BILANCIO. Il premio Nobel interviene alla cerimonia per il centenario del Cnr. L’Italia spende l’1,4% del Pil, contro il 3,1% della Germania e il 2,2% della Francia
Nel dibattito sulla riforma del patto europeo di stabilità interviene anche il fisico e premio Nobel Giorgio Parisi. «Servono cambiamenti radicali – è la sua disamina – che si possono ottenere a livello Ue scorporando gli investimenti statali in ricerca e sviluppo dal calcolo del deficit evitando che la necessità di limitare le spese possa bloccare gravemente lo sviluppo scientifico e tecnologico del Paese. Una revisione del patto di stabilità europeo con lo scorporo di questi investimenti permetterebbe un deciso cambiamento di rotta a livello europeo e ci permetterebbe di raggiungere gli obiettivi fissati a Lisbona nel 2000 e di arrivare in tutti gli stati d’Europa a un’economia fondata sulla conoscenza». Le parole di Parisi, ricevute da un lungo applauso, vengono pronunciate dalla sede romana del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) durante la cerimonia conclusiva delle celebrazioni per il centenario dell’ente, alla presenza anche del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dei ministri Anna Maria Bernini (università e ricerca) e Adolfo Urso (made in Italy).
Il fisico ha messo il dito in una piaga storica per il nostro Paese. L’economia globalizzata richiede all’Italia di mantenere la stabilità finanziaria da un lato e di investire nel capitale umano e nella sua capacità innovativa, cioè in istruzione e ricerca, per mantenere competitività dall’altro. I due obiettivi sono difficilmente conciliabili e non è solo colpa dell’Europa: quando i vincoli della finanza pubblica sono stati allentati, infatti, i governi italiani non ne hanno mai approfittato per aumentare gli investimenti in questi settori. Per l’innovazione l’Italia spende l’1,4% del Pil, contro il 2,2% della Francia e il 3,1% della Germania. Scorporare dal deficit le spese di ricerca e sviluppo vincolerebbe l’Italia a fare debito «buono» invece di sprecarlo per ponti a Messina e flat tax per i ricchi.
Parisi ha preso ad esempio proprio il Cnr. «Come tutto il comparto della ricerca, è sottofinanziato», spiega. I fondi ricevuti dal governo bastano appena per pagare gli stipendi e i progetti di ricerca vengono realizzati grazie ai finanziamenti provenienti dai bandi promossi dalle agenzie pubbliche nazionali e internazionali o da investitori privati. «L’assoluta scarsezza di fondi da destinare autonomamente a imprese scientifiche impedisce al Cnr di essere in grado di fare scelte strategiche sulla direzione nella quale sviluppare la ricerca» ha proseguito Parisi. «E ha come conseguenza l’incapacità di attirare, tranne rare eccezioni, i ricercatori residenti all’estero che esitano a venire in Italia. I risultati dei grant dell’European Research Council sono chiarissimi: solo la metà dei vincitori italiani decide di utilizzare questi finanziamenti in Italia»