Atto d'imperio. Se si voleva davvero salvaguardare in questo momento oscuro per la pace l’unica mediazione sul campo, quella degli accordi di Minsk che difendono giustamente l’integrità territoriale dell’Ucraina, ecco che la decisione di riconoscere le indipendenze di Lugansk e Donetsk azzera ogni sforzo diplomatico
Il presidente russo Vladimir Putin
La scelta di riconoscere le indipendenze di Lugansk e Donesk è un atto di forza che cercherà di legittimarsi quale risposta asimmetrica alle tante scelte sbagliate delle guerre occidentali. E proprio per questo non possiamo che definire l’annuncio del presidente russo Putin come un grave errore, un’avventura foriera di nuova guerra. Perché se legittimamente si difendono le ragioni del popolo russo, non è la risposta asimmetrica all’arroganza altrui, della Nato e degli Usa, la soluzione: parliamo del 2008 quando, nonostante gli accordi di pace di Kumanovo del 1999 – dopo la guerra «umanitaria» aerea – che riconoscevano il diritto sul Kosovo di Belgrado, fu riconosciuta a tutti i costi la divisiva indipendenza del Kosovo.
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Vite sospese. La Consulta boccia il quesito sottoscritto da 1,2 milioni di persone sposando le tesi dei cattolici pro-life che chiedono ora altre restrizioni. Bazoli assicura: «Il giudizio non inciderà sull’iter della legge sul suicidio assistito»
«Inammissibile». Era il responso più atteso, quello sull’eutanasia legale. E ieri sera, poco prima delle 19,30, dopo una giornata di voci e smentite sul timing, e dopo poco più di due ore di camera di consiglio, la Corte costituzionale ha deciso a maggioranza che il quesito referendario promosso dall’Associazione Luca Coscioni e supportato da un milione e 240 mila persone con le loro firme, è «inammissibile, perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».
LA MAGGIOR PARTE dei quindici giudici della Consulta (cinque o sei sarebbero stati favorevoli all’ammissibilità) hanno dunque sposato le tesi delle associazioni Pro vita & famiglia, Movimento per la vita, Scienza & vita (che ha seguito la questione per la Cei), dell’Unione giuristi cattolici italiani, e del comitato «No all’eutanasia legale» (che si è formato prima di quello per il «Sì») e altri comitati appena costituitisi che si sono presentati in udienza contro l’approvazione del referendum. «La Corte costituzionale ha respinto con forza il “populismo bioetico” dei Radicali – è il commento di Pro Vita & Famiglia – che hanno tentato di portare l’eutanasia in Italia con un referendum sull’omicidio del consenziente che avrebbe permesso a chiunque di uccidere amici e parenti al loro minimo gesto di consenso. Siamo grati alla Corte per il coraggio con cui non si è fatta intimidire da pressioni politiche e mediatiche di ogni genere».
EPPURE, il quesito proponeva l’abrogazione parziale dell’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente) lasciando però inalterate «le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno».
INOLTRE, come spiega al manifesto il costituzionalista Andrea Pugiotto, «il quesito conferma la punizione a titolo di omicidio volontario di chi provoca la morte altrui in assenza di un consenso validamente espresso. E la giurisprudenza sull’art. 579 c.p., sul suo accertamento, è rigidissima. Dunque, per esprimerlo validamente sarebbe stato necessario veicolarlo nelle forme della legge sul consenso informato, la 219/2017, che la stessa Consulta richiama nella sua sentenza del 2019 sul caso Cappato». Infine, sottolinea il professor Pugiotto, ordinario dell’Università di Ferrara, «più che un giudizio sull’ammissibilità del quesito, la Corte sembra (ma per esserne sicuri dobbiamo aspettare il deposito della sentenza) che abbia anticipato il giudizio di costituzionalità sulla normativa di risulta».
IL QUESITO sull’eutanasia legale – decisamente il più popolare degli otto ai quali ieri la Corte costituzionale ha dedicato l’udienza dell’intera giornata – veniva considerato la locomotiva che avrebbe trainato verso il quorum anche tutti gli altri sette referendum (cannabis e i sei sulla giustizia) sui quali deciderà oggi la Corte, sempre che riescano, nel caso, ad arrivare alle urne in primavera. Bocciarlo dovrebbe essere una cattiva notizia per tutti, anche per i leghisti. E in effetti Matteo Salvini si dice «dispiaciuto».
«È UNA BRUTTA notizia», commentano il tesoriere e la segretaria dell’Associazione Coscioni, Marco Perduca e l’avvocata Filomena Gallo che ha discusso le tesi a sostegno del quesito davanti ai giudici della Corte, insieme al collega Massimo Clara. «È una brutta notizia per chi soffre e vorrebbe poter mettere fine alle proprie sofferenze» senza dove recarsi in Svizzera, e «per la democrazia del nostro Paese».
GIOISCE invece Giorgia Meloni e con lei i cattolici pro-life che ora chiedono al parlamento di restringere ancora di più il campo dell’autodeterminazione nella legge sul suicidio assistito che dovrebbe tornare in aula alla Camera domani. Enrico Letta chiede invece di accelerare con l’iter e di portare il testo della legge sui binari già delineati dalla stessa Consulta nel 2019. Giuseppe Conte avverte: «Quelle firme non possono essere gettate al vento». E il capogruppo dem in commissione Giustizia Alfredo Bazoli, uno dei due relatori della pdl, assicura che la bocciatura del referendum «non inciderà sull’iter di approvazione della legge sul suicidio assistito». Sull’iter, non parla di contenuti.
Sipario. Da tempo, e ormai senza il religioso consenso del popolo che gli cantava in coro "meno male che Silvio c’è", era evidente a tutti tranne che a lui che l’antica gloria non potesse risorgere sulle ali di una improbabile maggioranza dei grandi elettori.
Senza nemmeno la maschera drammatica di una Gloria Swanson sul viale del tramonto, ma piuttosto con i toni di una farsa degna dei fratelli Vanzina, Silvio Berlusconi ha gettato la spugna, rinunciando alla folle, incredibile corsa verso il Quirinale. È una liberazione, innanzitutto per il paese, che non meritava di essere intrattenuto da questa sceneggiata. E anche per il centrodestra che Berlusconi ha continuato a tenere sulla corda con sbrindellate riunioni via zoom, poco consone a una decisione così importante, come dovrebbe essere l’elezione del Presidente della Repubblica.
Da tempo, e ormai senza il religioso consenso del popolo
Leggi tutto: Dopo la farsa arriva il vero spettacolo - di Norma Rangeri
La protesta. Da Bari, durante una manifestazione di Cgil e Uil in preparazione dello sciopero generale di giovedì 16 dicembre contro la «legge di bilancio inadeguata» del governo Draghi, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha lanciato l’appello: «Chiediamo a tutto il paese di scendere in piazza il 16 dicembre per cambiare: è il momento che il mondo del lavoro venga ascoltato per i problemi che ha e per lo sforzo che ha fatto durante la pandemia». Dal palco di Lamezia Terme (Catanzaro) il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri ha attaccato duramente il sistema dominante dei media. «Lo squadrismo non è solo quello dell'assalto alla Cgil - ha detto - Lo squadrismo è anche alcuni articoli sui giornali. Ma non ci piegano, non abbiamo paura. Ricordatelo, non ci intimorite"
Bari, il segretario della Cgil Maurizio Landini © Ansa
Dal palco di Lamezia Terme dove ieri ha manifestato on la Cgil contro la legge di bilancio del governo Draghi il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri ha dato un giudizio politico molto preciso della reazione mediatica e politica provocata dall’annuncio dello sciopero generale di giovedì 16 dicembre: «Lo squadrismo non è solo quello dell’assalto alla Cgil – ha detto – Lo squadrismo è’ anche alcuni articoli sui giornali. Ma non ci piegano, non abbiamo paura. Ricordatelo, non ci intimorite».
TRA UIL E CGIL circola una consapevolezza. E ieri è stata esplicitata. La battaglia contro questa maggioranza, e l’ideologia classista e pauperista che esprimono i suoi sostenitori a reti unificate sarà lunga, la lotta contro legge di bilancio è il primo passo di un percorso più lungo.
Leggi tutto: Sciopero generale Cgil e Uil: «Tutto il paese scenda in piazza»
Il lato oscuro della nuova economia. Le infrastrutture dei colossi del digitale richiedono un dispendio enorme di risorse. Al momento in Irlanda esistono circa 70 di questi centri, altri 8 sono in costruzione, che assorbono circa l’11% del consumo elettrico, ed entro il 2030 si potrebbe arrivare al 30%. Ma il governo di Dublino, anche in questo caso, è supino alle multinazionali
Al lavoro in un data center © foto di Britta Pedersen/dpa/via Gettyimage
Che il regime fiscale irlandese sia notevolmente agevolato per le aziende multinazionali (12.5%) è un fatto ben noto: si sta trattando proprio in questi giorni di aumentare la tassazione per raggiungere il 15% proposto dal governo statunitense come soglia internazionale minima. Meno noto, tuttavia, è un altro aspetto della politica di Dublino che la rende attraente alle aziende internazionali, ovverosia il suo atteggiamento tollerante nei confronti dei centri di elaborazioni dati (data centres).
I CENTRI DI ELABORAZIONI dati sono infrastrutture informatiche necessarie per un vasto numero di servizi internet. Forniscono, per esempio, la forza computazionale richiesta a mantenere operativi grossi portali internet come Amazon e Google, ma garantiscono anche molti servizi di connettività come la piattaforma Zoom con cui tutti noi siamo diventati familiari durante la pandemia. Tuttavia, è importante osservare che la maggior parte delle attività di questi centri sono dedicate all’analisi dei dati utenti a scopi commerciali (o data mining): la loro grande capacità di calcolo è volta all’estrazione di dati utili alle compagnie per prendere di mira i naviganti con materiale pubblicitario.
In Irlanda si trovano al momento circa 70 di questi centri e altri 8 sono attualmente in costruzione. La necessità di simili infrastrutture è infatti aumentata negli ultimi anni, con un incremento considerevole durante la pandemia: l’espansione dei centri dati è aumentata infatti del 25% solo nel corso dell’ultimo anno.
SEBBENE SU SCALA mondiale questi centri assorbono in media il 2% del totale consumo elettrico, in Irlanda assorbono attualmente circa l’11%; entro il 2030 il tasso potrebbe raggiungere il 30%. Molti altri centri sono attualmente in fase di approvazione. I piani espansionistici della sola Amazon sono da sé sufficientemente allarmanti: se le intenzioni del gigante americano verranno soddisfatte, i centri dati previsti nel futuro prossimo consumeranno da soli il 4.4% dell’intera capacità energetica irlandese, il corrispettivo del consumo di un milione e mezzo di unità abitative. L’esorbitante dispendio di energia richiesto da questi centri è necessario perché possano far fronte a qualunque possibile corto circuito, surriscaldamento, o imprevisto d’altro genere. Alcune delle compagnie fornitrici assicurano un funzionamento ineccepibile per il 99,995% del tempo, vale a dire 27 secondi di indisponibilità l’anno. Per assicurare simili prestazioni, i centri di elaborazione dati vengono costruiti secondo il principio della ridondanza, stipandoli di gruppi elettrogeni di scorta, di enormi sistemi di raffreddamento, e di batterie di riserva grandi come intere biblioteche. Tali centri sono tarati per lavorare normalmente a circa 60% della loro capacità così
Leggi tutto: I centri dati e l’energia irlandese - di Giulio Di Basilio