La guerra scatenata dall’aggressione della Russia di Putin contro l’Ucraina è giunta al suo settantaduesimo giorno senza il minimo spiraglio per il cessate il fuoco. Si tratta della più grande catastrofe umanitaria verificatasi in Europa dopo la sanguinosa guerra nei Balcani degli anni ’90. Quell’esperienza non ha insegnato nulla né ai paesi appartenenti alla Nato, né all’Unione europea, né alle Nazioni unite. Rispetto alle guerre precedenti sono in costante aumento le vittime civili e i profughi a testimoniare l’insensatezza di ogni guerra. I paesi coinvolti e le loro organizzazioni internazionali avrebbero potuto e dovuto impegnarsi a fondo preventivamente per far sì che la crisi ucraina potesse e dovesse essere risolta senza il ricorso alle armi.
All’indomani dell’apertura delle ostilità, sembrava che fosse dovere principale di tutti i paesi civili di impegnarsi perché le ostilità stesse fossero chiuse attraverso negoziazioni e trattati. Il doveroso richiamo alla necessità dell’incontro e del dialogo non è stato ascoltato nei
vari paesi, che osservano oggi lo scontro militare o in modo diretto o indiretto vi partecipano.
In modo molto cinico la maggioranza delle classi dirigenti dei paesi occidentali ha cercato e cerca di sfruttare la guerra in Ucraina per i propri obiettivi in particolare la propria situazione interna, gli enormi interessi economici in gioco e i nuovi equilibri geo-politici più favorevoli. Il presidente degli Stati Uniti Biden, per esempio, ha usato la guerra russo-ucraina per cercare di sollevare i propri indici di gradimento crollati dopo la smobilitazione in Afghanistan, mostrandosi ai cittadini americani come un duro ‘presidente di guerra’. Lo stesso ha fatto il primo ministro britannico, Johnson, che prima dell’inizio delle ostilità attraversava una profonda crisi di consenso con una probabile caduta del suo governo.
La dura presa di posizione dei vari paesi, contraria ai tentativi di portare i paesi belligeranti a una trattativa di pace e favorevole invece alle sanzioni economiche contro la Russia e all’invio di armi all’Ucraina, ha fatto in modo che lo scontro militare sia osservato con una sorta di tifo da stadio.
Tutto ciò impedisce una discussione chiara e comprensibile che possa portare al cessate il fuoco ed alla pace. Oltre cinquanta paesi occidentali si sono coalizzati a favore di forti sanzioni economiche nei confronti del paese aggressore, la Russia. Sono state prese posizioni di “embargo” culturale, come la sospensione del programma Erasmus per studenti e studiosi russi, dimenticando che questa non è la guerra dei russi, ma la guerra di Putin contro l’Ucraina.
Molti paesi, come il nostro, si impegnano ad inviare armi, scelta che, se all’inizio poteva anche essere giustificata data la disparità delle forze, ora che stiamo in un sostanziale equilibrio sembra destinata ad aumentare il massacro del popolo ucraino, la portata del disastro umanitario e il rischio dell’estensione del conflitto bellico con l’utilizzo di armi biologiche o addirittura nucleari. La quasi totalità dei paesi sta usando la guerra in Ucraina come pretesto per aumentare sensibilmente le proprie spese militari, avviando una corsa agli armamenti, che nella storia ha portato sempre alla guerra.
L’unico impegno possibile è giungere alla cessazione immediata delle ostilità e all’apertura di un negoziato di pace. L’invio di armi all’Ucraina, invece, sembra essere piuttosto un sostegno alla guerra e un avvio della diffusione di pericolosi armamenti presso soggetti non verificabili né controllabili. Esso contrasta con il dispositivo pacifista, antimilitarista e sovranazionale previsto dall’articolo 11 della nostra Costituzione e delle leggi conseguenti.
*** SU QUESTI TEMI DIECI PERSONE del mondo della cultura (Stefano Adami e Beppe Corlito della Fondazione Bianciardi di Grosseto; Valentino Baldi, Riccardo Castellana e Pietro Cataldi della Redazione di “Allegoria” e dell’Università di Siena; Romano Luperini, Direttore del blog “La letteratura e noi”; Mauro Papa, Direttore del Centro Documentazione Arti Visive di Grosseto, Giuseppe Ugo Rescigno, professore emerito di Istituzioni di diritto pubblico dell’Università di Roma; Guido Tonelli, fisico del CERN di Ginevra e dell’Università di Pisa; Sergio Viti, insegnante e saggista della Versilia) hanno lanciato un appello per ricordare che l’unica posizione internazionale umanamente possibile e realizzabile oggi é operare in ogni modo e usare ogni mezzo perché le parti in conflitto possano sedersi al tavolo del dialogo nella prospettiva di un accordo di pace sostenibile, coinvolgendo le organizzazioni sovranazionali come le Nazioni unite. Ogni cittadino ha il dovere di impegnarsi per realizzare una concreta e duratura prospettiva di pace e può sottoscrivere l’appello su change.org.