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Politica. «Vengo da una famiglia mista, le mie prime battaglie per gli immigrati»

La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein durante la presentazione del libro foto LaPresse La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein durante la presentazione del libro - foto LaPresse

Ritratto di una leader riluttante, che all’università, a Bologna, era molto più presa dai cineforum col sogno di fare la regista che dalla voglia di candidarsi alle elezioni studentesche. Una ragazza nata in Svizzera da famiglia cosmopolita che ha imparato a conoscere il mondo nella sua scuola multietnica, e poi al festival di Locarno, «non viaggiavo tanto, il cinema era il mio modo per conoscere le altre culture, imparare le diversità».

UNA LEADER INASPETTATA, per gli altri ma anche per se stessa, quella raccontata nel libro «L’imprevista» (Feltrinelli), scritto a quattro mani con la giornalista de L’Espresso Susanna Turco e presentato ieri nei giardini di piazza Vittorio a Roma. Un libro in cui Schlein sfida la sua nota ritrosia a parlare della sua vita per un obiettivo politico: mostrare che la sua ascesa alla guida del Pd non è stato un caso fortunato, ma l’emergere di una fetta di popolo di centrosinistra che da anni non si sentiva rappresentato. «Non ci hanno visto perchè eravamo sotto, mischiati nelle piazze di tante battaglie». Sotto perché fuori dal giro che contava nel partito, a partire dal no alle alle larghe intese nel 2013.« Ci avevamo visto lungo», sorride la segretaria. «Con le larghe intese Il Pd ha smarrito la sue identità, in questo viaggio per l’Italia che raccontiamo nel libro ho capito che non ero e non sono sola, nella mia storia ci sono le ragioni delle battaglie di oggi, per portare il Pd là dove la nostra gente voleva che stesse».

Nel libro c’è la storia di una outsider, non underdog, visti i natali in una famiglia della borghesia progressista. Ma certamente di una donna incuriosita dalla politica, libera di pensiero e un po’ ribelle, che condivide con altri la delusione per il Pd post Bersani, se ne va, prova a costruire qualcosa fuori, non ci riesce e torna alla casa madre, con l’obiettivo di cambiarla profondamente, sempre un po’ apolide della politica.

Il primo obiettivo della sua leadership, su cui Schlein non arretra, è la «ricucitura» del rapporto «con le persone che si sono sentite meno rappresentate dalla nostra parte». E la possibilità di un loro «risveglio», di un «ritorno alla mobilitazione» che è stato fondamentale per la sua vittoria alle primarie. L’unica battaglia, quella del 2023 contro Bonaccini, che la leader rivendica come una sua scelta «anche quando mi dicevano che era una follia». Le altre volte, dall’università fino alle europe e alle regionali dell’Emilia Romagna, avevano dovuto convincerla a metterci la faccia. Fin da quando, studentessa, «avevo paura a volantinare perchè mi strappavano in faccia i volantini».

Fino al 2014 quando disse a chi la spiegava verso le europee: «Voi siete pazzi, nessuno saprà scrivere il mio nome sulla scheda». Alla sua prima esperienza, negli anni a Bologna, prese 71 voti, poteva essere una spinta a tornare alla passione del cinema, e invece no. «Le battaglie sono venute una dopo l’altra, senza che all’inizio ci fosse un disegno preciso. Anche la mia passione politica era imprevista, mai avrei pensato di arrivare a questo livello di responsabilità».».

L’ESPERIENZA NELLE SCUOLE svizzere, con tanti ragazzi che venivano dalla ex Jugoslavia ma anche da Spagna e Portogallo, è una molla che la porta a occuparsi di immigrazione. Lei che viene da una storia mista, in parte italiana e in parte di immigrati ebrei dell’Europa dell’est approdati negli Usa. Fino a diventare una bolognese adottiva nel 2004 «e quella è una città che ti spinge a prendere parte, a essere partigiano». «Nessuna delle mia appartenenze è compiuta al 100%, come per tante altre persone che sono figlie di storie miste. Io la mia l’ho trovata nella politica. A scuola ho imparato che anche tra diversi siamo tutti uguali nei diritti», racconta, «il mio impegno nasce per sfatare i luoghi comuni sull’immigrazione su cui la destra campa da vent’anni».

NEL LIBRO CI SONO ANEDDOTI, come «l’agguato» a Salvini durante la campagna per le regionali del 2020 in Emilia , un video diventato virale. «Volevo solo chiedergli perché i leghisti non avevano mai partecipato alle riunioni sulla riforma del trattato di Dublino…». C’è la sua tigna, in questa storia, che non è mai scelta avventata: «Prima di prendere decisioni importanti ascolto tante persone, ci penso molto perchè poi non voglio pentirmi…». Prima di correre alle primarie ci ha penato a lungo: «Eravamo sotto di 20 punti nei sondaggi, ma sentivo che non tutto era perduto, che c’era tanta voglia di ricostruire quando il Pd era descritto come finito». Ribelle e prudentissima, che è la cifra della sua leadership