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Vertice di governo, Salvini strappa un primo ok all’autonomia regionale da sbandierare in vista delle regionali: disegno di legge in uno dei prossimi cdm. I tempi sono ancora vaghi e la premier insiste sul presidenzialismo. Ma la riforma che spacca il paese avanza

VERTICE A PALAZZO CHIGI. Salvini ha bisogno di una bandiera per le regionali. Meloni non ha fretta ma teme defezioni sul Mes

 Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani - Ansa

La Lega segna un punto sull’autonomia differenziata. Il vertice riunito ieri pomeriggio a palazzo Chigi, ha «definito il percorso tecnico e politico per arrivare, in una delle prossime sedute del consiglio dei ministri, all’approvazione preliminare del ddl sull’autonomia differenziata». È un passo che si avvicina, senza ancora centrarlo, all’obiettivo di Salvini che ha

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Il garante Mauro Palma: «Non è più lo strumento iniziale». Fratoianni: «Non basta»

 Il carcere ad alta sicurezza delle Costarelle, a L’Aquila

Più del 41bis potrà la cultura del diritto: è su questa strada che si vince la lotta alla mafia. Il concetto è chiaro e ineccepibile, ma difficile da far passare mentre va in onda a reti unificate la retorica del carcere duro rinvigorita dall’arresto di Matteo Messina Denaro, trasferito nel carcere ad alta sicurezza delle Costarelle, a L’Aquila, dove sono rinchiusi in celle singole 159 dei 749 detenuti sottoposti al regime di 41bis, tra cui i grandi mafiosi e terroristi non pentiti, dalla brigatista Nadia Lioce ai boss Leoluca Bagarella, Raffaele Cutolo, Felice Maniero e Francesco Schiavone.

Il decreto con il quale è stato disposto il carcere duro all’ultimo superboss di Cosa Nostra ricercato da 30 anni, immediatamente firmato dal Guardasigilli Carlo Nordio, è stato accolto dal capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, come gesto di fermezza del governo nella lotta alla mafia: «Nessun carcere dorato per Matteo Messina denaro – ha twittato ieri – il 41bis è il nemico numero uno di tutti i boss». Gli risponde a stretto giro il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni: «Francamente non capisco l’enfasi dell’on. Foti: il 41bis – dice dai microfoni di Agorà, su Rai3 – mi pare un fatto scontato, e le cose scontate non c’è bisogno di dirle: viene arrestato il latitante più latitante d’Italia, ed è evidente che il Guardasigilli deve firmare la misura del 41bis. Lasciamo stare la propaganda».

La polemichetta s’infuoca immediatamente: «Che Fratoianni non capisca ci può stare ed è normale. Del resto – ribatte il capogruppo di Fd’I – la sinistra ha fatto ostruzionismo contro quell’ergastolo ostativo che tre mesi fa aveva votato». Dimentica, l’on. Foti, che a «fare ostruzionismo» contro l’ergastolo ostativo, per usare le sue parole, è stata soprattutto la Corte costituzionale che con due sentenze – la n. 253 del 2019 e la n. 97 del 2021 – ha chiesto al Parlamento di intervenire su una pena giudicata nella forma attuale incostituzionale.

Fratoianni comunque insiste e torna sui binari del confronto sostanziale: «C’è una componente decisiva nella lotta alla mafia e alla grande criminalità organizzata che deve essere ripresa e rilanciata: è la lotta per la dignità e per i diritti. Il diritto ad avere un lavoro, di poter andare a scuola, di avere un welfare che ti garantisca un’assistenza decente – afferma il parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra – Il diritto nel rapporto con l’organizzazione mafiosa su che cosa si fonda? Sull’idea che il potente, il boss, elargisca concessioni. Il diritto diventa concessione. Lo Stato deve invece poter rappresentare, e non l’ha fatto fino in fondo finora, un’altra cosa: il diritto è ciò che posso avere perché mi spetta e lo rivendico. La garanzia del diritto è la fonte dell’emancipazione delle persone, ed è la strada prioritaria da seguire», senza negare l’utilità degli «strumenti di indagine classica o gli strumenti giudiziari».

Il punto però è un altro: lo strumento del 41bis, «nato per interrompere le comunicazioni con le organizzazioni criminali di appartenenza» «non è solo giusto, ma addirittura doveroso», afferma il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma intervistato dalla web radio del Pd. Ma «quando diventa una modalità carceraria meramente afflittiva, il cosiddetto carcere duro allora non è più accettabile. Il punto di partenza è il rispetto della dignità delle persone e il carcere duro, le privazioni dei diritti, non hanno nulla a che vedere con le finalità iniziali del 41bis. Inoltre – conclude Palma – bisogna pensare che su 700 persone sottoposte a questo regime carcerario, solo 200 hanno l’ergastolo. Immaginare un percorso differente, alla luce del fatto che sicuramente almeno le altre 500 torneranno in libertà è anche una cosa che garantirebbe maggiore sicurezza»

 

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CONGRESSO PD. I big della sinistra lodano la candidata che «non fa una apologia del capitalismo». E pone «con forza il tema delle diseguaglianze

Orlando e Bettini, con Schlein scatta il feeling sui nodi Pd Andrea Orlando, Elly Schlein e Goffredo Bettini - foto Ansa

Prove di avvicinamento tra i big della sinistra Pd e la candidata outsider Elly Schlein. Occasione: la presentazione dell’ultimo libro di Goffredo Bettini «A sinistra. Da capo» nella sede della Filt Cgil di Roma. «Mi interessa il programma di Schlein, c’è una visione nuova, ci sento un’urgenza di una risposta che non sia l’apologia dello status quo», dice Bettini. E ancora: «I candidati alla segreteria dicono che loro sono nuovi e io sono vecchio, da rottamare, ma mi pare che l’unica che possa dire qualcosa in questo senso è Schlein, perché gli altri sono piuttosto vaccinati nelle fattorie del Pd…».

BETTINI SI TIENE A UNA CERTA distanza dalla battaglia congressuale, «Non do indicazioni di voto, non è il mio ruolo, mi limito a dare un contributo di idee». Schlein dal canto suo fa di tutto per dimostrare che lei è la candidata che con più forzasi pone il tema della critica al modello di sviluppo. Certo, lo fa col suo linguaggio, pone l’accento sulla parola «ecosocialismo», ricordando che la battaglia contro le diseguaglianze deve andare di pari passo con quella contro la crisi climatica. Quando parla Andrea Orlando, spesso lei approva con un cenno della testa. Soprattutto quando l’ex ministro del Lavoro descrive il conflitto tra socialisti e liberali che in questi 15 anni ha impedito al Pd di rappresentare il disagio sociale. «Non abbiamo mai sciolto il nodo di questa doppia anima, abbiamo oscillato tra queste due polarità senza mai scegliere, consumando così i gruppi dirigenti». «Non voglio regalare la rappresentanza del disagio sociale a forze improvvisate (il M5S, ndr), vorrei dare a quel malessere una prospettiva di riscatto, e di governo. E per questo è sbagliato chiudersi in una prospettiva moderata e neocentrista. Se non si trova una sintesi il Pd non c’è più», avverte Orlando, che accusa i principali candidatyi (leggi: Bonaccini) di non avere «piena consapevolezza di questa sfida». «Nelle parole di Elly invece questa consapevolezza c’è», dice Orlando che non fa un endorsement pieno in vista delle primarie (come hanno fatto alcuni colonnelli della sua corrente come Peppe Provenzano), ma dice che «Elly è l’unica che si pone le domande giuste». E aggiunge in una intervista a Rainews 24: «Lei ha posto con grande forza il tema della lotta alle diseguaglianze e per questo credo abbia possibilita».

PIÙ CHE ALTRO, IL LEADER DELLA sinistra Pd attacca Bonaccini, pur senza nominarlo: «Sostenere che il problema di fondo sono le correnti da eliminare, la contrapposizione tra sindaci e parlamentari o tra romani e provinciali è una barzelletta». E ancora: «Se non ti poni neppure le domande a favore di un “soluzionismo pragmatico” sei destinato alla subalternità». Schlein , che pure è stata vice di Bonaccini in Emilia-Romagna, annuisce: «Essere amministratori non è una linea politica, so ben distinguere i due ruolo». Loda a più riprese Orlando per aver cercato di importare il modello della Spagna sul tema dei contratti e dei diritti del lavoro. E rincara: «Lo spostamento al centro del Pd c’è stato e ha spinto molti ad allontanarsi. Io sono per una sinistra moderna che non si vergogna della presenza dello stato in economia e vuole ampliare il welfare .

AD AGITARE LE ACQUE tra i dem anche il nuovo manifesto dei valori, che dovrebbe essere approvato dall’assemblea costitutente che si riunirà sabato. Letta ha voluto un comitato costituente di 100 persone, che ha redatto un nuovo testo. Dalle parti di Bonaccini si ritiene che l’assemblea, in scadenza, non abbia i titoli per cambiare il dna del partito. Schlein e quelli di Articolo 1 invece ribadiscono che, se il congresso è davvero costituente, il cambiamento del manifesto è indispensabile. Bersani e Speranza minacciano, non tanto velatamente, di non rientrare nel Pd se non sarà chiaro che si tratta di una di una nuova casa. Bonaccini li gela: «Chi vuole può rientrare nel Pd, io mi concento sui milioni di italiani che ci hanno lasciato». Letta non vuole buttare alle ortiche il lavoro del comitato che presiede (insieme a Speranza), ma intende evitare spaccature tra i candidati. E si prepara una nuova defatigante mediazione. Polemica anche sull’autonomia differenziata, dopo un articolo della rivista Il Mulino. Bonaccini dice «il Pd ha la mia stessa posizione». Provenzano gli rinfaccia il feeling iniziale con Zaia e lo invita ad opporsi «senza se o ma» al progetto di Calderoli

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INTERNAZIONALE. Lo spot-choc dell’ultradestra turca per deportare siriani. Palestinese ucciso al checkpoint, è il 15° del 2023. Unhcr: nel 2022 3.500 Rohingya in fuga, 348 morti. Proteste del 2019, Il Cairo condanna 22 bambini

Brevi dal mondo: Turchia, Palestina, Myanmar, Egitto Il carcere egiziano di Tora, al Cairo - Ap

Turchia, lo spot dell’ultradestra per deportare siriani

Un video patinato di due minuti con una turca che vende biglietti per un bus rosso sullo sfondo e alla fine l’Iban a cui donare: è la nuova campagna xenofoba lanciata da Umit Ozdag, leader del partito turco di estrema destra Victory Party. Chiede di inviargli denaro con cui acquistare biglietti di «sola andata» per Damasco per rifugiati siriani da deportare. Con un’opzione: indicare il nome del siriano che il donatore vorrebbe cacciare (nel video lui indica il giornalista siriano Ahmet Hamo e l’editorialista turco Nagehan Alci). Da anni Ozdag punta la sua carriera politica sulla guerra ai rifugiati. Fino a promuovere l’idea che i siriani nel paese non siano 3,6 milioni ma 13 e a produrre un film, «Silent Invasion»: nella Turchia del futuro gli arabi sono la maggioranza che governa quel che resta del popolo turco.

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Palestinese ucciso al checkpoint, è il 15° del 2023
Ieri a Hebron, nel sud della Cisgiordania occupata, l’esercito israeliano ha ucciso il 15esimo palestinese dall’inizio dell’anno: Hamdi Shaker Abu Dayyeh, 40 anni. Secondo l’esercito israeliano avrebbe aperto il fuoco contro i soldati all’ingresso del villaggio di Halhul. Nessun ferito tra i militari. Testimoni palestinesi hanno raccontato che l’esercito ha impedito ai paramedici di soccorrere l’uomo. È l’undicesimo palestinese a essere ucciso in Cisgiordania in sei giorni.

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Unhcr: nel 2022 3.500 Rohingya in fuga, 348 morti

«Allarmante»: così l’agenzia Onu per i rifugiati, Unhcr, ha definito ieri il crescente numero di rifugiati Rohingya morti nel tentativo di lasciare il Myanmar via mare verso il Bangladesh. Nel 2022 ci hanno provato in 3.500 (erano stati 700 l’anno precedente), almeno il 45% donne e bambini. Di questi hanno perso la vita almeno 348 persone, «l’anno più mortale dal 2014», ha spiegato la portavoce dell’Unhcr, Shabia Mantoo. I Rohingya – musulmani – continuano la loro disperata fuga fuori dal Myanmar, loro paese di origine di cui però non sono mai stati riconosciuti cittadini, ma vittime di una persecuzione religiosa strutturale.

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Proteste del 2019, Il Cairo condanna 22 bambini

La corte penale del Cairo ha condannato a pene da 5 a 15 anni di carcere ventidue bambini, con l’accusa di aver preso parte alle proteste contro il governo del 2019, scatenate dall’uomo d’affari in esilio Mohamed Ali (condannato a 25 anni in contumacia). Nessuna possibilità di appello: i reati rientrano nella legge anti-terrorismo del 2013.

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MEDITERRANEO. Ong, avvocati, docenti, un ex magistrato, un ammiraglio in congedo e la Cei contro il provvedimento che limita i soccorsi nel Mediterraneo. In corso le audizioni nelle commissioni parlamentari per i pareri tecnici

«Il decreto Piantedosi è incostituzionale, non convertitelo in legge» Salvataggio della Ocean Viking - Michael Bunel / Sos Mediterranée

Il decreto Piantedosi sui flussi migratori «potrebbe essere dichiarato incostituzionale dalla Consulta in qualsiasi istante». A dirlo è il professore di diritto dell’università Bicocca Paolo Bonetti, ascoltato ieri durante le audizioni delle commissioni Affari costituzionali e Infrastrutture. Il provvedimento dovrà essere convertito in legge entro il 3 marzo, in questa fase i gruppi parlamentari stanno ascoltando soggetti qualificati a dare contributi tecnici. Gli inviti sono partiti soprattutto dalle opposizioni.

Dura condanna delle scelte del Viminale è stata ribadita da monsignor Gian Carlo Perego, presidente di Fondazione Migrantes e Commissione Cei per le migrazioni. «Il provvedimento va abrogato – afferma – Se si vuole combattere il traffico di esseri umani l’attenzione va portata sul rinnovo del memorandum con la Libia piuttosto che sull’azione delle Ong». Per Roberto Zaccaria, presidente del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), «non è emendabile e non può essere convertito in legge».

I punti problematici sono diversi, a partire dall’assenza dei requisiti di necessità e urgenza previsti dalla Costituzione per simili provvedimenti. Le critiche si concentrano su due elementi. «Il primo dubbio riguarda la territorialità del diritto», afferma l’avvocato Stefano Greco, per la Casa dei diritti sociali, riferendosi alla mancanza di giurisdizione italiana sulle navi straniere che navigano in acque internazionali.

Un aspetto su cui insiste anche la docente di diritto internazionale dell’università Cattolica Francesca De Vittor: «Non si possono imporre competenze al capitano della nave di un altro paese che si trova in alto mare». Una di queste sarebbe informare i naufraghi sull’asilo e, nel caso, raccoglierne le domande. Unhcr, per bocca di Chiara Cardoletti, è d’accordo sul primo aspetto ma ritiene problematico che la procedura possa essere avviata a bordo. L’agenzia Onu sostiene però che la responsabilità sugli sbarchi dalle navi Ong debba essere condivisa tra Stati costieri e di bandiera. Un tema molto caro al governo Meloni, anche se lo smacco ricevuto dalla Francia sul caso Ocean Viking sconsiglia di sfidare i partner Ue.

L’altro elemento critico del decreto è il divieto dei soccorsi multipli. Cioè l’idea del governo italiano che le navi si dirigano verso i porti assegnati dopo il primo soccorso «senza ritardo», nemmeno in caso di Sos aperti. «Non si può obbligare l’omissione di soccorso», avverte l’ex magistrato Armando Spataro, che poi smentisce le dichiarazioni di Piantedosi sui presunti rapporti Ong-trafficanti: «non esiste un solo caso in cui siano stati provati». Per Riccardo Magi, deputato di +Europa, «se un comandante farà salvataggi multipli a essere condannato sarà il decreto».

Filippo Miraglia, responsabile Arci immigrazione, ritiene che il provvedimento si basi su una «bugia pubblica»: l’Italia lasciata sola dall’Ue. In realtà si tratta di «un Paese che si fa carico di un numero di richiedenti asilo inferiore alla media europea». L’ammiraglio in congedo della guardia costiera Vittorio Alessandro, a nome del comitato per il diritto al soccorso di cui fanno parte anche De Vittor e Spataro, ha sottolineato come de facto il decreto «non abbia ancora trovato applicazione, sebbene sia stato emanato in via d’urgenza. Si tratta di un strumento sostanzialmente sanzionatorio».

Infatti, prima della sua introduzione, a cambiare le carte nel Mediterraneo è stata la nuova prassi del Viminale: porti subito dopo il primo soccorso ma lontanissimi. Una tattica che rimarrebbe in vigore anche se il decreto andasse a sbattere contro la Costituzione o le Convenzioni internazionali. Per Spataro, però, il governo deve stare attento: spedire le navi Ong, e solo loro, a centinaia di chilometri apre a possibili richieste di risarcimento danni

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RIFORME. All'incontro con la ministra anche Calderoli. Domani sarà consultato il Terzo polo, favorevole all’elezione diretta del premier

 La ministra delle Riforma Elisabetta Casellati - LaPresse

Si dovrebbe discutere di presidenzialismo: per questo la ministra delle Riforme Elisabetta Casellati ha convocato la Lega, nel quadro degli incontri con la maggioranza prima di passare da domani a quelli con l’opposizione. Ma basta guardare la composizione della delegazione leghista per capire che si parlerà anche, anzi soprattutto di autonomia differenziata. Con i capigruppo Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari c’è infatti il ministro Roberto Calderoli, autore della proposta di autonomia depositata il 29 dicembre.

Sul presidenzialismo la Lega non si allarga, nulla a che vedere con lo straripante entusiasmo di Silvio Berlusconi il giorno precedente. Sull’obiettivo non si discute ma presidenzialismo può voler tante e tanto diverse cose. Bisogna stare attenti, analizzare le esperienze dei vari Paesi, valutare quale formula si attagli meglio al Paese e alla Costituzione. La Lega non si mette di traverso ma neppure la fa facile e la ragione è chiara. Prima del semaforo verde sulla riforma di Giorgia Meloni chiede il saldo, il via libera all’autonomia. Per vararla ci vorrà un anno, afferma Calderoli confermando così la sfida di Matteo Salvini che vuole chiudere entro il 2023. Molto meno di quel che richiede una riforma costituzionale, con la doppia lettura e sei mesi di pausa riflessiva in mezzo. Dunque all’uscita Molinari mette decisamente il dito nella piaga: «Presidenzialismo e autonomia vanno di pari passo politicamente ma l’autonomia viene prima perché ha un iter legislativo molto più semplice». Il governatore del Veneto Luca Zaia, che nella Lega è quello che più martella per fare presto, è più categorico: «Varare insieme le due riforme è impossibile». È il contrario esatto della tabella di marcia che hanno in mente la premier e FdI, secondo cui le due riforme dovrebbero arrivare al traguardo appaiate.

Fosse davvero solo questione di tempistica il problema sarebbe di ordine minore. Ma la Lega sospetta, come tutti peraltro, che l’operazione dilatoria miri essenzialmente ad annacquare e stemperare il modello d’autonomia a cui punta il nord leghista, seccamente punitivo, checché ne dica Calderoli, nei confronti delle Regioni povere e dunque del sud. A nessuno è sfuggito il silenzio assoluto sul tema nella kermesse tricolore di Milano: si è parlato di tutto tranne che appunto di autonomia. Del resto proprio la presidente del consiglio ha più volte assicurato che l’uguaglianza sarà garantita e difesa e quando Fabio Rampelli di Fdi dichiara che «importante è fare bene più che fare presto» i leghisti subodorano la palude. I duri nordici, come l’ex ministro Roberto Castelli o l’eurodeputato Gianantonio Da Re, del resto non la mandano a dire: «Con questo governo il cammino dell’autonomia sarà ancora più difficile».

Il potere contrattuale del Carroccio sull’autonomia, però, dipende in buona parte proprio da come andranno i colloqui tra l’ex presidente del Senato e i partiti d’opposizione sul presidenzialismo. Giovedì il Terzo Polo si dichiarerà pronto al dialogo: non all’elezione del presidente della repubblica ma a quella del premier.

L’ora della verità scoccherà la settimana prossima, quando arriverà il turno dei 5S, sulla cui opposizione alla riforma non dovrebbero esserci dubbi, e del Pd, che è l’ago della bilancia. Se accetterà di cercare con la maggioranza l’accordo su un modello di presidenzialismo la riforma nascerà in Parlamento, percorso che preferiscono di gran lunga anche i partiti di governo. Probabilmente non in una bicamerale come quella presieduta da D’Alema negli anni ’90, perché i tempi diventerebbero biblici e gli ostacoli insormontabili, ma in una mini bicamerale oppure nelle commissioni Affari costituzionali delle due camere congiunte. Se invece il no del Pd sarà granitico a formulare la proposta sarà il governo, entro giugno, e in questo caso il peso della Lega aumenterà di parecchio. Non a caso Calderoli ipotizza come soluzione perfetta per l’autonomia proprio la stessa formula: una proposta del governo. Magari contestuale a quella sul presidenzialismo ma con tempi di approvazione ben più celeri

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