento dei salari che nel nostro paese sono sostanzialmente bloccati dagli anni Novanta.

LA PREVISIONE è consolidata ai massimi livelli. Lo ha confermato la presidente della Banca Centrale Europea (Bce) Christine Lagarde, insieme al suo omologo della Federal Reserve statunitense Jerome Powell che stanno aumentando i tassi di interesse. Uno degli effetti provocati da questa decisione sarà l’attacco di bassi salari, eredità di un modello economico e sociale basato sulla diseguaglianza e l’ingiustizia fiscale (Il Manifesto, 8 settembre).

IL CALO DEI SALARI non contraddice la tendenza ancora in atto di un aumento del lavoro precario (soprattutto) e anche a tempo indeterminato registrati anche in Italia nel corso del «rimbalzo tecnico» del Pil dopo il crollo colossale provocato dai lockdown disposti per contenere la diffusione del Covid. L’analisi dell’Ocse conferma che il lavoro povero e desalarizzato è compatibile con un aumento meramente statistico dell’occupazione, quella alla quale puntano le politiche neoliberali applicate da tutti i governi di (centro) destra-sinistra. Ciò non influisce sulla «qualità» del lavoro alienato o sulla disoccupazione che è scesa al 7,9% a luglio scorso, anche se il tasso è « ben al di sopra» della media Ocse al 4,9%.

LA STAGFLAZIONE del 2023 prevista dalla Bce – potrebbe diventare una recessione nel caso di uno stop totale del gas russo in Europa – amplificherà gli effetti già visibili . Saranno peggiori se si combineranno con le politiche monetarie restrittive, e con l’aumento della pressione sul prossimo governo italiano a realizzare il difficoltoso «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr) con la minaccia di togliere i fondi e introdurre nuove politiche di austerità finanziaria previste dalla Bce nel cosiddetto «scudo anti-spread». (Il Manifesto 22 luglio).