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Sindrome siriana Il nuovo leader di Damasco lascia però intendere di non voler attaccare Israele. In Giordania si discute il «processo di transizione»

Un veicolo israeliano si muove lungo una strada verso il lato siriano del confine tra Israele e Siria nelle alture del Golan annesse da Israele foto Atef Safadi/Ansa Un veicolo israeliano si muove lungo una strada verso il lato siriano del confine tra Israele e Siria

«Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno oltrepassato la linea rossa in Siria e rischiano di provocare un’escalation ingiustificata delle tensioni nella regione», ha dichiarato in un’intervista al canale tv siriano al Julani, leader del gruppo islamista Tahrir al-Sham.

Dal momento della caduta del regime di Assad, Israele, approfittando del vuoto di potere a Damasco, ha avviato un’incessante campagna di bombardamenti sui siti militari della Siria. Secondo alcune fonti, fino a ieri 400 obiettivi sono stati colpiti dall’aviazione israeliana. Tel Aviv ha anche schierato unità militari nella zona cuscinetto lungo le alture del Golan, che separano la Siria da Israele, contravvenendo all’accordo di cessate il fuoco mediato dalle Nazioni unite nel 1974. Nel mirino israeliano è finito anche tutto ciò che potrebbe avere un minimo uso militare: istituti scientifici, laboratori, aeroporti, ecc.

AHMED AL-SHARAA, noto fino a pochi giorni fa con il nome di battaglia Mohammad al-Julani e considerato uno dei terroristi più pericolosi precedentemente affiliati ad al-Qaeda, dopo la presa di Damasco sembra essere entrato in una fase di moderazione e ragionevolezza, che potrebbe dipendere dalla convenienza del momento.
Senza menzionare esplicitamente Israele, al-Sharaa lascia intendere che sotto la sua guida la Siria non attaccherà lo Stato ebraico. Afferma che in questa fase Damasco non verrà trascinata in conflitti che potrebbero portare a ulteriore distruzione, sottolineando che la ricostruzione e la stabilità sono le priorità principali. Apre verso l’Occidente: «Siamo in contatto con le ambasciate occidentali e stiamo discutendo con la Gran Bretagna per ripristinare la sua rappresentanza a Damasco».

PARLA ANCHE dei due paesi sostenitori del deposto presidente Assad: «La Russia avrà l’opportunità di rivalutare le sue relazioni con il popolo siriano. L’Iran ha rappresentato un pericolo per la Siria, tuttavia non consideriamo il popolo iraniano come nostro nemico».

I paesi arabi, dopo aver passato momenti duri con la Siria sotto il dominio di Assad, si sono riuniti ieri in Giordania a sostegno di un «processo di transizione inclusivo», in cui siano rappresentate tutte le forze politiche e sociali siriane. Il documento finale sottolinea che «questa fase delicata richiede un dialogo nazionale globale e la solidarietà del popolo siriano con tutte le sue componenti. Costruire una Siria libera, sicura, stabile e unita che il popolo siriano merita dopo molti anni di sofferenze e sacrifici».

DELLO STESSO TENORE è anche l’affermazione di Antony Blinken, intervenuto dopo l’incontro con i ministri degli Esteri delle nazioni arabe e della Turchia in Giordania. Blinken ha affermato che l’accordo di oggi chiede un governo inclusivo che rispetti i diritti delle minoranze e non offra «una base per gruppi terroristici». «L’accordo invia un messaggio unificato alla nuova autorità ad interim e alle parti in Siria sui principi cruciali per garantire il sostegno e il riconoscimento tanto necessari», ha concluso.
È evidente che la nuova Siria ha bisogno di una mole di investimenti per la ricostruzione del paese. E i probabili investitori sembra stiano ponendo le loro condizioni alla nuova amministrazione siriana. Occorre vedere come i conquistatori di Damasco intendono seguire una riconciliazione nazionale.

Nel frattempo, la Russia sta ritirando il suo esercito dalle linee del fronte nel nord della Siria e dagli avamposti sui Monti Alawiti, ma è altamente improbabile che abbandoni le sue due basi principali nel Paese. Mentre la Turchia sta cercando di trarre rapidamente vantaggio dal momento per regolare diversi conti in Siria, il gruppo principale nel mirino di Ankara sono le Forze Democratiche Siriane (Sdf), formate nel 2015 con il sostegno degli Stati uniti. Si sono registrati scontri tra l’Esercito nazionale siriano (Sna), sostenuto da Istanbul e le Sdf nel nord-est del paese, tra la città di Manbij e la città di Kobane. Molti civili e combattenti sono stati uccisi nelle ultime due settimane nella regione autonoma della Siria settentrionale e orientale, ma il numero esatto di morti e feriti non è chiaro.

SI REGISTRANO anche scontri in varie parti del paese. Nella provincia di Lattakia, violenti scontri sono scoppiati tra i sostenitori dell’ex regime e i membri della Tahrir Al-Sham, con 15 persone uccise.
Il Paese cerca di tornare rapidamente alla normalità e di restaurare almeno la sua economia di sopravvivenza. Negli ultimi due giorni, la lira siriana si è rafforzata di almeno il 20% rispetto al dollaro statunitense, a seguito dell’afflusso di siriani da Libano e Giordania e della fine dei rigidi controlli sul commercio di valute estere.