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ISRAELE/PALESTINA. Bombe israeliane sul valico di Kerem Shalom mentre al Palazzo di Vetro il voto sulla risoluzione traballa sulle procedure «umanitarie». Hamas: niente scambio di ostaggi senza la tregua. Washington Post: lo Shifa non era una base islamista

Aiuti in entrata al valico di Rafah foto Ap/Abed Rahim Khatib Aiuti in entrata al valico di Rafah - Ap/Abed Rahim Khatib

È intervenuta la polizia israeliana, ieri mattina intorno alle 10 nei pressi di Urim, per fermare la marcia organizzata da decine di attivisti israeliani e familiari dei soldati dispiegati a Gaza. Tra loro l’associazione Mothers’ March. L’intenzione della protesta era bloccare i camion di aiuti umanitari in ingresso dal valico di Kerem Shalom, a est della Striscia.

Decine di altri manifestanti hanno provato a raggiungere, con le stesse intenzioni, il confine con l’Egitto. «Gli aiuti al nemico uccidono i soldati», si leggeva in uno dei cartelli portati in marcia insieme alle bandiere dello Stato di Israele.

IN CONTEMPORANEA, da Kerem Shalom, arrivava la notizia di un raid aereo israeliano in cui è stato ucciso Bassem Ghaben, noto come Abu Salem, direttore del valico sul lato palestinese. Altre tre le vittime. Un bombardamento che giunge a pochi giorni dal via libera all’utilizzo di Kerem Shalom all’ingresso di aiuti (finora l’unico usato, al minimo delle sue capacità, è stato quello di Rafah con l’Egitto).

Ed è giunto mentre alle Nazioni unite si continuava a rinviare il voto del Consiglio di Sicurezza sulla risoluzione emiratina, sul tavolo da lunedì scorso: al centro del negoziato non più, apparentemente, la scelta tra «cessazione» o «sospensione» delle ostilità, ma la gestione degli aiuti umanitari. A chiedere cambiamenti al testo della risoluzione, di nuovo, gli Stati uniti che ieri si sono detti seriamente preoccupati: la risoluzione «potrebbe in realtà rallentare le consegne» di aiuti, non velocizzarle.

Di aiuti aveva parlato poco prima il presidente israeliano Herzog, a colloquio con il presidente del senato francese, Larcher: «Sfortunatamente, a causa del fallimento delle Nazioni unite, non sono in grado di fare entrare più di 125 camion al giorno». Nessun accenno ai raid israeliani e alle lunghe procedure di controllo dei camion in capo a Israele, risponde l’Onu.

E intanto la fame monta, a ribadirlo ieri è stata l’Organizzazione mondiale della Sanità: «La fame sta devastando Gaza e porterà a un incremento delle malattie nella Striscia, soprattutto tra i bambini, le donne incinte e quelle che allattano e gli anziani».

A oggi il 90% della popolazione di Gaza vive in una quotidianità di grave insicurezza alimentare, mentre proseguono senza sosta le operazioni militari israeliane, come sottolineato ieri dal primo ministro Netanyahu in una dichiarazione fotocopia delle precedenti, a uso e consumo del Consiglio di Sicurezza in procinto di votare: «Non fermeremo la guerra fino al raggiungimento dei nostri obiettivi: la completa eliminazione di Hamas e il rilascio di tutti i nostri ostaggi. La scelta che proponiamo ad Hamas è molto semplice: arrendetevi o morite».

NELLE ORE precedenti il movimento islamico palestinese aveva risposto con un secco no a un nuovo scambio tra ostaggi israeliani e palestinesi: avverrà, ha detto Hamas, solo a fronte di un cessate il fuoco permanente e non di pause temporanee (possibilità su cui il ministro della sicurezza nazionale Ben Gvir, esponente dell’ultradestra, ha dato la sua nota posizione: «L’idea di ridurre l’attività a Gaza sarebbe un fallimento del gabinetto di guerra limitato. È tempo di riprendere le redini di un gabinetto di guerra esteso»).

Il governo di fatto della Striscia ieri ha poi rivendicato l’uccisione di un soldato israeliano nel centro di Gaza, ad al-Mughraqa durante uno scontro a fuoco con l’esercito, in cooperazione con le Saraya al-Quds, le brigate armate del Jihad islami.

Da parte sua Israele ha bombardato la principale zona industriale dell’enclave palestinese, la Gaza Industrial Estate, sede a 72 fabbriche alimentari, manifatturiere e farmaceutiche. E ha affermato di aver assunto il controllo del quartiere di Shajaiyah a Gaza City, tra i più martoriati dai raid aerei. Nell’ultima operazione, ha detto l’unità di fanteria Golani, sono stati compiuti «raid nelle case di membri anziani» di Hamas ed è stato «confiscato materiale di intelligence». A poca distanza, nell’altro quartiere raso al suolo, Remal, l’esercito israeliano ha fatto saltare in aria la Palestine Mosque, occupata già da un mese.

SUL FRONTE «obiettivi non militari», è di ieri l’inchiesta del Washington Post che – attraverso immagini satellitari, interviste e materiale pubblicato dallo stesso esercito israeliano – smonta le accuse mosse da Tel Aviv all’ospedale al-Shifa di Gaza city, di essere ciò la copertura al quartier generale sotterraneo di Hamas.

Secondo il Wp, dai materiali visionati non è possibile individuare «prove di utilizzo militare da parte di Hamas»: tra le altre cose, cinque degli edifici dell’ospedale considerati da Tel Aviv parte integrante del network islamista non sono connessi ai tunnel sotterranei né ai suoi cortili.

Ieri, infine, nel quartiere as-Saha, nella parte orientale della Striscia, l’esercito ha distrutto un altro cimitero, dopo quello di al-Faluja: i bulldozer hanno devastato le tombe di Sheikh Shaban ed esumato i corpi, schiacciati e mutilati dai mezzi in transito. Le immagini mostrano corpi, anche di bambini, avvolti nei teli bianchi. Un modo, accusa il ricercatore in studi per la sicurezza al Doha Institute, Omar Ashour, «per terrorizzare la popolazione, devastare la sua volontà nel resistere all’occupazione. È una vecchia tattica delle cosiddette operazioni di contro-insorgenza: punire la popolazione (…) danneggiando la sua morale»