Il braccio di ferro è finito. Prima Scholz e poi Biden annunciano: invieremo in Ucraina i nostri tank, sia i Leopard che gli Abrams (ancora da costruire). Il consigliere presidenziale ucraino Podolyak: «Un’escalation è inevitabile». La guerra fa un altro balzo in avanti
CARI ARMATI. Prima il sì di Scholz, poi quello di Biden che prima sente gli alleati «Non è un’offensiva contro Mosca», ma Mosca non reagisce bene
Un carrista ucraino nel Donetsk - Epa/Oleg Petrasyuk
Cadono insieme il tabù tedesco sui Leopard e il veto americano sugli Abrams dopo una settimana di scontro frontale fra il governo Scholz e l’amministrazione Biden. Ora è ufficiale: la Germania invierà all’esercito ucraino 14 Leopard-2 della Bundeswehr entro la fine di marzo e in più concede il nulla-osta per la consegna degli altri 61 messi a disposizione degli alleati Nato. In cambio gli Usa metteranno i cingoli sul terreno fornendo a Kiev 31 Abrams-M1, non appena General Dynamics li avrà costruiti.
Con questo «grande successo politico», per dirla con le parole del vicecancelliere Robert Habeck, crolla l’ultimo argine all’escalation militare senza limiti e
Leggi tutto: Più guerra per tutti, panzer e tank insieme in Ucraina - di Sebastiano Canetta
Commenta (0 Commenti)Al cospetto del presidente egiziano Abd al-Fattah Al-Sisi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani non ha preso l’iniziativa per riproporre il problema della mancata cooperazione da parte della magistratura cairota sul caso di Giulio Regeni. Lo ha rivelato egli stesso alla vigilia del settimo anniversario della scomparsa del giovane ricercatore friuliano, rapito il 25 gennaio 2016 nei pressi della sua casa al Cairo mentre si recava alla quinta commemorazione delle proteste di piazza Tahrir, e ritrovato cadavere orrendamente torturato e mutilato il successivo 3 febbraio sulla strada per Alessandria.
Inaspettatamente però questa volta a “interloquire”, sia pure indirettamente, con il titolare azzurro della Farnesina è il ministro della Difesa Guido Crosetto, il più vicino alla premier Giorgia Meloni: «Lo Stato deve chiedere tutta la verità e pretendere giustizia per Giulio, e contemporaneamente deve tenere rapporti con altri Paesi. Le due cose sono conciliabilissime – ha detto – la fermezza sulla vicenda Regeni e il fatto che lo Stato debba dialogare con altri che sono fondamentali anche per il futuro di tutti noi per il Mediterraneo e per il fronte Sud del Paese».
«Il presidente al-Sisi ha sollevato lui il problema Regeni – spiega Tajani, quasi che questo fatto dia maggior credito al generale golpista -. Ha detto che l’Egitto farà di tutto per eliminare gli ostacoli che ci sono e che rendono difficile il dialogo con l’Italia. Io ho ascoltato e vedremo se alle parole seguiranno i fatti». La sua è una mezza rettifica alle parole frettolosamente pronunciate appena rientrato dal suo viaggio nel Paese arabo conclusosi domenica sera, quando aveva riferito di «aver visto una disponibilità nuova» per dare verità e giustizia ai familiari di Giulio Regeni e pure per «risolvere positivamente» il caso di Patrick Zaki.
Parole sentite troppe volte, pronunciate da ministri e presidenti del Consiglio di ritorno dal Paese, troppo importante per gli equilibri geostrategici ed economici mediterranei, che ormai suonano vuote e difficilmente credibili. Al punto da far sbottare gli stessi genitori, Claudio Regeni e Paola Deffendi: «Noi non abbiamo aspettative, noi pretendiamo – hanno affermato in un’intervista a Repubblica – verità e giustizia, come azioni concrete. Basta, per favore, basta finte promesse. Pensiamo sia oltraggioso questo mantra sulla “collaborazione egiziana” che invece è totalmente inesistente».
Tajani, che oggi alla Camera risponderà alle domande poste sul tema durante il question time, insiste: «Sulla Libia, l’Egitto ha una certa influenza, così come l’ha la Turchia», ed «è determinante nella lotta contro il terrorismo». Dunque, «continuiamo a lavorare per raggiungere la verità, perché i colpevoli dell’omicidio vengano condannati. Continueremo a insistere con l’Egitto perché si possa fare piena luce e i colpevoli possano essere perseguiti. Ma dobbiamo parlare con l’Egitto su altri temi perché noi abbiamo il dovere di garantire la stabilità del Nord dell’Africa e della Libia».
Si può fare l’uno e l’altro, esigere verità sul caso di un concittadino italiano e mantenere i rapporti diplomatici aperti, sembra rispondergli Crosetto. Nessuna divisione interna al governo, però: il ministro della Difesa si riallinea subito dicendosi comunque sicuro «che avremo verità sul caso Regeni», perché, afferma, «penso ci sia la volontà da parte dell’Egitto di cooperare al 100% con l’Italia». Mentre Tajani un po’ tentenna, forse per pudore: «Continueremo ad insistere per far luce su ciò che è accaduto, non c’è dubbio. Ma non ci devono essere neanche da parte di altri strumentalizzazioni politiche»
CRISI UCRAINA. Corruzioni sulle forniture all’esercito e non solo: vari viceministri, cinque governatori e il numero due del governo Zelensky nei guai
Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy durante un discorso al parlamento di Kiev - foto GettyImages
Forse le cose stanno esattamente come ha scritto sul suo profilo Twitter Timofii Milovanov, che dirige la Scuola di Economia di Kiev e consiglia il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sulle questioni di finanza pubblica. «Nel nostro paese è in corso una grande svolta culturale: la corruzione è un fatto episodico, ma la lotta alla corruzione è diventata sistemica». Eppure, l’improvvisa sequenza di inchieste, richieste, indiscrezioni e dimissioni che scuote i palazzi del potere e arriva all’ufficio dello stesso Zelensky sembra avere riportato l’Ucraina alla lotta tra clan degli anni passati, una lotta alla quale Stati uniti e Unione europea hanno spesso preso parte.
Domenica la polizia ha arrestato il viceministro delle Infrastrutture Vasyl Lozinskii. Secondo le accuse avrebbe intascato mazzette per 400mila euro sull’acquisto di generatori elettrici, un bene di assoluta necessità per i civili di fronte agli attacchi dell’esercito russo contro la rete energetica. Un altro vice, Oleksii Simonenko, della Procura generale, si è dimesso per una questione di carattere morale: foto scattate in una villa in Spagna nel bel mezzo della guerra.
DOPODICHÉ È STATA LA VOLTA del viceministro della Difesa Vyacheslav Shapovalov, travolto da quello che è già conosciuto, in termini ironici, come lo scandalo delle uova. La storia è vecchia, prezzi delle forniture per l’esercito gonfiati e contratti assegnati a società amiche. Sul punto, però, occorre discutere. Dall’inizio dell’invasione gli apparati dello stato ucraino sono stati letteralmente sommersi da aiuti militari e monetari. Secondo le ultime stime dell’Istituto Kiel per l’economia globale si parla nel complesso di 108 miliardi di dollari, circa la metà del pil nazionale.
Che davanti a questa cifra qualcuno a Kiev si prenda la briga di verificare il prezzo delle uova acquistate dalla Difesa potrebbe essere il segno, come ha scritto Milovanov, di un grandioso cambiamento nelle vicende di un paese segnato da decenni di ruberie. Ma lo scandalo lambisce il ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, uno degli uomini più in vista del governo, che è impegnato in affari ben più importanti per le sorti del paese, non ha mai avuto nulla a che fare con il contratto delle uova, e nelle ultime ore ha denunciato una «campagna diffamatoria» che avrebbe come obiettivo ridurre il suo prestigio agli occhi degli interlocutori stranieri.
IL CASO PIÙ PROBLEMATICO riguarda, tuttavia il numero due dell’Amministrazione Zelensky, Kirillo Timoshenko. Il suo nome è associato ormai da mesi a un’inchiesta dell’Ufficio anti corruzione (Nabu). Quel dossier sembra adesso sul punto di essere chiuso, e l’esito solleverebbe forti perplessità sulla gestione di fondi consistenti. Non a caso con Timoshenko hanno lasciato due viceministri dello Sviluppo regionale, Vyacheslav Negoda e Ivan Lukeria, e i governatori di cinque regioni: Kiev, Sumy, Dnipro, Zaporizhzhia, Kherson. La situazione delle ultime due è particolarmente problematica dal punto di vista militare, dato che sono in parte occupate dall’esercito russo.
Alla catena di eventi è necessario aggiungere una tragedia, quella che la scorsa settimana è costata la vita al ministro dell’Interno, Denis Monastirkii, al suo vice, Evgeni Yenin, e al segretario di stato Yurii Lubkovic. I tre erano a bordo di un elicottero caduto a Brovary, nel distretto di Kiev.
SULLE RAGIONI DELL’INCIDENTE il riserbo è ancora massimo. Il ministero dell’Interno ha un peso notevole negli equilibri politici dell’Ucraina, il che dipende, da un lato, dalle relazioni con la Procura generale e con gli organismi anti-corruzione, dall’altro dal controllo diretto sui 90mila uomini della Guardia nazionale, di cui fanno parte anche i battaglioni Azov e Donbass.
Monastirski, 42 anni, aveva assunto l’incarico nel luglio del 2021, dopo le dimissioni di Arsenii Avakov. Yenin, suo coetaneo, era entrato nella squadra dell’Interno un paio di mesi più tardi, dopo avere servito ai vertici della Procura generale e al ministero degli Esteri. Proprio Yenin aveva ideato e coordinato una delle iniziative più efficaci contro l’esercito russo. Piccole squadre di specialisti addestrate per colpire con i droni oltre le linee nemiche. Nel suo ufficio teneva il conto dei carri armati distrutti. Era uno degli uomini che ha reso possibile la difesa di Kiev e la controffensiva nel settore di Kharkiv. Visto il clima di scontro nelle istituzioni, la domanda in queste ore a Kiev è la seguente: chi sarà il prossimo?
FRA I POSSIBILI OBIETTIVI, scrive il portale di informazione Strana, una delle ultime voci indipendenti nel panorama della stampa ucraina, ci sarebbero due fedelissimi di Zelensky come il premier, Denys Shmyal, e il capo dell’amministrazione presidenziale, Andryi Yermak.
Le ragioni di questa campagna non sono, tuttavia, del tutto chiare. Perché colpire intorno a Zelensky? E perché adesso? Sempre secondo Strana, la possibile soluzione passa per il Nabu, che è coinvolto in tutti i casi degli ultimi giorni ed è conosciuto per i rapporti con diversi governi stranieri. L’ipotesi, quindi, è che attori esterni cerchino di ottenere maggiori garanzie sugli investimenti miliardari compiuti negli ultimi mesi, anche a costo di limitare i poteri di Zelensky.
NON SAREBBE LA PRIMA VOLTA. Nel 2014 nel governo ucraino entrarono un ministro lituano, Aivaras Abromavicius, all’Economia, uno georgiano, Aleksander Kvitashvili, alla Sanità, e uno con passaporto americano, Natalia Yaresko, alle Finanze. Allora negli Stati Uniti Joe Biden era vicepresidente
Commenta (0 Commenti)EUROPA. Missione a Bruxelles per il leader dei 5 Stelle che cerca una casa ambientalista per le elezioni del 2024
Giuseppe Conte vola a Bruxelles per un «ampio confronto» con il gruppo dei Verdi in vista delle elezioni europee dell’anno prossimo. Il leader del M5S lavora da tempo a questo obiettivo, per trovare una collocazione che si trovi nel campo del centrosinistra. Il vertice è stato propiziato dagli ex grillini che nel corso degli anni sono transitati agli ambientalisti e che or a si ritrovano in sintonia con il nuovo corso del presidente del consiglio. «Noi siamo quelli che hanno avviato questo percorso e che si spera che oggi possa trovare una definizione più avanzata – afferma ad esempio Piernicola Pedicini, eletto in Europa nelle liste del M5S e poi passato coi Verdi – ma non so se sono già in grado di concludere».
Dopo la fine del rapporto con Nigel Farage, i 5 Stelle sono rimasti nel gruppo misto. Conte sembra ottimista. «Continueremo ad aggiornarci – spiega – Se si realizzeranno le premesse, e mi sembra che il ‘buongiorno’ ci sia, potremo sicuramente valutare anche un nostro ingresso nel loro gruppo». Poi prende le distanze dal M5S che flirtava con la destra. Parla di un «percorso evolutivo completamente diverso» e spiega che «è cambiato il mondo»: «Quei tempi sono molto lontani». Dopo l’incontro con il commissario del lavoro Nicolas Schmit e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, Conte avverte che l’Italia «rischia di andare in controtendenza rispetto al resto dell’Europa». Ieri al parlamento europeo è stata proposta una risoluzione sul reddito mentre «in Italia si taglia il reddito di cittadinanza». Sul salario minimo chiede di non attendere i tempi della direttiva e «offrire a tutti quei lavoratori che hanno buste paga da fame la possibilità di avere un salario minimo legale, senza trucchetti»
Commenta (0 Commenti)«Ci servono 300 tank tedeschi, non dieci o venti». L’Ucraina reclama i Leopard, in Germania un ministro dice sì e un altro forse, Polonia e paesi baltici intanto spediranno i loro, quasi come una sub-Nato. E il russo Lavrov avverte: la guerra con l’Occidente è quasi realtà
ARMI . La ministra degli esteri tedesca apre, quello alla difesa chiude, Varsavia spinge
Olaf Scholz e Mateusz Morawiecki - Ap
Prove di coesione in corso tra i paesi Ue sulla fornitura di carri armati Leopard 2 all’Ucraina. Non sarà facile dopo il ni della Germania e la fumata nera di venerdì scorso al summit di Ramstein. A quanto pare Berlino sperava che l’amministrazione Biden mostrasse di voler fare il suo mettendo a disposizione di Kiev i propri M1 Abrams. Secondo una notizia data dalla Reuters e riportata dalla Süddeutsche Zeitung, a Washington avrebbe dato fastidio il tentativo fatto dai tedeschi di imporre un contributo in carri armati agli Stati Uniti da dispiegare sul fronte ucraino.
DA QUI ANCHE la scelta di rinviare una decisione «che non dovrà essere presa in modo affrettato», come suggerito dal ministro della difesa tedesco, Boris Pistorius, interpellato ieri sull’argomento dalla tv pubblica tedesca Ard. Si tratta di un chiaro invito alla prudenza: «Il Leopard è un mezzo armato pesante che può essere utilizzato anche a scopo offensivo. Bisogna riflettere con molta attenzione prima di decidere di
Leggi tutto: La Polonia e il “patto baltico”: manderemo i nostri Leopard - di Giuseppe Sedia
Commenta (0 Commenti)CRISI UCRAINA. I servizi segreti tedeschi: perdite ucraine «a tre cifre». Bundeswehr senza risorse. In Germania frenano anche i sondaggi, per il 41% la armi inviate vanno bene così, il 26% vuole ridurle
Soldati ucraini fanno fuoco vicino a Bakhmut - Ap
Il giorno dopo il vertice di Ramstein emerge il rapporto riservato trasmesso dai servizi segreti federali ai deputati della commissione sicurezza del Bundestag.
Alla luce delle informazioni raccolte sul campo il Bundesnachrichtendiesnt (Bnd), l’agenzia di intelligence esterna, riassume così la situazione militare sul fronte del Donbass: «Le perdite quotidiane dei soldati ucraini nella battaglia in difesa di Bakhmut si aggirano su numeri a tre cifre» e l’eventuale «caduta della città provocherebbe conseguenze estremamente negative per l’Ucraina, poiché permetterebbe ai russi di penetrare ulteriormente all’interno del Paese».
DUE SCENARI TATTICI da incubo all’attenzione di chi a Berlino deve decidere la strategia della Germania non solo sul caso Leopard. Per la prima volta vengono messi nero su bianco sull’informativa ufficiale di un servizio Nato, immune dall’accusa di disfattismo.
Nonostante i report sulla mutazione del conflitto da guerra di manovra a scontro di trincea non siano certo una novità assoluta: a dicembre la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen si era lasciata sfuggire la stima di 100mila militari ucraini caduti, non così distante dalla proiezione del capo di Stato maggiore della Difesa Usa.
Ma rimbombano a Berlino anche le parole di André Würstner, presidente dell’Associazione forze armate, tutt’altro che anti-atlantista, invitato a parlare di Leopard nel più popolare talk-show della tv pubblica. «La Bundeswehr è nuda. Ci aspettiamo una drastica riduzione di armi fino al 2025 a causa della crisi energetica. Ma quale invio di carri armati a un altro Paese possiamo mai fare?» è il plateale sfogo della “voce” dell’ambiente militare tedesco.
Mentre il segretario generale Spd, Kevin Kühnert, chiede «più artiglieria agli ucraini» prima di ammettere che «i Leopard non saranno comunque le “Wunderwaffen” che permetteranno di vincere la guerra».
SEMBRANO INTUIRLO i tedeschi fotografati nell’ultima rilevazione dell’istituto “Infrastest-Dimap” che restituisce l’opinione pubblica a dieci mesi dall’invasione russa.
Soltanto il 41% dei cittadini approva le attuali consegne di armi all’Ucraina, mentre il 26% chiede addirittura di ridurre gli stock. Fa il paio con il 58% che non crede alla fine della guerra entro il 2023, contrapposto al 23% convinto invece della pace più o meno imminente.
Secondo il 52%, gli sforzi diplomatici del governo Scholz non si stanno rilevando sufficienti per fermare il conflitto, per il 34% vanno bene così, ma appena il 4% chiede di ridurli per lasciare posto allo scontro frontale.
Infine, oltre un terzo dei tedeschi resta dubbioso sull’efficacia delle sanzioni, con il 19% che le considera troppo severe.
Non esattamente un paese pronto a rispondere all’appello di Ramstein. Proprio come lo Stato che prova a districarsi su due piani.
Da una parte, l’impedimento strettamente tecnico del revamping dei Leopard ex Bundeswehr, ribadito dal costruttore Rheinmetall che stima tempi lunghissimi la consegna; dall’altra, lo stop tutto politico su chi deve mettere per primo i cingoli sul terreno, che investe direttamente gli Abrams, i tank degli Usa che secondo la Germania devono essere spediti in Ucraina come minimo insieme ai Leopard.
DOMANI LA BUNDESWEHR trasferirà le prime due delle tre batterie antiaeree Patriot, da Rostock a Zamość (Polonia) con l’obiettivo di proteggere lo spazio aereo del sud-est del Paese e rafforzare il fianco Est della Nato. Da lì il confine ucraino dista solo 60 chilometri e la capitale regionale di Lviv appena 110.
Secondo le indiscrezioni dello “Spiegel” i Patriot tedeschi andranno a proteggere un importante stazione di trasbordo dei convogli di armi all’Ucraina