Al confine tra Libano e Israele lo scontro tra il movimento sciita Hezbollah e le forze armate dello Stato ebraico è sempre più intenso e il numero delle vittime cresce ogni giorno. Specie sul lato libanese – in meno di tre mesi sono stati uccisi oltre cento combattenti di Hezbollah e numerosi civili – in ragione della superiorità militare di Israele e del dominio della sua aviazione. Proprio il controllo dei cieli è al centro dell’escalation regionale a distanza tra Israele e Iran e che dopo il Mar Rosso si allarga sempre più alla Siria. Tra giovedì e venerdì missili israeliani, provenienti dal Golan occupato, hanno colpito per due volte nella Siria meridionale la base di difesa aerea e una stazione radar nell’area di Tel al-Sahn facendo, secondo la tv saudita Al Arabiya. Il mese scorso era stato preso di mira un altro sistema di difesa antiaerea a Tel Qulaib e Tel Maseeh, sempre nel sud della Siria.
Questi attacchi indicano che l’attrito lungo la frontiera tra Libano e Israele, cominciato dopo il 7 ottobre e la guerra a Gaza, potrebbe evolvere in quel conflitto totale che il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, per oltre due mesi ha cercato di evitare. E così l’Iran, suo sponsor. Entrambi in più occasioni hanno sottolineato che Hamas ha pianificato da solo l’attacco nel sud di Israele quasi tre mesi fa. Ma la situazione ora è fluida. Distruggere i sistemi di difesa aerea siriani che l’Iran starebbe cercando di rafforzare, per Israele significa avvantaggiarsi ulteriormente in vista di un allargamento della guerra nella regione.
L’Amministrazione Biden non vuole una espansione del conflitto. Tuttavia, nell’esecutivo politico-militare guidato da Benyamin Netanyahu non mancano i sostenitori – come il ministro della Difesa Yoav Gallant – di uno scontro militare frontale e totale con Hezbollah e Teheran per «ridisegnare il Medio oriente». Per anni Israele ha colpito in Siria obiettivi legati all’Iran. Nonostante ciò, i combattenti alleati di Teheran sono riusciti a consolidare la loro presenza in vaste aree della Siria orientale, meridionale e nordoccidentale. Potenzialmente questi gruppi, a cominciare da Hezbollah, in caso di una offensiva israeliana nel Libano del sud, potrebbero rispondere lanciando all’attacco migliaia di uomini nel Golan occupato e nella Galilea settentrionale.
Qualche giorno fa, Israele ha detto in modo chiaro che non esiterà a colpire nel modo più devastante ovunque e chiunque se ci sarà un allargamento della guerra con Hamas a Gaza. L’ha fatto assassinando nei pressi di Damasco Radhi Mousavi, massimo responsabile in Siria della Forza Quds, l’élite della Guardia rivoluzionaria iraniana. Un’uccisione che per la sua importanza è paragonabile a quella del 2020 da parte degli Stati uniti del comandante della Forza Quds, Qasem Soleimani, e diversi anni prima del comandante militare di Hezbollah, Imad Mughniyeh, compiuta dal Mossad israeliano. Per Teheran è stato un colpo perché Mousavi era una figura militare con decenni di esperienza in Libano e Siria incaricata del coordinamento con le forze armate di Damasco e delle spedizioni di armi in Siria. Mousavi è stato determinante anche nella consegna di missili balistici iraniani Fateh a Hezbollah. Anche il luogo dove è stato assassinato ha un significato. Il sobborgo di Sayyidah Zainab, infatti, ospita il santuario sciita più importante della Siria, che attira milioni di pellegrini ogni anno, e dopo il 2011 è stato la base dei comandanti della Guardia rivoluzionaria iraniana a Damasco.
La morte di Mousavi è un segnale anche per Hezbollah che, non a caso, in questi ultimi giorni ha reso più letali i suoi attacchi sul confine e alzato il tono dei suoi avvertimenti. Ieri mentre il movimento sciita riferiva dei suoi ultimi attacchi, preceduti o seguiti da raid aerei e cannoneggiamenti israeliani, uno dei suoi principali rappresentanti, Nabil Qaouk, ha ammonito che «qualsiasi attacco contro le case e i civili (in Libano) si tradurrà in una risposta rapida e severa». Poco dopo un deputato di Hezbollah, Hassan Ezzedine, ha escluso categoricamente che il movimento sciita possa ritirare i suoi combattenti a nord del fiume Litani, come starebbero cercando di imporre militarmente Israele e gli Stati uniti con pressioni su Beirut