Le milizie filo-turche assediano Kobane e l’esperienza di autogoverno curdo nato nel nord della Siria dopo la sconfitta dell’Isis. I jihadisti ancora detenuti nel campo di Al Hol aspettano i “liberatori”. Il mondo scende a patti con i nuovi padroni di Damasco e guarda altrove
Sindrome siriana Erdogan attacca, e mira alle infrastrutture in modo da aumentare le difficoltà di chi vive nella regione
Raqqa, il museo archeologico restaurato
Difendere il Rojava, dalla Turchia e da Erdogan, oggi più che mai è la parola d’ordine. La sconfitta di Assad apre un nuovo capitolo della storia della Siria e quanto conquistato e costruito dai curdi nel nord est del Paese è oggi di nuovo in pericolo. Non che non lo sia sempre stato, intendiamoci, ma solo qualche mese fa si respirava, nei villaggi e nelle città, un clima di fiducia come mai prima.
Pensiamo a Raqqa, ad esempio. Nel 2018 era ancora una città ferita. Ed era a pezzi. Quattro anni dopo, nonostante le difficoltà, si è fatto tanto, più di quanto anche il più ottimista potesse auspicare. Sull’Eufrate due nuovi ponti. Chiusi i tunnel realizzati e utilizzati dagli uomini del Califfato. L’acqua finalmente arriva nelle case. Le rive dell’Eufrate così sono tornate ad essere un luogo di svago, di divertimento. Se c’è una città che dimostra che la sfida del confederalismo democratico di ispirazione curda abbia attecchito tra le popolazioni che vivono in questi territori, è proprio Raqqa. Una città che, insieme ad Hassake, è la “meno curda” del Rojava, o forse sarebbe più corretto dire, la “più araba”.
QUI I MILIZIANI di Isis hanno eseguito centinaia di esecuzioni barbare e sommarie. Ora non ci sono più segni del loro passaggio se non si considerano gli edifici ancora a terra. Non si vedono più le gabbie che utilizzavano per mettere alla gogna pubblica le persone e soprattutto è stata ripulita da mine e ordigni. Per le strade ovunque gente. Si sono riaperti i mercati e ci sono cantieri dappertutto. Addirittura il museo è stato riaperto, a Raqqa. Il direttore, il professor Mohammad Abdullah Ai Ezzo, è un uomo sulla novantina che ha fatto della battaglia per riavere indietro ciò che da qui è stato portato via la ragione di questa sua parte di vita. Ci mostra dal suo smartphone pagine del deep web dove vengono messi in vendita reperti archeologici che provengono proprio dalla Siria fino a mostrarci perfino quelli che ha individuato essere proprio del museo.
«Non sono i visitatori che rivoglio in questo palazzo, ma ciò che da qui è stato trafugato. Trafficando petrolio si facevano grandi affari, ma anche con opere d’arte e reperti antichissimi si fanno tanti soldi. C’è gente che ha usato questi fanatici nascondendosi dietro alla religione per fare i propri affari, i propri guadagni». Se le chiese cristiane Isis le trasformava in luoghi di tortura e tribunali, i musei quasi sempre li trasformavano in ristoranti. Così è stato anche per quello di Raqqa. I mosaici che non sono riusciti a portare via e quindi vendere sono gravemente danneggiati. Le figure femminili raffigurate, distrutte a martellate o a colpi di Kalashnikov. Nonostante questo si è scelto di riaprire con quello che c’è, che è poi quello che è stato difeso o recuperato. Per ogni reperto c’è un’altra storia oltre a quella che intrinsecamente porta con sé.
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Rojava sotto tiro. E la questione ci riguardaIN TUTTE LE CITTÀ i servizi vengono erogati, nonostante le difficoltà che si hanno ad esempio nel reperire i farmaci o ciò che serve per gli ospedali. Ma non è di medici che c’è bisogno in Rojava, piuttosto di medicine che è molto difficile far arrivare.
I servizi primari riescono ad essere garantiti nonostante Erdogan. E questo anche prima di questa ultima escalation. L’aviazione turca ha da tempo preso di mira le piccole raffinerie che servono per il fabbisogno interno di benzina, le centrali elettriche e naturalmente la rete idrica. La città che ha più problemi sul fronte idrico è Hassake. La strada che da Qamishlo conduce fino a lì la si affronta superando una fila infinita di camion cisterna che ogni giorno portano l’acqua in città. La Turchia con le sue dighe ne trattiene molta più di quanto le sarebbe concesso e la usa come arma di ricatto. Ora poi che Erdogan attacca in Rojava in modo ancora più spudorato mira a danneggiare le infrastrutture in modo da aumentare le difficoltà di chi ci vive.
LA CITTÀ SIMBOLO del Rojava rimane comunque Kobane. All’entrata la statua Lord of Women’s Victory, realizzata dall’artista Zirak Mira in onore delle combattenti curde. Nel 2014 ha resistito alla furia di Isis fino alla cacciata definitiva d’inizio 2015. Anno dopo anno dalle macerie la città è ripartita nonostante sia sempre sotto tiro. Il municipio di Kobane, che guarda proprio verso il muro turco che segna il confine tra i due paesi e divide i curdi turchi da quelli siriani, è crivellato dai colpi che vengono sparati da lì. Peggio fanno i droni che provocano morti e feriti. Nonostante questo la città trasmette una sua certa vivacità. Dal punto di vista architettonico si è ricostruito senza esagerare in altezza e lasciando spazio a piante e alberi. Si vedono anche pannelli solari. Ce ne sono di più nel solo cantone di Kobane, sia alberi che pannelli, che in tutto l’Iraq del Nord. Poco lontano da Kobane, a una decina di km sulle rive dell’Eufrate, “l’Ocalan garden”. Dal 1979 al 1988, uscito dalla Turchia dopo che lui e il suo partito, il Pkk, vengono messi fuori legge dal governo di militari che hanno preso il potere, vive in questo luogo magico dove pianta un albero al giorno e costruisce una grande biblioteca. Oggi qui c’è un bosco nato attorno a questo rifugio di libri. In tanti ci vengono a trascorrere le giornate di festa o solo a gustarsi il tramonto.
MA LA COSA che più colpisce del Rojava è il sistema scolastico. Il numero di orfani è elevato. A questi bambini viene garantito un luogo molto accogliente dove vivere, lo studio in luoghi ottimamente organizzati, personale preparato non solo alla didattica. Minori che hanno subito choc tremendi, ma che non si abbandonano. In ogni città c’è un luogo per loro anche se la maggior parte vengono ricollocati in nuove famiglie. Oltre alle materie scolastiche tradizionali si studia musica, canto, si fa teatro e non mancano le discipline sportive. Attività che si fanno senza dividere chi ha e da chi non ha una famiglia di provenienza.
L’idea di una società paritaria, laica e libertaria che coinvolge persone e comunità, che vede i municipi al centro dell’azione politica, al di là delle teorie dimostra nella vita pratica di poter essere applicato davvero. Nonostante droni e bombe. Che sia questo che spaventa chi il Rojava lo circonda.