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 n. 2

Una carrellata di capi di Stato, gli interventi dei massimi dirigenti Onu, l’attenzione polarizzata sugli aspetti economici. E’ la sintesi di questo inizio della Cop27 che già al debutto ha rivelato la spaccatura tra le sue anime. Da una parte ci sono le Nazioni Unite che con le parole del segretario generale Antonio Guterres spiegano con chiarezza dove siamo: “Siamo sulla strada per l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore”.


Poi ci sono i Paesi che gli altri definiscono ricchi ma che sono pieni di persone che si sentono povere. Potrebbero programmare il futuro per far crescere progressivamente il benessere arrivando al lungo periodo, ma spesso preferiscono cogliere voti nel breve periodo. Per l’Italia è stato il turno del neo premier Giorgia Meloni. Un debutto che ha registrato giudizi diversi. Chi ha valutato il discorso dal punto di vista della convinzione che traspariva dal ritmo e dal tono, dal guizzo degli occhi e dal muoversi delle mani, ha notato una Meloni minore, poco convinta, lontana dalle sue capacità oratorie.

Ma se si giudicano le parole pronunciate, il giudizio cambia sensibilmente. Tutti i punti del compito assegnato dall’Unione Europea sono stati diligentemente svolti. L’impegno dell’Italia alla decarbonizzazione, le rinnovabili, l’obiettivo di ridurre le emissioni serra del 55% al 2030 per arrivare alla neutralità climatica nel 2050, la prospettiva di una crescita green per arrivare alla creazione di posti di lavoro, la necessità di allinearsi agli obiettivi del REPowerEU. Anche un accenno ai drammatici effetti della crisi climatica in Pakistan e nel Corno d’Africa e l’impegno a mantenere l'obiettivo di 100 miliardi di dollari per sostenere i Paesi in via di sviluppo fino al 2025 e a definire più avanti un obiettivo più ambizioso.

Se Giorgia, come alle volte si fa chiamare per superare l’imbarazzo della concordanza tra genere e titolo, è risultata poco convincente, può essere che il presidente Meloni, tenendo fede alle sue parole, stupisca gli oppositori. Lo sapremo presto perché le scelte richieste sono alle porte.

Dicevamo, scorrendo l’elenco: le Nazioni Unite, i Paesi ricchi e ora un po’ meno ricchi. Poi ci sono i Paesi poveri, ora un po’ più poveri per colpa della crisi climatica. Questo è il vero nodo emerso già nei primi giorni della conferenza a Sharm el Sheikh. E quello di cui in genere si parla è solo l’aperitivo dello scontro economico in atto. Sono i 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2025 che i Paesi a industrializzazione avanzata si sono impegnati a dare a quelli meno avanzati per spingerli sul versante green. Ad oggi siamo un po’ sotto i 100 miliardi (in larga maggioranza prestiti, non donazioni). Ma su questo punto l’accordo non è lontano.

La vera questione è quella che nel gergo della Cop si chiama loss and damage. Detto più semplicemente: chi paga i danni della crisi climatica? Questione che poi produce una serie di sotto domande: come si misurano questi danni? contano le responsabilità attuali o quelle storiche? Se a questo aggiungiamo che i costi della crisi climatica si misurano in centinaia di miliardi  di dollari l’anno e che alla Cop i contributi arrivano al ritmo di milioni di euro per Paese donatore, abbiamo la misura della distanza tra le varie posizioni. Una distanza che appare difficilmente colmabile se non si aggiustano i fondamentali dell’economia inserendo nel costo di merci e servizi il prezzo del riscaldamento globale.

Il 9 novembre, giornata dedicata alla finanza, l’Onu ha pubblicato un rapporto da cui si evince che molti degli impegni a raggiungere quota net-zero sono fuffa, il blabla denunciato da Greta Thunberg. Insomma questa volta le Nazioni Unite, non Greenpeace, dicono alle aziende (e agli altri “attori non governativi” incluse Regioni e città) che l’epoca del greenwashing deve finire. Tra i casi citati, uno che dovrebbe far discutere a casa nostra: un'azienda non può affermare di tendere a zero se continua a costruire o investire in nuove infrastrutture per combustibili fossili o nella deforestazione. “Ma, forse ancora più importante per un documento di questa natura, l’indicazione che, per poter annunciare un impegno net-zero, al 2030 un attore non governativo deve tagliare le emissioni di almeno il 50% (per arrivare ad azzerarle prima del 2050)” - afferma Andrea Barbabella, coordinatore di Italy for Climate – “e che i tanto discussi crediti di carbonio, anche se realmente addizionali e permanenti (qualità rare a questo  mondo), possono essere usati solo per andare oltre i target fissati”. A questo punto il rischio imprenditoriale per le imprese che investono in parole invece che in fatti aumenta.
 

 
Leggi anche l'approfondimento a cura di Toni Federico, del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
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SINISTRA. Partire dall’opposizione, praticarla nei luoghi di produzione, della ricerca, del pensiero, in quelli della vita e dello svago, del disagio giovanile, delle solitudini e delle paure
 
Il campo largo va ricostruito, dal basso e senza scorciatoie
 

Si accarezzano le pulsioni virili ed autoritarie della destra estrema. Ma non mettiamoci il paraocchi. In parallelo si attenuano i toni antieuropei, si accentua l’atlantismo filo Usa, si assumono toni più responsabili sui temi del bilancio. Cosa significa questo mix? Vedremo meglio col tempo, ma probabilmente sì cercherà di dare una consistenza politica e culturale, una sorta di nuova identità allo schieramento conservatore.

Dopo la fase del liberismo all’italiana e quella del populismo d’accatto arriva al governo una professionista della politica, nata e cresciuta nella destra storica, che ha messo all’angolo gli alleati prendendo decisamente il comando dello schieramento e che gode di una maggioranza parlamentare consistente.

Non è da escludere, allora, che questo fronte, così fortemente ristrutturato al suo interno abbia davanti a sé una vita non breve e possa, perciò, porsi obiettivi ambiziosi di medio – lungo termine. Anche perché, sul versante opposto, siamo ben lontani da un rinnovamento-rafforzamento dei soggetti politici. Intendiamoci: non siamo di fronte ad una ondata di consensi al fronte conservatore e ad un drastico ridimensionamento dei progressisti. Siamo di fronte a due schieramenti, quantitativamente non dissimili, ma uno di essi ha il vento in poppa, mentre l’altro è allo sbando ed ha perso la bussola.

Finora ci si è attardati su una spiegazione di questa divaricazione: la destra ha saputo unirsi e sfruttare la legge elettorale, il centro sinistra no. Tutto vero. Quasi però. Il problema è capire perché questo è accaduto, dove e perché si è sbagliato e come agire perché questa situazione non si protragga a lungo.
Penso sia giunto il momento di ammettere, a malincuore, che l’idea del campo largo sia stata una vera e propria illusione. Una scorciatoia nata dalla speranza di affrontare al meglio un confronto elettorale improvviso per il quale non eravamo preparati. Pensare di mettere insieme un Pd in parte piccolissima amico del M5S ed in maggioranza nemico ed un M5S in parte figlio dell’antipolitica e che vedeva nel Pd il simbolo dell’establishment ed era nel pieno di una mutazione genetica appena avviata, è stata una speranza. Nella quale, adesso è evidente, non credeva nessuno.

Il fronte conservatore ha articolazioni e differenze, ma ha un tessuto connettivo che nei momenti importanti prevale. E non solo per logiche di potere, ma perché il paese è impregnato di valori, culture, interessi radicati e diffusi. Oltre che di mezzi e strumenti di formazione di opinioni e di senso comune.
Quello che oggi chiamiamo fronte progressista, invece, è altra cosa. Siamo lontanissimi dai tempi della vecchia grande sinistra, articolata, ma consistente, ed anche dalla fase dell’illusione neocapitalista e della globalizzazione come orizzonte di emancipazione del mondo e di riduzione della disuguaglianze. E siamo lontani anche dall’ondata del progressismo ulivista che voleva unire le speranze migliori della cultura di sinistra e di quella cattolica, ma che è stata gestita con la visione burocratica e di potere di una vecchia classe politica. Un fronte progressista all’altezza della attuale fase competitiva non c’era e non c’è. E da qui che dovremmo ripartire.

Ho avuto modo di accennare ad un fronte articolato perlomeno in due soggetti rinnovati intorno ai due pilastri del Pd e del nuovo M5s. Ma anche questa sarebbe una scorciatoia. Come lo è la corsa al congresso del Pd con il rito stanco delle primarie. Invece, forse, dovremmo invertire l’ordine delle azioni.
Partire dall’opposizione, praticarla ed articolarla nei gangli vitali della società, nei luoghi di produzione dei beni, della ricerca, del pensiero, in quelli di vita e di svago, in quelli troppo affollati e nelle aree abbandonate, in quelli del disagio giovanile, del degrado e dell’abbandono, delle solitudini e delle paure….

Un lunghissimo elenco di luoghi di riorganizzazione e di costruzione di una ripartenza collettiva. Da frequentare insieme e da vivere nelle e con le tante diversità. Dentro una visione generale tutta da ricostruire sui grandi temi del clima e della pace che dovrebbero essere gli assi portanti di un nuovo e moderno arco progressista.

Compito difficilissimo – in uno scenario globale di guerra e riarmo, di potenziali nuovi conflitti mondiali, di ridefinizione di confini e sfere di influenza – mettere insieme il tutto, l’emergenza dell’oggi ed il futuro, ritrovare la bussola. Si, difficilissimo. Ma nel mondo ci sono realtà più difficili e persone straordinarie che trovano la forza di rialzarsi.

 
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MIGRANTI. Piantedosi e Salvini minacciano i comandanti delle navi che si rifiuteranno di riportare in acque internazionali persone considerate come “carico residuale” e non obbediranno ad un decreto illegittimo, sia nelle premesse che fanno riferimento a Regolamenti europei ormai abrogati, che nel dispositivo, secondo il quale il comandante della nave, dopo la selezione dei naufraghi “vulnerabili”, dovrebbe uscire dal porto e ritornare in acque internazionali
Il diritto residuale del mare A bordo della Geo Barents - Medici senza frontiere via Twitter

Prosegue lo stallo dentro il porto di Catania, con due navi delle Ong (Humanity 1 e Geo Barents) bloccate per il mancato sbarco di tutti i naufraghi, l’Ocean Viking di Sos Mediterranée rimasta al limite delle acque territoriali per completare in un porto sicuro le attività di salvataggio intraprese oltre una settimana fa, mentre la Rise Above si è diretta verso Reggio Calabria, dopo essere rimasta per giorni al largo della costa orientale siciliana.

Intanto la Commissione europea richiama l’Italia, invitandola a «minimizzare la permanenza delle persone a bordo delle navi». Come peraltro prescrivono il diritto internazionale del mare e il Regolamento europeo n.656 del 2014. Ma il governo italiano replica con i consueti slogan propagandistici sulla difesa dei confini e si profilano le prime sanzioni pecuniarie nei confronti delle Ong, mentre non si possono escludere iniziative giudiziarie da parte della Procura di Catania, che ha indagato per anni, senza alcun esito, sui soccorsi operati dalle navi umanitarie. Piantedosi e Salvini minacciano anche i comandanti delle navi che si rifiuteranno di riportare in acque internazionali persone considerate come “carico residuale” e non obbediranno ad un decreto illegittimo, sia nelle premesse che fanno riferimento a Regolamenti europei ormai abrogati, che nel dispositivo, secondo il quale il comandante della nave, dopo la selezione dei naufraghi “vulnerabili”, dovrebbe uscire dal porto e ritornare in acque internazionali. Anche se nessuno Stato, incluso quello di bandiera, ha dato disponibilità per garantire un porto di sbarco sicuro dopo gli “sbarchi selettivi” effettuati nel porto di Catania.

Sono infatti rimaste senza risposte le “note verbali” trasmesse dalla Farnesina ai paesi di bandiera delle navi soccorritrici, che si basavano sulla tesi che la competenza ad indicare un porto di sbarco doveva essere assunta dallo Stato di bandiera delle navi che avevano operato i soccorsi. Una tesi priva di basi legali e già in passato, nei processi contro le Ong, smentita dai provvedimenti di archiviazione delle accuse formulate dagli organi di polizia. Ma il governo italiano ha preferito raccogliere il plauso di Orbán per questa nuova prassi di «difesa dei confini esterni dell’Unione Europea».

Mentre Salvini torna a parlare di «viaggi organizzati», baluardo della sua difesa nel processo in corso a Palermo sul caso Open Arms, la scelta dell’attuale governo di fare entrare le navi per sbarcare solo una parte dei naufraghi costituisce una novità rispetto al passato, quando si vietava addirittura l’ingresso nelle acque territoriali o nei porti. Adesso le navi delle Ong sono entrate in porto su richiesta delle autorità marittime italiane, che dunque non hanno evidentemente considerato come passaggio «non inoffensivo» in base alla Convenzione Unclos (art.19 ) il loro ingresso nelle acque territoriali italiane. È fallito così il tentativo di configurare come attività contro le leggi sull’immigrazione le operazioni di ricerca e soccorso in acque internazionali svolte nel Mediterraneo centrale da navi inviate da organizzazioni non governative.

Ai comandanti della Humanity 1 e della Geo Barents, in base al decreto Piantedosi, è stato tuttavia vietato «di sostare nelle acque territoriali nazionali oltre il termine necessario ad assicurare le operazioni di soccorso e assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali e in precarie condizioni di salute segnalate dalle competenti Autorità nazionali». «A tutte le persone che restano sulla imbarcazione sarà comunque assicurata l’assistenza occorrente per l’uscita dalle acque territoriali». Sotto questo profilo si è introdotta una prassi discriminatoria che nega l’accesso al territorio ed alla procedura di asilo a una parte soltanto dei naufraghi, sulla base di accertamenti medici che potrebbero nascondere, sulla base dei risultati noti, una precisa selezione in base alla nazionalità, come se coloro che provengono dagli orrori della Libia ma sono originari del Bangladesh o del Pakistan non avessero diritto al riconoscimento di uno status di protezione in Italia.

Eppure i Tribunali e la Cassazione hanno, in numerosi casi, ribaltato le decisioni negative delle Commissioni territoriali ed hanno riconosciuto anche per persone provenienti da questi paesi uno status di protezione. Il Regolamento Dublino III del 2013, che le destre europee non hanno voluto modificare, e le Direttive sulle procedure non prevedono la selezione dei naufraghi a bordo delle navi e tantomeno la presentazione delle domande di asilo ai paesi di bandiera delle stesse.

Si minacciano nuovi processi contro i comandanti delle Ong. Non si può restare in attesa che la magistratura penale faccia il suo corso, particolarmente accidentato qualora dovessero emergere responsabilità ministeriali. Occorre che i cittadini solidali si organizzino per denunciare le inadempienze delle autorità governative e per promuovere iniziative sul territorio di concreta solidarietà ai migranti, in difesa dei loro diritti. Non si possono utilizzare i corpi e le vite delle persone bloccate sulle navi o abbandonate in mare per eludere gli obblighi di soccorso e ricattare l’Unione europea in vista della modifica del Regolamento Dublino, trasformando esseri umani in ostaggio.

 
 
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L’«INCUBO» MELONI. il quadro politico che abbiamo di fronte è davvero «orrendo», ma non è altro che l’approdo, ora consolidatosi dopo un lungo periodo oscillatorio, del percorso iniziato con la sintesi tra la destra padronale, la destra del micronazionalismo padano, la destra neofascista, che portò, nel 1994, alla formazione del primo governo Berlusconi

Sarà di lunga durata se la sinistra non cambia paradigma Giorgia Meloni - LaPresse

Due editoriali di Norma Rangeri (22 e 26 ottobre) hanno fatto il punto su ciò ch’ella definisce l’«incubo» del momento attuale. Nel primo Rangeri si chiede la ragione per la quale «il nostro mondo stia vivendo un dramma tanto profondo, quasi esistenziale». Nel secondo si dà una risposta: «Quando si gioca alla morte delle ideologie, in sostanza togliendo di mezzo le idee della sinistra, succede che vince l’ideologia che resta in campo». Una risposta giusta, ma che non può essere davvero compresa, però, se riferita al tempo breve in cui l’incubo si materializza con «l’orrendo risveglio».

Certo il quadro politico che abbiamo di fronte è davvero «orrendo», ma non è altro che l’approdo, ora consolidatosi dopo un lungo periodo oscillatorio, del percorso iniziato con la sintesi tra la destra padronale, la destra del micronazionalismo padano, la destra neofascista, che portò, nel 1994, alla formazione del primo governo Berlusconi. Oggi le componenti si sono redistribuite tra di loro in maniera diversa e la prevalenza di quella neofascista non fa altro che rendere ancora più agghiacciante la combinazione, ma i caratteri restano quelli di allora.

Su tali caratteri esiste una pubblicistica di buon livello assai conosciuta: affarismo, conflitti di interesse, plebeismo borghese e proletario, invenzione «del passato per governare il presente» (D. Conti, «il manifesto 30 ottobre), estraneità totale allo spirito della Costituzione. D’altra parte, questo insieme delle destre fa il suo mestiere, e non è lì che dobbiamo cercare le cause principali dell’esistenza di una sola «ideologia».

Le «idee della sinistra» sono «ideologie»? Quello relativo al termine di «ideologia» è un vero e proprio universo che riguarda il concetto nei suoi rapporti con la scienza sociale, con il discorso politico e, più in generale, con il campo della battaglia delle idee. La sinistra, o meglio la tradizione politico-culturale del socialismo d’ispirazione, in varie maniere, marxista, quando ha usato la parola in senso neutrale e non negativo, ha sempre, comunque, legato l’analisi dei movimenti della sfera politica a quella degli effetti della fase di accumulazione in corso.

Esattamente al contrario degli «ideologi» di oggi, tanto più tali quanto più considerano il loro pensiero conforme alla natura delle cose, alla normalità degli svolgimenti senza contraddizioni profonde e connessa conflittualità radicale. L’adesione a questo tipo di normalità, sia pure ad iniziare dalla dimensione politica, è stato un contributo di primo piano a «togliere di mezzo le idee della sinistra».

Nel 1995 Massimo D’Alema pubblicò un libro in cui si congratulava con sé stesso per essere riuscito a condurre a termine «il compito della generazione», cioè «portare la sinistra italiana al governo del paese», tramite «un cambiamento dolce». Possibile ormai in «un’Italia meno nervosa di ieri e più ottimista», dopo un anno di sinistra al governo, un’Italia che chiede al governo «cose semplici e chiare: stabilità, tranquillità, normalità».

Il Grande Dizionario del Battaglia definisce la normalità come «una condizione abituale, consueta e ampiamente accettata e che non presenta alcuna irregolarità, né lascia presagire alcun elemento di imprevisto e di inquietudine» e dunque il «paese normale» è quello dello «stato abituale». In un «paese normale» non c’è posto per conflitti radicali capaci di suscitare cesure negli equilibri economico-sociali «abituali». I cambiamenti in profondità, invece, sono le risultanti di conflitti, di conflitti anche assai aspri. D’altra parte, se la lotta di classe non c’è più (come la storia del resto) si può ipotizzare una realtà che cambia attraverso una «normalità autoregolantesi», proprio come il «mercato autoregolato».

La «sinistra per simmetria» ha interiorizzato questa «ideologia» fin dal suo primo inoltrarsi nel percorso della «governabilità» senza aggettivi. Oggi si discute molto sulla nuova identità che dovrebbe assumere il Pd alla conclusione del suo itinerario congressuale. Ma l’identità di un partito non si definisce in una formulazione astratta. L’identità di un partito, in questo caso la continuità tra le varie «cose», è ancorata strettamente alla sua storia.

I risultati non potranno essere altro, al di là delle formulazioni di comunicazione (propaganda), che una scelta tra i diversi gradi di un capitalismo compassionevole.

Senza un cambio di paradigma, il «nuovo», che è cosa seria, si risolve in «novello» al pari del beaujolais (o del chianti). Senza un cambio di paradigma anche «l’antifascismo non serve più a niente» (C. Greppi, Laterza, 2020).

 

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Le persone sperimentano una elevata pressione fisica e sociale ma provano a non arrendersi e noi ad aiutarli aumentando la loro capacità di rivendicare i propri diritti

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La Russia negli ultimi due mesi ha rafforzato la mobilitazione. Molte persone, parliamo di migliaia, ha applicato per il servizio civile alternativo cercando di evitare la partecipazione alla guerra in Ucraina. Naturalmente non tutte queste richieste sono concesse, le persone sperimentano una elevata pressione fisica e sociale ma provano a non arrendersi e noi ad aiutarli aumentando la loro capacità di rivendicare i propri diritti, diffondendo le buone pratiche e i documenti che le persone possono consegnare ai loro comandanti.

E oggi io vi voglio chiedere due azioni. La prima è quella di firmare la petizione diffusa dall'Ufficio Europeo per l'obiezione di coscienza (EBCO-BEOC) e dalla War Resisters' International (WRI) per aiutare gli obiettori russi, ucraini e bielorussi a ricevere asilo in Europa. La seconda azione è quella di donare alla nostra organizzazione tramite il sito stoparmy.org sul quale potete trovare tutte le modalità per supportarci. Con le vostre donazioni, con il vostro aiuto, noi saremo capaci di offrire supporto a più obiettori di coscienza che stanno cercando ora tutti i modi di non entrare nell'esercito. Davvero grazie per la vostra partecipazione in azioni pacifiste.

Alexander Belik del Movimento degli Obiettori di Coscienza Russi

 

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Crediamo nella democrazia. Crediamo nella libertà di parola. Crediamo nella risoluzione nonviolenta di qualsiasi conflitto.

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Sono grata a ciascuno di voi per aver trovato il tempo, per aver trovato l'ispirazione, per aver trovato la pace dentro di voi e per essere venuti oggi in questa piazza di Roma a sostenere il movimento per la pace. Sono una rappresentante del movimento pacifista in Ucraina. È scoppiata una guerra nel nostro Paese e ora... ora i miei compatrioti sentono personalmente le conseguenze di questa guerra. Le conseguenze della guerra non sono solo all'esterno, ma anche dentro ognuno di noi. La guerra è anche dei pensieri e dei sentimenti. Noi crediamo che ogni conflitto possa essere risolto pacificamente; che la guerra è un crimine contro l'umanità; che la vita umana è il valore più grande. La vita umana è il valore più grande. La vita di ogni ucraino è il valore più grande. La vita di ogni russo è il valore più grande. La vita di qualsiasi persona al mondo è il valore più grande. I conflitti sono ciò che abbiamo in testa, ciò che poi esce dalla testa.

Tutto può essere risolto. Potete parlare, potete arrivare a delle conclusioni comuni. La guerra è ciò che c'è dentro ognuno di noi e, purtroppo, ciò che c'è dentro viene fuori e porta a conseguenze terribili. Rappresento il movimento pacifista in Ucraina. Ora lottiamo affinché tutti abbiano il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare. Affinché tutte le persone che cercano la pace e non vogliono partecipare alla guerra, abbiano la possibilità di farlo. Rispettiamo la scelta di ogni persona. Sappiamo che prima di tutto dobbiamo lavorare all'interno, con i pensieri di ogni persona, affinché diventino più pacifici. Ma ora tutti coloro che cercano la pace io vorrei che avessero questa opportunità di rimanere persone pacifiche, di vivere senza andare contro la propria coscienza e di non partecipare al crimine dello spargimento di sangue. Crediamo nella democrazia. Crediamo nella libertà di parola. Crediamo nella risoluzione nonviolenta di qualsiasi conflitto.

E chiediamo, chiedo il vostro sostegno. Chiedo il vostro sostegno affinché il nostro Stato presti attenzione a tutte le opportunità per risolvere il conflitto senza violenza; affinché ci si impegni tutti per negoziare, non per trattenere le persone nel loro Paese senza dare loro l'opportunità di andarsene e salvarsi la vita, dal momento che la guerra è in casa. Ogni ucraino ora lotta per la pace, e ancor più per la vittoria. Ma per noi la vera vittoria è la salvaguardia delle vite umane, della dignità umana e delle anime umane. Grazie per il vostro sostegno. Spero che la pace arrivi presto nel nostro Paese e nel mondo intero.

Katrin Cheshire è un'attivista del Movimento Pacifista Ucraino

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