IL CASO. L’escluso Conte mastica amaro, ma la vera partita è sulle candidature alle europee
Quando a metà dicembre Elly Schlein si disse disponibile a confrontarsi con Giorgia Meloni in televisione (e non ad Atreju), Bruno Vespa si limitò a offrire la sua disponibilità. Adesso che a rilanciare l’idea è stata la stessa premier, il decano dei conduttori Rai è tornato alla carica in maniera molto più convinta, senza badare troppo al fatto che la una puntata l’avrebbe già fatta Sky Tg24: «Siamo la casa del confronto», ha sottolineato il direttore Giuseppe De Bellis dopo il cip messo alla conferenza stampa d’inizio anno della premier.
Vespa, dal canto suo, sostiene di avere un diritto di prelazione frutto della mezza apertura fatta a Schlein, e non appare troppo preoccupato. «Ho letto il comunicato di De Bellis e mi pare corretto – ha detto all’Agi -. Nel senso che dice: Meloni e Schlein sono disponibili al confronto e Sky è disponibile ad ospitarlo. Ma non dice altro». Così, anche se «non c’è ancora nulla di deciso», già qualche indicazione è pronto a darla: «La par condicio scatterà 60 giorni prima delle elezioni europee e, salvo che non cambino le regole, il confronto dovrà avvenire prima di quella data». La memoria corre indietro fino alla fine dell’estate del 2022, quando il confronto tra Meloni e Letta non andò in onda proprio per motivi di par condicio e venne trasmesso in streaming dal sito del Corriere della Sera.
Questa volta le cose devono andare diversamente, anche se nel Pd già si registra qualche malumore per l’opa lanciata dal conduttore di Porta a Porta: nessuno dimentica, infatti, il summit di governo andato in scena lo scorso giugno alla masseria di Manduria né il video pubblicato prima di Natale dai social di Fratelli d’Italia in cui Vespa elogiava Meloni per la sua politica estera («Straordinaria») e la assolveva per quella interna: «Si è trovata senza soldi e ha potuto fare poco». Ben più ruvido il trattamento riservato a Schlein durante la sua ospitata a Cinque minuti, a novembre, con non poche scivolate al sapor di paternalismo.
AL DI LÀ dei dubbi, forse non del tutto infondati, sulla neutralità del campo, tra i dem c’è la consapevolezza che il piatto è comunque di quelli ghiotti: non c’è niente di meglio di un duello a due con la premier per dimostrare a chi appartenga la leadership dell’opposizione. Meloni, in conferenza stampa, una prima investitura l’ha già data in questo senso, forse nella convinzione di poter stravincere il confronto. Giuseppe Conte, l’escluso, già si lamenta del fatto che la premier dia «patenti di legittimità ai suoi avversari» e bolla tutto questo intreccio con una parola: «Strategie». Non che il leader de M5s sbagli, ma anche lui è consapevole che con l’approssimarsi delle europee il dualismo tra Giorgia e Elly potrebbe accentuarsi e metterlo di fatto all’angolo.
LA PARTITA è quella dell’ alleanza tra democratici e pentastellati, con la leggendaria figura del federatore – o della federatrice – che affolla i pensieri dei dirigenti e che, però, difficilmente si paleserà in tempo per il voto di giugno, che è proporzionale e non prevede alleanze. Discorso a parte per le regioni e i comuni, ma lì i leader per il momento stanno evitando di intervenire e lasciano la palla alle rispettive rappresentanze locali. Meloni invece non ha alcun problema di leadership e dunque può permettersi di scombinare le carte degli avversari: la porta lasciata un po’ aperta e un po’ no su una sua candidatura alle europee è l’appendice naturale della strategia. Il nodo, infatti, non riguarda la decisione che sul punto prenderanno gli alleati Tajani e Salvini ma quella che prenderanno Conte e Schlein. Che pure ancora non sciolgono le riserve. Al cinema si tratterebbe di uno stallo alla messicana, dove ciascun personaggio ha la pistola puntata sull’altro. E tutti aspettano che qualcuno spari il primo colpo, sperando che non vada a segno