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La presidente Rossella Miccio: “Invitiamo tutti, al di là delle appartenenze politiche, a partecipare alla manifestazione per la pace del 5 novembre”

 Foto: Daniel Ceng Shou-Yi/Avalon/Sintesi

“Abbiamo sentito con forza la necessità di tornare in piazza contro la guerra tra Russia e Ucraina”. Rossella Miccio, presidente di Emergency, una delle tante associazioni che hanno promosso la manifestazione per la pace del prossimo 5 novembre, parla con pacatezza ma senza nascondere un sentimento di allarme. Ed enumera le molte ragioni che riporteranno sulle strade di Roma il movimento che si raccoglie attorno alla rete di Europe for peace: “L'escalation delle ultime settimane, la minaccia di ricorrere alle armi nucleari, l’allargamento ad altri Paesi del conflitto, il fatto che sono passati nove mesi e nulla è cambiato, nulla è migliorato. Al contrario, la strategia adottata finora da Usa ed Europa, impegnate quasi esclusivamente nel supporto finanziario e nell’invio di armi all'Ucraina, oltre che nell’aiuto ai profughi, non ha reso il conflitto meno duro o meno breve. Non si vedono proposte all'orizzonte. Dunque è importante far sentire la voce delle tantissime persone che,

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INTERVISTA. Michele Governatori del think tank Ecco: «I consumi sono così in discesa che, passati pochi inverni, il problema sarà superato per sempre»

Gas Foto Stock, Gas Immagini | Depositphotos

Il mondo si è già messo alle spalle il gas, cioè il metano, in termini di investimenti e di prospettive. L’IEA nel suo ultimo rapporto usa un termine abbastanza radicale, prefigura per la prima volta di picco (peak) della domanda del gas che si sta verificando ora, in questo decennio. Stiamo parlando del picco della crescita, lo useremo ancora per anni, ma è una fonte in progressiva dismissione”. Per Michele Governatori, responsabile energia elettrica e gas di Ecco, un centro studi italiano per il clima e l’energia, l’IEA decreta la fine dell’età d’oro del gas e prende atto di quanto la tecnologia e l’innovazione delle fonti rinnovabili stiano spostando gli investimenti più velocemente di quanto potessimo immaginare, anche a causa della crisi energetica che stiamo attraversando.

Le previsioni contenute nel World Energy Outlook 2022 non vanno in direzione opposta alle politiche annunciate dal nuovo governo che, in continuità con quello precedente, è sempre orientato a nuovi rigassificatori, a nuove trivellazioni del gas italiano, al nucleare?

Decisamente sì. Diciamo subito che per quest’inverno i nuovi rigassificatori non faranno in tempo ad arrivare, ce la dovremo fare con le infrastrutture esistenti, mentre sarà dall’inverno 2023-24, come prevedeva Cingolani, che potremo avvalerci di queste forniture aggiuntive. Però, si sappia che è un investimento colossale che sarà prestissimo ridondante. Avrebbe molto più senso gestire questa fase di scarsità di gas tirando la cinghia con azioni straordinarie di contenimento dei consumi per i prossimi due inverni, oltre naturalmente ad accelerare sulle fonti rinnovabili, tenendo conto che i consumi di gas sono così in discesa che, passati pochi inverni, il problema sarà superato per sempre. L’industria ha diminuito i consumi di gas del 20% negli ultimi mesi rispetto agli stessi mesi del 2021, il residenziale del 10%: gli shock petroliferi ci hanno insegnato che una parte delle riduzioni dei consumi poi diventano permanenti. IEA dice chiaramente che le forniture del gas russo vanno sostituite con investimenti di breve respiro e coerenti con gli scenari di decarbonizzazione. Un esempio chiaro è l’indicazione di investire per ridurre le perdite di idrocarburi, in particolare di gas, nei siti di estrazione e di distribuzione.

Meloni ha annunciato nuovi sussidi per contenere il caro-energia. Come andrebbero configurati?

Per come sono stati concepiti dal governo Draghi, i sussidi alle bollette, per cui sono stati stanziati 50/60 miliardi, non hanno posto limiti né ai consumi né al tipo di energia, quindi in nessun mondo hanno incentivato il risparmio energetico né le fonti rinnovabili. L’IVA al 5% sul gas cos’è se non un ulteriore incentivo alle fonti fossili? Io credo invece che i sussidi alle bollette dovrebbero essere selettivi, mirati a contrastare la povertà energetica e ad aiutare alcuni settori produttivi particolarmente energivori, e commisurati a tetti massimi di consumi, come anche l’UE comincia a sostenere.

Non andrebbe rivisto anche il capacity market (il meccanismo che incentiva la capacità di produzione flessibile per sostenere la produzione delle rinnovabili intermittenti) che sembra disegnato più per sostenere nuovi impianti a gas che non sistemi di stoccaggio di energia?

In effetti, per come è disegnato oggi, del capacity market si avvantaggiano maggiormente le nuove centrali a gas che possono ottenere per 15 anni un canone molto generoso. Quindi, se verrà rinnovato oltre il 2024, alla luce di quello che sta succedendo, dal capacity market dovrebbero essere esclusi proprio gli impianti a gas nuovi. In Italia ce ne sono già così tanti che non corriamo il pericolo di blackout, purché non chiudano tutti insieme. Come dice la IEA, i residui investimenti nel gas devono essere emergenziali e chirurgici.

Resta il dubbio se la filiera delle fonti rinnovabili riuscirà a rifornirsi delle terre rare di cui ha bisogno per il suo sviluppo.

Nel rapporto IEA ho letto elementi di ottimismo in questo senso. Trovo che la paura sulla reperibilità delle terre rare sia abbastanza ricorrente, ma anche ingenua. Quando parte una tecnologia nuova è abbastanza evidente che le capacità produttive siano insufficienti. Poi il mondo produttivo si attrezza facendo investimenti, trovando nuove terre rare o sistemi per sostituirle, mettendo in sicurezza le tecnologie con cui vengono prodotte quelle già reperite. Idem per i sistemi di riciclo di batterie o dei pannelli fotovoltaici. È normale che parta prima la filiera del nuovo e poi quella del riciclo.

Nel report della IEA si fa riferimento più volte anche al ruolo del nucleare tra le cosiddette energie pulite o “a basse emissioni di carbonio”. Ha ancora senso investire nel nucleare?

In più report dell’IEA viene messo in evidenza che il nucleare è conveniente per chi ce l’ha già, se riesce a prolungarne la vita. Il nuovo invece costa tantissimo, molto più delle rinnovabili. Quindi pensare a costruire nuovi impianti di energia nucleare in Italia non è credibile, a meno che paghi lo Stato. Ma con uno sforamento di bilancio da 10 miliardi a impianto, voglio proprio vedere. L’Enel stessa non crede che sia oggi un’opzione conveniente.

Quale messaggio manderebbe a Giorgia Meloni in partenza per Cop 27?

A Meloni ricorderei che fare le politiche per le fonti rinnovabili oggi è necessario non solo per il clima o per sentirsi europei, ma soprattutto perché, se le trascuriamo, l’Italia rischia di essere tagliata fuori dall’economia mondiale nel giro di pochi anni. Questo lo possiamo affermare alla luce del rapporto IEA e di molti altri dati sugli investimenti green oggi nel mondo. Prendiamo ad esempio l’India, che sta installando 8 GW di rinnovabili all’anno, molto più di noi. O pensiamo al fatto che la Cina si sta attrezzando a diventare per la prima volta un grande esportatore di veicoli (elettrici) nel mondo. Meloni deve cambiare passo e alla Cop 27 sostenere che l’Italia vuole essere all’avanguardia negli investimenti del nuovo mondo dell’energia anche per continuare ad avere un ruolo manifatturiero importante.

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L’introduzione nel codice penale del nuovo art. 434 bis che punisce le occupazioni abusive finalizzate ai raduni illegali, raccontato come “reato di rave party”, oltre a reprimere qualsiasi manifestazione di dissenso, contiene addirittura sanzioni più pesanti del Testo unico del 1931

Il primo atto del governo Meloni è quanto di più simbolico e certificativo di quel filo nero che lo lega ad un passato che non passa mai.
Viene introdotto nel codice penale il nuovo art. 434 bis che punisce le occupazioni abusive finalizzate ai raduni illegali: con una vera e propria truffa delle etichette raccontato in conferenza stampa dal trio Meloni, Piantedosi, Nordio come reato di rave-party.

Chi invade terreni o edifici, pubblici o privati, per svolgervi raduni ritenuti discrezionalmente dall’Autorità pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica, con un numero di persone superiore a cinquanta, sarà punito con la reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000.
Questo provvedimento è l’impronta di un governo di estrema destra, liberticida, nostalgico, reazionario e illiberale.
Sotto il regime fascista, il regio decreto del 1926 sulla pubblica sicurezza, già puniva le pubbliche riunioni non preavvisate alle autorità, ma solo con l’arresto non inferiore a 1 mese e con un’ammenda.

Venendo a tempi più recenti in cui, sotto la luce dei principi costituzionali in materia penale, il legislatore ha raggiunto una maggiore consapevolezza sull’uso (e sull’abuso) dello strumento penale, dal 14/01/2000 è stato depenalizzato l’art. 654 del codice penale, che puniva le manifestazioni sediziose con l’arresto fino a un anno.
Oggi, chi vuole organizzare una riunione in luogo pubblico, ai sensi dell’art. 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (il famoso Tulps  del 1931, tuttora vigente) deve darne avviso, almeno tre giorni prima, al questore.
I contravventori sono puniti con l’arresto fino a 6 mesi e con un’ammenda.
Il questore, nel caso di omesso avviso ovvero per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica, può già impedire che la riunione abbia luogo e può, per le stesse ragioni, prescrivere modalità di tempo e di luogo alla riunione.
I contravventori al divieto o alle prescrizioni dell’Autorità sono puniti con l’arresto fino a un anno e con un’ammenda.

Inoltre, esiste già, nel codice penale, il reato di invasione di edifici (art. 633) che punisce con la reclusione da uno a tre anni chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati.
La pena è aumentata da 2 a 4 anni se, come avvenuto a Modena, il fatto è commesso da più di cinque persone.
È doveroso chiedersi, allora, visto che l’invasione di edifici e le riunioni non preavvisate alle autorità di pubblica sicurezza sono già sanzionate penalmente e in modo pesante (gli organizzatori del rave di Modena rischiano da 2 a 4 anni di reclusione avendo occupato, in numero certamente superiore a 5, senza titolo, una proprietà privata) perché il governo abbia sentito la necessità di introdurre un nuovo reato.

Ecco svelata la truffa delle etichette:
la verità è che non era affatto necessaria una nuova norma incriminatrice (di condotte che sono già vietate e pesantemente sanzionate dalla legge) ma il rave-party di Modena è stato solo il pretesto per una violenta manganellata al diritto di riunione e di libera manifestazione del pensiero.
La norma è indeterminata al punto che, finché la Corte Costituzionale non ne dichiarerà l’illegittimità, finirà per essere usata per reprimere ogni manifestazione organizzata del dissenso: dalle università alle piazze, dalle scuole alle fabbriche.
Si tratta di una norma che punisce, per esempio, il diritto di manifestare degli studenti nelle scuole (le cd. occupazioni) e il diritto dei lavoratori di scioperare e manifestare occupando le fabbriche. A ben vedere il governo, col trattamento sanzionatorio, va persino oltre il testo unico di epoca fascista.
Si può affermare che “il presidente” Meloni ha finalmente preso le distanze dal fascismo, ma superandolo a destra.

L’autore: Andrea Maestri è avvocato, ex deputato e membro Commissione Giustizia della Camera

Nella foto: La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno
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Una campagna non violenta per iniziare a costruire la pace. Per cessare il fuoco bisogna non sparare. Verso la manifestazione del 5 novembre a Roma

 

La campagna di “Obiezione alla guerra” è stata lanciata dal movimento nonviolento subito dopo il 24 febbraio, all’indomani dell’attacco russo all’Ucraina: una dichiarazione di sostegno concreto agli obiettori di coscienza delle due parti. Per fermare la guerra bisogna non farla. Per cessare il fuoco bisogna non sparare. Se ognuno attende che sia l’altro a iniziare per primo, si andrà avanti verso un’escalation che porta nel baratro dello scontro nucleare. Gli obiettori di coscienza sono coloro che hanno già iniziato a costruire la pace, non partecipando alla follia della guerra. È questa l’evidenza, la forza grande della verità, che ci porta a sostenere coloro che nelle due parti contrapposte fanno comunque il primo passo.

“Sono concretamente solidale con gli obiettori di coscienza, renitenti alla leva, disertori russi e ucraini; chiedo che vengano lasciati espatriare, riconoscendo loro lo status internazionale di rifugiati”. Dice così la petizione che ha già raccolto migliaia e migliaia di adesioni che saranno fisicamente consegnate al Presidente della Repubblica il 14 dicembre, al Quirinale, in occasione del convegno nazionale sui 50 anni della legge che ha riconosciuto l’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia. La Campagna “Obiezione alla guerra” chiede anche ai giovani del nostro Paese di assumersi una responsabilità personale, dichiarandosi preventivamente obiettori verso possibili future avventure militari italiane.

“Lo Stato maggiore dell’esercito italiano ha già emanato una circolare di preallarme per il personale militare che si deve considerare ‘pronto all’impiego’. Considerando che la leva obbligatoria nel nostro Paese è solo sospesa e che tale sospensione resta a discrezione del potere esecutivo di governo, dichiaro fin da questo momento la mia obiezione di coscienza. Non sono disponibile in alcun modo a nessuna ‘chiamata alle armi’. Con la Costituzione italiana ripudiamo la guerra e vogliamo ottemperare al dovere di difesa della patria con le forme di difesa non militare già riconosciute dal  nostro ordinamento. Sollecitiamo il Parlamento all’approvazione urgente della legge per l’istituzione della Difesa civile non armata e nonviolenta”. Si può aderire alla campagna a questo link.

La nostra vicinanza concreta a chi, pur dentro il conflitto, ha scelto la nonviolenza, si è manifestata anche nel corso della missione di pace messa in atto con la carovana “Stop the war now” con la quale siamo andati a Kiev. In quei giorni abbiamo lanciato ponti e incontrato organizzazioni della società civile ucraina come il Movimento pacifista ucraino, impegnato da anni per la cultura di pace e il sostegno agli obiettori di coscienza, la Nonviolence International Ukraine per la resistenza nonviolenta nei territori occupati, l’Institute for Peace and Common Ground, All Ukraine Youth Centre.

Abbiamo portato loro aiuti concreti per meglio organizzarsi e attuare la loro resistenza civile e sostenere i costruttori e le costruttrici di pace. Abbiamo incontrato i loro avvocati che impostano una difesa nel rispetto dei diritti umani fondamentali, e che chiedono all’Europa di attivarsi per garantire agli obiettori protezione e accoglienza, riconoscendoli come rifugiati politici e aprendo loro le porte.

I nonviolenti russi e ucraini sono le uniche voci delle due parti che stanno dialogando tra di loro, che creano un ponte su cui può transitare la pace, grazie al coraggio e all’impegno di chi a Kiev e Mosca, rischiando di persona, lavora per la crescita della nonviolenza organizzata.
Il documento di convocazione della manifestazione nazionale del 5 novembre a Roma, su questo punto ha parole inequivocabili: "Siamo con chi rifiuta la logica della guerra e sceglie la nonviolenza", "Le guerre e le armi puntano alla vittoria sul nemico ma non portano alla pace", "Tacciano le armi. Non esiste guerra giusta".

Siamo cioè con gli obiettori di coscienza, disertori, pacifisti, nonviolenti. La scelta da fare non è quella delle armi che puntano all’occhio per occhio, e tutto il mondo diventerà cieco, ma quella del ripudio della guerra stessa e degli strumenti che la rendono sempre più insensata e insostenibile. Gli obiettori di coscienza sono una piccola luce di speranza nell’oceano delle tenebre che ci circonda.

Mao Valpiana è Presidente del Movimento Nonviolento
Esecutivo Rete italiana Pace e Disarmo

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INTERVISTA. Il vicesegretario: l'impianto originario del partito è superato dalla storia. Va rifondato mettendo al centro lavoro e disuguaglianze. Io candidato? C’è tempo fino a gennaio, ora parliamo di idee. Il reato di rave è liberticida e incostituzionale

Giuseppe Provenzano, foto LaPresse Giuseppe Provenzano - LaPresse

Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Pd. Reato di rave, via libera ai medici no vax, rinvii sul caro bollette. Come valuta le prime mosse di Meloni?

Dal primo giorno vedo un solo pregio, quello della chiarezza. Non è centrodestra e non è nemmeno destra “sociale”. È una vecchia, vecchissima destra, che tiene insieme la stretta securitaria e il “me ne frego” sulle responsabilità sociali. Non solo non dà risposte sulle bollette, ma non si pone nemmeno le domande su come difendere salari e redditi dall’inflazione. Ad oggi, c’è solo un nuovo reato che si può applicare a qualsiasi manifestazione e si presta all’arbitrio dell’autorità pubblica, in palese violazione dell’articolo 17 della Costituzione. È allarmante e liberticida, si compie così il passaggio dallo «stato sociale» allo «stato penale».

Presentando la norma sul carcere ostativo, la premier ha ribadito pugno duro nella lotta alla mafia. Ha fiducia che sarà così?

Sull’ergastolo ostativo Meloni ha cambiato idea ma, con molta franchezza, non penso sia questo il terreno su cui rilanciare l’antimafia. C’è una domanda di mafia in interi comparti dell’economia e in pezzi della politica, come abbiamo visto alle elezioni amministrative in Sicilia. Non basta l’azione penale, per la lotta alla mafia oggi servono partiti sani e soprattutto un’economia giusta, regole sulla finanza, rispetto dei contratti, trasparenza su appalti e filiere. Il primo segnale del governo, alzare il tetto dei contanti, va nella direzione opposta. È un favore non solo agli evasori, ma al riciclaggio e alla corruzione, e dunque alle mafie.

Quale dovrebbe essere il vostro atteggiamento all’opposizione? Non rischiate di apparire un po’ fuori tono con gli stessi temi della campagna elettorale, vagamente demonizzanti?

Dovremmo smettere di dire che le parole di La Russa sul 25 aprile o le nomine di Durigon e di quel tizio che vestiva da nazista sono indegne di una Repubblica antifascista? Certo, non dobbiamo farci trascinare nella discussione sugli articoli determinativi ma portare avanti una nostra agenda sul terreno sociale, oggi il più esposto e scoperto. La priorità è alzare salari, con un fisco giusto, i contratti, il salario minimo e la lotta la precarietà. Sulla giustizia sociale e ambientale abbiamo un buon impianto di proposte, che supera errori e timidezze del passato. Ma tutto è stato percepito come “troppo poco e troppo tardi”. Ora dobbiamo dimostrare, anche dall’opposizione, di fare sul serio. Che c’è la destra e c’è la sinistra.

Il Pd si è infilato in un lungo e tortuoso percorso congressuale. Lei ha chiesto che sia una costituente vera, aperta ai non iscritti, vincolante sui contenuti. E ha ventilato l’ipotesi che alla fine convivano 3-4 partiti in uno. C’è il rischio che il Pd si sfarini da qui a marzo?

Ricordo che dalla sconfitta del 2018 all’elezione di Zingaretti passò un anno esatto, ma è ridicolo discutere di una settimana in più o in meno. Il rischio di immobilismo si supera partendo subito, non con il rodeo delle candidature, ma con una discussione vera, aperta, anche aspra, tra noi e col mondo progressista fuori di noi. Su alcuni punti fondamentali, dal lavoro all’autonomia differenziata, non ci possono essere due partiti in uno, perché così perdiamo credibilità tutti. Questi mesi saranno un’opportunità solo se ci crediamo davvero. E se saremo capaci di legare la nostra discussione al bisogno di alternativa a questa destra.

Ritiene che la spinta propulsiva di un progetto nato nel 2007, in piena euforia da globalizzazione e terza via, sia ancora attuale? O la sinistra dovrebbe risorgere in un nuovo contenitore?

Quell’impianto è superato dalla storia, da allora c’è stata una spirale di crisi epocali. Lo dico sempre che il Pd non è nato tardi, ma è nato vecchio, perché la lotta alle disuguaglianze e la battaglia per un nuovo modello di sviluppo sostenibile non erano nella sua carta d’identità. Malgrado alcuni sforzi e un programma che aveva messo a fuoco questi temi, l’accumulo delle contraddizioni maturate non solo a causa di Renzi, ma anche in troppi anni di “governo senza consenso”, hanno fatto perdere credibilità e appannato il profilo di sinistra. È qui, io credo, al di là degli errori e delle divisioni della campagna elettorale, la radice della nostra sconfitta. Ecco perché c’è bisogno di un nuovo Pd.

La sfida del M5S al Pd è molto forte: dalla guerra al reddito di cittadinanza Conte sta drenando altri voti. Qual è la risposta giusta? Crede sia ancora possibile una alleanza?

Premesso che io ho lavorato per l’alleanza fino all’ultimo, in Sicilia, anche dopo la rottura nazionale, e che proprio quella vicenda dimostra la volontà di Conte di andare da solo, penso che la risposta giusta sia nel fare la nostra parte fino in fondo. Ora c’è una competizione. E abbiamo il dovere di non regalare al M5S il patrimonio e l’ispirazione della sinistra italiana, che vive ancora, spesso fuori dai partiti. Ma in politica non ci sono vuoti. La sinistra rinasce nella questione sociale. Se lasciamo quello spazio senza un forte presidio, ad occuparlo saranno altri. E si torna sempre all’identità, tutto dipende da lì. Per me le alleanze vengono dopo.

Come dovrebbe essere il “nuovo Pd” per risultare attrattivo verso chi non ce la fa, chi si sente escluso? La vittoria di Lula cosa vi insegna?

Lula insegna soprattutto che in politica, come nella vita, è essenziale essere credibili. Lui somiglia alle cose che dice, vince anche per questo. Noi no, o comunque non abbastanza. Ci sono pezzi di gruppo dirigente che negli ultimi anni hanno sostenuto tutto e il contrario di tutto. Anche per questo perdiamo. Ma poi c’è un punto di fondo. Io penso che quell’identità vada ricercata proprio nel lavoro. Chi difende oggi il lavoro nel mondo che cambia? E chi lo promuove come strumento per migliorare il mondo? Io penso che dobbiamo diventare il Partito del lavoro, in tutte le sue forme, non solo quello dipendente. Il partito di chi vive o vuole vivere del proprio lavoro, con dignità.

Ad oggi manca un candidato o una candidata alla guida del Pd che rappresenti istanze di sinistra. Come lo spiega? Lei esclude di correre?

Le candidature si presenteranno a fine gennaio. Fin qui sono emersi molti nomi e poche idee. Le istanze di sinistra devono animare già la fase costituente. Perché se il nuovo Pd non sarà percepito come un grande partito della sinistra europea, progressista nei valori, riformista nei metodi e radicale nei contenuti, non avrà futuro

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GOVERNO. La ricchezza finanziaria e immobiliare ammonta a circa 10Mld; pari a 5 volte il Pil. Abbiamo uno Stato povero e indebitato, e una ricchezza privata smisurata e in poche mani

Senza patrimoniale si avvicinano i tagli alla spesa sociale L’opera "Newspaper Carriers (Work disgraces)" di Georg Scholz

Disuguaglianze, povertà e clima, temi cari alla sinistra, nemmeno a parlarne. Indulgenza per gli evasori, avversione verso gli immigrati. Di salario minimo neanche a parlarne. Equità fiscale e politiche redistributive non sono contemplate.

Manca uno straccio d’idea su come riparare veramente gli italiani dalla tempesta (inflazione più recessione) che ci viene addosso. Si gioca sull’ambiguità delle parole e sul travisamento della realtà.
Navighiamo a vista in un’emergenza senza precedenti, amplificata dalla guerra, con le casse dello Stato praticamente vuote e con l’Ue incerta e divisa sui provvedimenti da assumere. Non appaiono all’orizzonte provvedimenti somiglianti al Sure e al Next generation Eu. Si capisce soltanto che dal reddito di cittadinanza si passerà all’«evasione di cittadinanza» e che per le promesse elettorali bisognerà attendere. I soldi disponibili vanno sui sussidi.

La gravità e la durata della crisi, insieme al deperimento della democrazia, espongono il nostro paese al rischio di una deriva corporativa e autoritaria. Nel capitalismo italiano, com’è noto, punte di eccellenza e alti livelli di competitività convivono con settori arretrati che prosperano all’ombra della finanza pubblica.
Per chi continua a guadagnare, nonostante la crisi, e per chi detiene rendite di posizione e privilegi da tutelare, l’attuale governo rappresenta l’ancora a cui aggrapparsi. In questa parte non piccola della società italiana i tratti «identitari» della destra italiana trovano riscontro e nutrimento. Non è tempo di riforme serie in materie di fisco, di concorrenza e di giustizia.

Sebbene il governo Meloni si muova nel solco della conservazione (del peggio) dell’esistente, diversi impedimenti oggettivi ne rendono assai accidentato il cammino. Nuovi scostamenti di bilancio rischiano di imbattersi nel giudizio negativo dei mercati finanziari e nell’orientamento, che si fa strada a Bruxelles, di sostituire i vecchi parametri (del rapporto deficit-Pil) con vincoli basati essenzialmente sull’andamento della spesa pubblica.

Da qui, da queste difficoltà, la sinistra deve ripartire, indicando con chiarezza “dove” prendere le risorse per l’emergenza (per la sanità, la scuola e gli altri servizi) e “come” rispondere alla domanda di protezione sociale e ambientale presente nei movimenti di giovani e di popolo.
Non mancano i soldi, non c’è la volontà di prenderli. La ricchezza finanziaria e immobiliare ammonta a circa 10 mila miliardi; pari a 5 volte il Pil. Viviamo in un paese con uno Stato povero e indebitato, da un lato, e con una ricchezza privata smisurata e concentrata in poche mani, dall’altro. Sono censiti 40 miliardari e circa 400 mila milionari, senza considerare quanti sul territorio nascondono al fisco soldi e beni. Tassare chi gode di enormi fortune – spesso non per merito – diventa una battaglia di civiltà e di giustizia distributiva.

La «patrimoniale», contrariamente a quel che si pensa, è una imposta liberale, non di sinistra. Si deve ad Arthur Cecil Pigou, un economista liberale vissuto nella prima metà del Novecento, l’idea di un prelievo del 25 per cento (una tantum) sulla ricchezza. Bisognava risanare il debito della Gran Bretagna, cresciuto in modo esponenziale durante la prima guerra mondiale. E’ un grave errore, per Pigou, pagare i costi della guerra, come di qualsiasi altra emergenza, prendendo molti soldi in prestito e tassando poco la ricchezza. I titoli di Stato, tra l’altro, grazie ai tassi d’interesse, contribuiscono ad incrementare il capitale delle persone facoltose e delle società di intermediazione finanziaria che li acquistano. Nel governo britannico prevalse l’argomento dei conservatori che la tassa avrebbe disincentivato il risparmio e provocato la fuga di capitali. Della proposta non se ne fece niente.

Oggi come allora, si ripresenta la questione di chi debba pagare i costi dell’emergenza economica e sociale. Se non vengono tassate le grandi ricchezze e le imprese che macinano esorbitanti profitti (vedi l’energia, le armi, le banche, le finanza, big pharma, big tech, ecc.), non resta che la prospettiva di tagli pesanti alla spesa sociale e decenni di tassazione sui ceti meno abbienti e sulle generazioni future. Non ci sono alternative.

La lezione di Pigou, conosciuto anche per la teoria delle esternalità negative, resta di grande attualità. Le tasse sulla ricchezza come quelle sull’inquinamento sono, per il professore di Cambridge, uno strumento per mitigare l’impatto negativo della guerra e del modo di produzione capitalistico sulla società e sull’ambiente
L’economia non è una scienza esatta verso cui la politica debba inchinarsi, bensì una cassetta degli attrezzi in cui rovistare per trarne indicazioni valide e giuste. La tassa sul patrimonio, in conclusione, non è un’idea balzana dei comunisti, ma fa parte del migliore bagaglio culturale dei liberali, che la destra italiana volutamente ignora.

 

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