Ok alla riforma, ma solo 4 italiani votano sì (e i 5S no). Per Meloni era il miglior accordo possibile. Le opposizioni: sfiduciato Giorgetti
Paolo Gentiloni e Giancarlo Giorgetti a Bruxelles - foto Ansa
Al momento di riconoscere la propria creatura i genitori, al secolo i partiti del governo che aveva accettato il Patto di stabilità, se la squagliano. I padrini, cioè il partito del commissario europeo che lo aveva concordato, non sono da meno. A Strasburgo si pronunciano a favore del nuovo Patto, peraltro solo su uno dei punti al voto, quattro europarlamentari italiani: due di Renew, uno dei quali eletto in Francia, uno della Svp e l’azzurra Lara Comi, unica a votare in dissenso dal suo partito ma conforme alla “famiglia” europea, quella del Ppe. Tutti gli altri si riparano dietro l’astensione. Tranne i 5S, che bocciano a viso aperto le nuove regole e Conte non perde l’occasione per mettere all’incasso il bel gesto: «Non mi capacito che il M5S sia rimasto solo a votare contro un Patto che torna all’austerità e taglia le gambe alla crescita». L’avvocato si scatena contro i partiti della maggioranza, le «facce di bronzo» che vorrebbero «cancellare le impronte digitali» alla vigilia delle europee, i «dilettanti allo sbaraglio» che solo ora si rendono conto del danno fatto. Del Pd Conte non parla. Non ce n’è bisogno. Il responsabile economico dei dem Misiani, in effetti, non è meno severo del leader dei 5S. Parla di «ritorno dell’austerità» e di «pietra tombale per qualunque strategia di rilancio». Però il Pd non se la è sentita di bocciare la lapide in contrasto con il resto del Pse.
DALL’OPPOSIZIONE SONO in molti, con il Verde Bonelli a dare il la, quelli che accusano il governo di aver sfiduciato il ministro dell’Economia Giorgetti e rinfacciano a Giorgia Meloni il commento a caldo, quello che definiva l’accordo «il migliore possibile». In realtà la sfiducia sarebbe bipartisan: anche il Pd boccia il suo commissario europeo Gentiloni che peraltro non se la prende. Ironizza: «Abbiamo unito la politica italiana». Assolve l’astensione del suo partito: «Ragioni di politica interna, ma il Patto è un buon compromesso». Le ragioni in questione sarebbero soprattutto la necessità di non prendere una via opposta a quella dei presunti alleati a cinque stelle ma anche la comprensibile resistenza a prendersi la responsabilità di un Patto che per l’Italia si rivelerà presto un grosso guaio senza nemmeno aver potuto trattare.
L’ALIBI DELLA MAGGIORANZA, ripetuto da tutti in ben intonato coro, è che l’astensione sarebbe propedeutica a rivedere, ridiscutere e modificare il Patto. «Che c’è di male a volerlo migliorare?», fa l’ingenuo il capo dei deputati tricolori Foti mentre i colleghi Procaccini e Fidanza fanno rullare i tamburi: «Sarà priorità del nostro gruppo, nella prossima legislatura europea, lavorare a una modifica sostanziale del Patto». La Lega, per non bersagliare troppo Giorgetti, usa toni meno truculenti del solito: «È un compromesso che purtroppo presenta ancora elementi critici. Con un’altra maggioranza in Europa sarà possibile apportare le necessarie modifiche».
NO CHE NON LO SARÀ. Non con i Paesi frugali contrari anche loro al testo ma perché lo trovano ancora troppo lasco. Non con la Germania che ha faticato ad accettare persino questo compromesso che in realtà soddisfa quasi tutte le richieste rigoriste del ministro-falco Lindner. I battaglieri annunci della maggioranza, come l’astensione che li giustifica, servono a fare un po’ di campagna elettorale, qualcosa come «Dateci forza se volete allentare il nodo scorsoio», e molto per non figurare come pienamente responsabili quando gli effetti della resuscitata austerità inizieranno a farsi sentire. Non ci vorrà molto. Il Pd si dice certo che dopo le europee Giorgetti dovrà varare quella manovra correttiva che sin qui ha sempre escluso e che anzi di manovre correttive ne serviranno più d’una. Di certo, che la manovra correttiva arrivi o meno, le nuove regole sono sufficientemente rigide per rendere impervia la strada del Paese, oltre che del governo, nei prossimi anni.
PER IL MOMENTO, a sorpresa, il consiglio dei ministri ha rinviato il previsto primo decreto di attuazione della delega fiscale, che avrebbe dovuto fissare il bonus tredicesime di 80 euro. Sarà di 100 euro la settimana prossima, fa filtrare il governo. Ma per chi è sposato con almeno un figlio. Si sa che la famiglia è tutto