Dopo il tour di Omar Barghouti in varie città e atenei d’Italia, cui hanno fatto seguito polemiche e precisazioni, abbiamo raggiunto il palestinese Premio Gandhi 2017, difensore dei diritti umani e cofondatore del Bds, il «movimento nonviolento a guida palestinese per il Boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele» per approfondire proprio il tema del boicottaggio.
Come è nata l’idea di un movimento in tal senso?
Il Bds è stato lanciato nel 2005 dalla più grande coalizione della società palestinese. Si ispira alla lotta anti-apartheid sudafricana e alla lotta per i diritti civili degli Stati Uniti e affonda le sue radici in un secolo di resistenza popolare palestinese. Mira a porre fine al regime di colonialismo, occupazione e apartheid di Israele, che dura da 75 anni, e a sostenere il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi.
Oggi che dimensioni ha assunto il Bds nel mondo?
Con l’inizio del genocidio in corso da parte di Israele contro 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata, l’importanza del Bds è cresciuta esponenzialmente. Israele sta perpetrando il primo genocidio al mondo in diretta streaming, con il pieno sostegno dell’Occidente coloniale, in particolare di Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito. Questo livello di “impunità totale”, come l’ha definito di recente il Segretario generale delle Nazioni Unite, è probabilmente senza precedenti, il che implica che anche le campagne Bds devono intensificarsi a livelli senza precedenti, facendo pressione sui fondi di investimento o pensionistici e sulle istituzioni di tutto il mondo, come i consigli comunali, le università, le chiese, le istituzioni culturali e così via, affinché adottino linee guida per gli acquisti e gli investimenti che escludano le aziende implicate in gravi violazioni dei diritti umani ovunque. Queste linee guida possono essere applicate per escludere le aziende coinvolte nel genocidio, nell’apartheid, nell’occupazione militare e negli insediamenti di Israele, così come possono essere applicate per escludere le aziende coinvolte in altre ingiustizie. Gli sforzi del Bds per smantellare il regime di apartheid coloniale di Israele, aiuterebbero a sostenere i diritti non solo del popolo palestinese, ma anche dei popoli e delle comunità di tutto il mondo. Dopo tutto, Israele è oggi un modello per gran parte dell’estrema destra e dei suprematisti bianchi del mondo, che danneggia non solo i palestinesi ma anche milioni di altre persone.
Davvero il boicottaggio dei comuni cittadini può far male a una potenza politico militare?
I cittadini di Paesi quasi democratici come l’Italia, la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, il Regno Unito, ecc. hanno l’obbligo etico di impegnarsi. Non stiamo chiedendo la carità, chiediamo la fine della complicità. A causa del crescente impatto del movimento Bds, dal 2014 Israele lo considera una “minaccia strategica” di prim’ordine e investe ingenti risorse finanziarie, di intelligence, di propaganda e diplomatiche per combatterlo. Per anni Israele ha persino dedicato un intero ministero governativo alla lotta contro il Bds. Come rivelato dal documentario innovativo di Al Jazeera, The Lobby, e come rivelato recentemente da un’inchiesta di The Nation, Israele e i suoi gruppi di pressione negli Stati Uniti hanno speso centinaia di milioni di dollari per combattere il Bds. Il movimento ha fatto sì che grandi multinazionali cessassero totalmente o parzialmente il loro coinvolgimento. Solo questo mese, in seguito alla sentenza della Corte internazionale di giustizia che ha stabilito che Israele sta plausibilmente commettendo un genocidio, due importanti aziende giapponesi hanno interrotto le relazioni con il più grande produttore privato di armi israeliano. Giganteschi fondi sovrani in Norvegia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Nuova Zelanda e altrove, così come una notissima fondazione benefica Usa hanno disinvestito da aziende e banche israeliane o internazionali coinvolte nell’occupazione. E così comuni, chiese, sindacati, organizzazioni di lavoratori. Decine di migliaia di artisti e accademici hanno dichiarato il loro sostegno al boicottaggio culturale e accademico di Israele.
Da più parti si cerca di far passare nella politica internazionale e nei media l’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo. Il Bds è l’uno, l’altro o nessuno dei due?
Ancorato alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il movimento Bds si oppone categoricamente a tutte le forme di razzismo, compresi l’islamofobia, l’antisemitismo e certamente il sionismo. Un numero crescente di sostenitori del Bds anti-coloniale ebraico-israeliano svolge un ruolo significativo nel movimento, e un sondaggio del 2022 ha mostrato che il 16% degli ebrei americani sostiene il Bds, con una percentuale in forte aumento per i minori di 40 anni. Essi comprendono che non c’è nulla di ebraico nell’assedio, nella pulizia etnica, nei massacri, nel furto di terra e nell’apartheid di Israele, e quindi non c’è nulla di antiebraico di per sé nel sostenere il Bds per porre fine a questi crimini.
In Italia da tempo stiamo assistendo a inedite restrizioni della libertà di stampa, di manifestazione e di opinione. Lei pensa che il boicottaggio possa offrire alle masse un valido sostituto alla manifestazione di piazza in un momento in cui la partecipazione fisica è in grande declino?
Se qualcuno pensa che questa repressione, o il maccartismo 2.0, si fermerà al silenzio della difesa dei diritti dei palestinesi, si sbaglia. La repressione non ha un interruttore on-off, come gli europei dovrebbero sapere bene dalla loro storia oscura. La legislazione anti-Bds in decine di Stati americani viene usata come modello per reprimere la difesa del diritto di voto dei neri, la giustizia climatica, i diritti riproduttivi e delle donne, la teoria critica della razza, i diritti Lgbtqi+, ecc. Lo stesso sta accadendo in Europa a un ritmo che dovrebbe far arrabbiare o almeno allarmare tutti i liberali, non solo i progressisti