È un bilancio positivo quello tratto dal gruppo faentino del Comitato per il sì al referendum per l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata: oltre 800 firme raccolte in 19 tavoli organizzati nella città di Faenza, in poco più di un mese di mobilitazione, per di più fra luglio ed agosto. Adesioni che si sommano a quelle raccolte digitalmente on line, attraverso il sito del Ministero della Giustizia, che alla data del 24 agosto erano già mezzo milione, superando la soglia necessaria per l’indizione del referendum.
“Siamo molto soddisfatti della risposta ottenuta in questo primo mese di attività e proseguiamo l’impegno per dimostrare che la cittadinanza è sensibile a questa tematica” – dichiara Antonella Baccarini, Presidente del Comitato di Faenza per la difesa e la valorizzazione della Costituzione e coordinatrice della raccolta firme in città – “Faenza sta facendo sentire il proprio supporto, contro la legge per l’autonomia differenziata delle Regioni, la cosiddetta Legge Calderoli. Una legge che rischia di spaccare il paese, consentendo alle singole Regioni di legiferare autonomamente su nuove materie come l’istruzione, la sanità, la tutela del lavoro e i trasporti, frammentando ancora di più l’Italia, senza garantire a nessuno maggiori diritti”.
“Il nostro ringraziamento va alle cittadine e ai cittadini che hanno deciso di firmare per la richiesta di referendum abrogativo, e agli amministratori comunali, ai tanti volontari coinvolti e agli avvocati e ai dipendenti comunali che hanno autenticato le firme. Oltre al prezioso impegno delle sezioni locali dei partiti e dei sindacati firmatari, al nostro coordinamento locale aderiscono infatti anche associazioni e realtà del territorio come Legambiente Lamone Faenza, Fronte Comune, il circolo ARCI Prometeo e le ACLI. Grazie alla disponibilità di questo ampio Comitato promotore, nelle prossime settimane intensificheremo la nostra presenza durante Argillà Italia, con due banchetti, e proseguiremo con il gazebo il sabato mattina al mercato cittadino. I cittadini sono invitati a venire a trovarci, quale opportunità di informazione, approfondimento e confronto”.
Diverse ancora le possibilità per sottoscrivere fisicamente il quesito referendario, in concomitanza con la manifestazione dedicata alla ceramica: venerdì 30, sabato 31 e domenica 1 settembre, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 18.00, sia in Piazza della Legna (angolo fra via Severoli e Corso Matteotti), sia in viale Baccarini (angolo con viale delle Ceramiche). Confermati inoltre i banchetti di sabato 7 e 14, dalle 9.00 alle 12.00, presso Piazza del Popolo.
Il referendum per l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata è stato presentato da 34 sigle, fra cui i principali partiti di opposizione al governo Meloni (PD, M5S, Sinistra Italiana, Verdi, +Europa, Italia Viva, PSI), sindacati (CGIL e UIL) e associazioni di volontariato (ARCI, Legambiente, ACLI, WWF, Libera). Oltre che fisicamente presso i tavoli del Comitato promotore, è possibile firmare presso l’Ufficio Elettorale del Comune di Faenza durante gli orari di apertura, e digitalmente on line sulla piattaforma del Ministero della Giustizia, tramite l’utilizzo di credenziali SPID o CIE.
“Il Referendum è il primo passo, il secondo, altrettanto impegnativo, è portare al voto gli italiani e questo è possibile solo con un’ampia e veritiera informazione che al momento è completamente assente nei media”
Nella foto: Una manifestazione studentesca di fronte al palazzo del Parlamento di Giacarta in Indonesia @Adi Weda, Ansa Oggi un Lunedì Rosso in bilico tra movimento e stasi. Si muovono gli attivisti della sinistra francese mentre sembra in stallo il processo di nomina di un nuovo governo del paese. il manifesto è stato al raduno estivo del movimento politico radicale La France Insoumise e ne racconta l’organizzazione e le istanze. Dovrebbe muoversi e invece resta fermo, il movimento pacifista tedesco. Sono le riflessioni dell’editorialista del Süddeutsche Zeitung, pubblicate sul nostro giornale, che si interroga sul silenzio della società, in Germania e in Europa, di fronte a un processo sfrenato di riarmo che investe tutto il vecchio continente. Sta per passare dalla stasi al movimento invece il mondo della scuola, con la riapertura ormai alle porte. Se l’impianto valoriale sembra già ben definito, patria, disciplina e made in Italy, la qualità dell’insegnamento rischia di essere inficiata dal precariato a livelli record. Per iscriverti gratuitamente a tutte le newsletter del manifesto vai sul tuo profilo e gestisci le iscrizioni. https://mail.google.com/mail/u/0/#inbox/FMfcgzQVzNvVHBVqDBvdbVLbZJvHBvrN
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Ius scholae. Altissima tensione tra i due vicepremier. A settembre possibile blitz delle opposizioni con gli emendamenti al ddl sicurezza alla Camera. Il generale: ritiro la querela a Bersani se mi chiede scusa. L'ex leader dem: prima si scusi con i gay e tutti i presunti "anormali"
Matteo Salvini e Antonio Tajani - Ansa
La battaglia d’agosto di Forza Italia sullo ius scholae potrebbe trovare presto un primo bando di prova. Non c’è bisogno infatti di aspettare la calendarizzazione dei disegni di legge ad hoc in commissione, un varco si può aprire già il 10 settembre quando l’aula della Camera affronterà il contestato ddl sicurezza, che prevede la stretta sulla cannabis light, il carcere per chi blocca una strada o una ferrovia per protestare contro un’opera pubblica.
A segnalare questa opportunità è Enrico Costa di Azione, che segnala come all’articolo 9 del ddl approvato in commissione a Montecitorio prima della pausa estiva siano previste modifiche alla legge sulla cittadinanza del 1992 (per estendere la possibilità dir evoca i condannati per gravi reati. «Ciò rende ammissibili eventuali altri emendamenti sullo stesso argomento. Se scritte bene tecnicamente, con i giusti agganci al testo, sarebbero ammissibili proposte volte a introdurre lo ius scholae», spiega Costa, che non si fa troppe illusioni: «Prevedo che Lega e Fdi chiederanno al presidente Fontana di dichiarare inammissibili gli emendamenti, in caso contrario il governo darà parere negativo e comunque la maggioranza non si spaccherà. Si metteranno d’accordo sostenendo che il ddl sicurezza non è la sede idonea e che andrà fatta una riforma organica, che ovviamente non si farà mai: un film già visto tante volte».
Per le opposizioni, in ogni caso, si apre un pertugio per andare a vedere se quello di Forza Italia è un bluff o meno. Dal dem Bonaccini è già arrivata la disponibilità a una «discussione seria», per arrivare a una legge che abbia i voti di una «maggioranza trasversale». «È una via strettissima, ma dobbiamo provarci», assicura Riccardo Magi di +Europa. Ieri Massimiliano Salini, vicepresidente del parlamento europeo di Fi, ha insistito: «Il tema dello ius scholae è dentro l’agenda politica, a prescindere dal fatto che i partiti della maggioranza lo abbiano inserito nel programma. No ad irrigidimenti: sono certo che anche le altre forze del centrodestra riconosceranno che è necessario fare i conti con questa urgenza». Licia Ronzulli prende le distanze: «Non premia in termini elettorali».
Dalla Lega si alza un muro sempre più alto. Salvini è durissimo: «Mi sono sentito con Meloni nelle ultime ore. Il nostro obiettivo non è lo ius soli ma aumentare gli stipendi», ha detto durante un comizio a Pinzolo. «Il mio obiettivo continua a essere cancellare la legge Fornero, star lì a litigare sulla cittadinanza non è utile a nessuno, tanto più se raccogli i complimenti di Bonaccini: avanti con le nostre idee non quelle degli altri. Lo ius scholae non è una priorità né per la Lega né per il governo né per il centrodestra. Per me ogni polemica è chiusa e il governo va avanti fino al 2027». Semmai, ha aggiunto, «il problema sarà togliere la cittadinanza a qualcuno che l’ha presa e va in giro per l’Italia a fare casino».
Tajani però insiste. «Il problema è che Salvini ha paura di Vannacci, Meloni ha paura di Salvini ed è circondata da gente che la pensa come Vannacci», ha confidato al Giornale. «E così alla fine nel centrodestra comanda il generale..». Un modo per dire che lo ius scholae è solo la prima tappa di un riposizionamento di Fi più lontano dai sovranisti. Quanto a Vannacci, ieri nuova puntata della polemica con Bersani. Se il generale gli ha chiesto pubbliche scuse (per averlo definito «un coglione») in cambio del ritiro della querela, l’ex leader Pd ha replicato: «Quando lui avrà chiesto scusa a ebrei, femministe, omosessuali, neri e a tutti gli ‘”anormali” del mondo avrà anche le mie scuse»
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C’è uno spettro che si aggira nell’anfiteatro strapieno dove Lucie Castets sta per intervenire davanti al popolo insoumis per la prima volta da candidata del Nuovo fronte popolare (Nfp): davvero Jean-Luc Mélenchon è disposto a sostenere un governo delle sinistre senza la partecipazione diretta della sua forza politica?
Un paio d’ore prima – a pochi metri da qui sempre nell’ambito di Amfis, l’università estiva del partito – il «tribuno» è andato in diretta tv su Tf1 e ha lanciato una sfida a macronisti e destra. Ha chiesto loro se si impegnerebbero a non votare la sfiducia di un esecutivo guidato da Castets senza ministri della France Insoumise (Lfi), permettendo così di applicare il programma del Nfp.
La dichiarazione è stata immediatamente rilanciata dagli altri leader della coalizione – Olivier Faure per i socialisti, Marine Tondellier per i verdi e Fabien Roussel per i comunisti – che hanno attaccato il campo presidenziale: il pretesto della presenza degli insoumis non c’è più, attendiamo la risposta di chi vuole sbarrare a ogni costo la strada al Nfp, Macron è davanti alle sue responsabilità. Le parole di Mélenchon hanno colto di sorpresa molti dirigenti e militanti insoumis, che infatti hanno espresso opinioni divergenti sulla proposta.
IL DUBBIO SE SIA una mossa per far scoprire le carte agli avversari o un’offerta concreta resta. Non viene chiarito neanche durante l’evento con Castets: con maestria la questione è nominata ma senza approfondirla. A condurre c’è Manon Aubry, eurodeputata Lfi e presidente del gruppo della Sinistra europea a Strasburgo. Vestita rosso fuoco, si comporta da mattatrice: per la determinazione con cui mette i concetti sul tavolo, anche quelli controversi, ma soprattutto per il modo di coinvolgere la platea.
Questo non è solo un comizio di Castets, è il modo di saldare un legame tra la candidata del Fronte e gli insoumis. Da un lato facendo conoscere meglio l’attuale direttrice delle finanze del Comune di Parigi ai militanti: vengo da una famiglia di sinistra ma «non tutta di funzionari statali», dice lei. «Da piccola volevo fare il pompiere, non conoscevo Sciences Politiques, né l’École nationale d’administration», aggiunge quasi a giustificare di aver seguito il percorso formativo della classe dirigente francese.
Dall’altro lato, però, l’evento serve anche a vincolare Castets a un patto di fiducia con la base della sinistra radicale. Facendole sentire il calore di cui è capace, quando Aubry invita il pubblico ad alzarsi e scandire il suo nome, e chiamandola a rispondere a una delle domande anonime che arrivano su dei foglietti di carta, non si sa quanto casualmente, che dice: «Possiamo contare su di te?». La risposta è scontata.
MENO SCONTATA è la nettezza con cui Castets racconta di aver affrontato il presidente della Repubblica Macron nell’incontro con i partiti dell’altro ieri. «Gli ho ricordato che 34 dei suoi deputati sono stati eletti grazie alla desistenza nei collegi del Nfp. Gli ho detto che il nostro metodo è la fedeltà al programma con cui ci siamo presentati agli elettori. Gli ho spiegato che il suo disprezzo brutale verso l’esito del voto, il parlamento e i corpi intermedi fa il gioco dell’estrema destra». Piovono applausi.
Castets dice chiaramente che non esistono ipotesi di coalizioni di governo più larghe del Nfp: sinistra, centro e destra non sono uguali; vogliamo ristabilire la «divisione ideologica» tra gli schieramenti perché abbiamo obiettivi diversi. Parla di quella «divisione» che in altri paesi si è persa con i governi tecnici, di grande coalizione o con l’adesione del centro-sinistra all’agenda neoliberale. La candidata promette che l’allargamento alle altre forze politiche sarà cercato sui temi, sulle proposte di legge. «Chi non vuole il ritiro della riforma delle pensioni? Chi non è d’accordo ad aumentare i salari di infermieri e insegnanti? Chi è contrario a tassare i super ricchi? Vogliamo chiederlo ai parlamentari. Qualcuno voterà con noi, gli altri ne risponderanno davanti agli elettori».
È questo il cuore della strategia del Fronte per governare in minoranza: scoprire le carte degli avversari su provvedimenti che hanno un consenso sociale molto ampio. Il «programma di rottura» è anche lo strumento con cui contano di togliere terreno all’estrema destra. Ed è quello che le altre forze politiche non possono accettare.
Il primo a rispondere a Mélenchon è Bruno Retailleau, capo dei senatori dei Repubblicani, che dichiara: «Per noi è no ai ministri Lfi e no a un programma ispirato da Lfi». Nel campo macronista, per ora, tutto tace. «Rifiuteranno, noi siamo il pretesto, il loro problema è il programma», dichiara l’importante deputato insoumis Éric Coquerel che, interrogato dal manifesto, non chiarisce cosa farebbe il suo partito se il campo presidenziale accettasse davvero di non votare la sfiducia a un governo senza melenchoniani.
INTANTO LA MOSSA del leader della sinistra radicale è quasi uno scacco matto per le correnti minoritarie del Partito socialista che vorrebbero rompere il Fronte e allearsi con il centro: farlo adesso significherebbe tradire esplicitamente il programma, senza scuse sulla presunta «irresponsabilità» della France insoumise
«Avevo i capelli lunghi e bellissimi. Mi piaceva pettinarli ogni giorno prima di andare a scuola, ero la più brava ad acconciarli, in tanti modi diversi». Sama Tabil ha otto anni e vive in una tenda a Gaza.
I SUOI FOLTI capelli neri non ci sono più: li ha persi per lo choc, il terrore di morire e la fuga tra cadaveri e sangue. Un bombardamento israeliano ha centrato l’accampamento in cui la famiglia si era rifugiata a Rafah. Sembrava non finire mai, dice Sama.
Nei giorni successivi i capelli hanno iniziato a cadere. Il trauma perdurante vissuto dai bambini di Gaza è difficile da capire, lo si può solo immaginare. Ieri l’Unicef ha aggiornato il numero dei minori rimasti completamente soli, senza più familiari sopravvissuti: sono 19mila. Sedicimila, almeno, sono quelli uccisi.
C’erano dei bambini anche nella casa della famiglia Kalakh, colpita da un raid israeliano a Khan Younis. Era rimasta in piedi per dieci mesi. Le vittime sono undici, i feriti quindici. Ieri, nelle poche ore che separano l’alba e la tarda mattinata, a Gaza erano stati ammazzati già trenta palestinesi, a Khan Younis, Abu Areef, Nuseirat, Bureij, Deir al-Balah.
Nelle 24 ore precedenti ne erano stati uccisi 69. Dal 7 ottobre sono 40.334 i morti accertati, a cui si aggiungono 93.400 feriti e 10mila dispersi (un numero che sale e scende, via via che nuovi cadaveri vengono identificati e che altri scompaiono sotto le macerie).
A DEIR AL-BALAH, intanto, prosegue la nuova avanzata via terra dell’esercito israeliano: bombardamenti e ordini di evacuazione comunicati dall’account X del portavoce dell’esercito Avichay Adraee. Secondo i dati resi noti dall’Onu, nelle ultime 48 ore da Deir al-Balah sono fuggite 100mila persone.
Il territorio di Gaza che non è sotto ordine israeliano di evacuazione è un fazzoletto: appena il 15% della Striscia a disposizione, e non è detto che sia sinonimo di sicurezza.
«Ogni pezzo di terra intorno a Deir al-Balah è pieno di gente – riporta il giornalista di al Jazeera Hani Mahmoud – Gli ordini generano il panico…Il timore è che il numero di aree che possono diventare target dell’esercito israeliano aumentino ancora. Sempre più isolati sono parti della “zona rossa” e alla gente non viene dato abbastanza tempo per scappare…Il cielo della città è pieno di quadricotteri, droni di sorveglianza, caccia».
Ordini simili anche per Hamad, a sud, a Khan Younis. Secondo i dati raccolti dall’Ap, in un mese – dal 22 luglio a ieri – le autorità militari hanno emesso tredici ordini di evacuazione, un
Leggi tutto: Gaza tra stragi e fughe. Hamas va al Cairo - di Chiara Cruciati
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Matteo Salvini e Antonio Tajani - Ansa
Video di Berlusconi a favore dello ius scholae pubblicati dai forzisti contro i video dello stesso Cavaliere contro la riforma della cittadinanza postati dai leghisti. Valanghe di comunicati dei due partiti presunti alleati l’un contro l’altro armati.
SE DI MEZZO NON CI FOSSE un tema molto serio, la cittadinanza per i minori figli di immigrati, ci si potrebbe divertire osservando questa rissa estiva nel centrodestra. Con gli uomini di Tajani pronti a scovare negli archivi frammenti di buon senso del programma del centrodestra 2022 come l’impegno a «favorire l’inclusione sociale e lavorativa degli immigrati regolari. Quanto al defunto Berlusconi, dicono i suoi eredi, «lui era favorevole a concedere la cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia che avessero completato la scuola dell’obbligo». E arriva il video postato su X con il “vero” Cavaliere.
UN CRESCENDO di polemiche con la Lega che spinge il vicesegretario Andrea Crippa, ombra di Salvini, a chiedersi: «Gli elettori hanno votato Tajani e i suoi per governare con il centrodestra unito o per portare avanti i programmi del Pd e dei comunisti?». Più prudente il capogruppo di Fdi Tommaso Foti, che dà voce alle inquietudini di Meloni sull’impazzimento estivo degli azzurri: «È legittimo che un partito possa sottolineare una proposta che non è nel programma elettorale della maggioranza, né di FdI, né della Lega e nemmeno di FI, ma davvero è così urgente questa riforma?».
DOMANDA LECITA, a cui la premier ancora non ha trovato risposte. Il ministro cognato Francesco Lollobrigida entra nella partita a suo modo: «Durante l’Impero romano non si diventava cittadini romani d’emblée, ma per amore, per quello che rappresentava Roma all’epoca», la premessa per dire che le regole attuali vanno più che bene. E aggiunge: «Anche chi non crede deve sapere che il cristianesimo è alla base di quello che noi siamo». Anche il moderato governatore Zaia segue la linea leghista: «Noi siamo per lo ius sanguiinis: se sei discendente di cittadini italiani, sei italiano. Perché la cittadinanza va meritata, non è un pezzo di carta che non vale niente». «Non penso che lo ius scholae serva ad integrare», gli fa eco il collega Massimiliano Fedriga.
MENTRE LA LEGA con Massimiliano Romeo evoca il rischio di «minare seriamente la stabilità del governo», da Forza Italia si sbracciano a rassicurare che nessuno, tra loro, medita di sgambettare Meloni. «Non c’è e non ci sarà alcuna instabilità. L’esecutivo è solidissimo e gode di ottima salute», assicura il portavoce di Fi Raffaele Nevi, ricordando però che il suo partito «esprimerà le sue idee e si confronterà con gli alleati e nelle aule parlamentari. Nessuno si senta offeso. E soprattutto nessuno offenda a sproposito». La minisrtra dell’università di Fi Anna Meria Bernini rincara: «Noi abbiamo tanto ascoltato e quindi adesso siamo felici di poter essere ascoltati su un tema che per noi è sempre stato cruciale».
LE OPPOSIZIONI NON STANNO a guardare. Il ruolo dell’incursore se lo prende Stefano Bonaccini:«Ho molto apprezzato le parole di Tajani», dice dal Meeting di Rimini. «Se Fi vorrà fare sul serio, come spero, ci può essere una maggioranza persino parlamentare, trasversale che sul tema dello ius scholae può trovare una ragione per trovarsi d’accordo. Se quelle parole sono un’apertura vera, ci si mette a sedere e noi del Pd siamo pronti a discutere immediatamente». Guai però se qualcuno volesse fare dei «tatticismi sulla pelle di bambini e bambine, che nascono qui e non possono mai sentirsi italiani».
Prudente Riccardo Magi di + Europa: «Non credo che Forza Italia sia pronta a votare insieme alle opposizioni una vera riforma della cittadinanza. C’è solo un modo per cambiare le cose ed è il referendum su cui stiamo lavorando». «Chiederemo la calendarizzazione della mia proposta di legge», dice Vittoria Baldino dei 5S. «Se l’apertura di Fi non è balneare o opportunistica, i numeri per approvarla ci sono»
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