INTERVISTA ALL'ECONOMISTA PAOLO SANTORI. Il coordinatore di "Economy of Francesco": «No all'industria delle armi, sì alla cura. Nuovi programmi di studio contro l’ideologia neoliberista»
L'economista Paolo Santori, coordinatore di Economy of Francesco
Paolo Santori, 31 anni, docente di Filosofia dell’Economia a Tilburg in Olanda, è il coordinatore dell’Economy of Francesco: più di mille economisti che da tre anni lavorano a trasformare in pratica l’enciclica «Laudato si’» di Bergoglio. Ci può spiegare concretamente come pensate di «cambiare modello di sviluppo»?
Nel Patto che abbiamo sottoscritto oggi ad Assisi c’è l’impegno reciproco con Francesco (primo punto) a cambiare parti sostanziali dell’economia globale. La sua implementazione (secondo punto) parte per esempio dal fatto che noi siamo totalmente contrari all’industria delle armi che chiediamo di eliminare completamente e invece chiediamo che entri il sistema economico della cura con precisi indicatori per ciò che fanno uomini e donne nella famiglia e verso il prossimo. Il successo dell’economia non può essere misurato con le entrate delle armi oppure dell’industria dell’azzardo. Il terzo punto del Patto è un impegno individuale e collettivo a portare nei nostri luoghi di lavoro i principi dell’Economia di Francesco: stili di vita, consumo etico e sostenibile. Per noi economisti l’impegno è di cambiare i programmi di micro e macro economia mettendo al centro il tema dei beni comuni – acqua, sementi, biodiversità, atmosfera – ora totalmente cancellati.
Analizzando le vostre proposte c’è chi vi accusa – e accusa Francesco – di essere a favore della decrescita felice.
Le dicotomie non ci piacciono. Detto questo, non siamo per la decrescita ma per una differente concezione della crescita. Fra gli oltre mille che siamo qui ad Assisi qualcuno di noi – specie dall’America Latina per esempio sul tema dell’agricoltura – può essere favorevole alla decrescita ma essendo un movimento globale, nel dialogo abbiamo trovato una sintesi arricchente che punta a definire un nuovo modello di sviluppo basato su una crescita sostenibile che metta al centro l’etica.
Per cambiare modello di sviluppo serve cambiare modello di pensiero: il neoliberismo è imperante da decenni. Pensate di essere in grado di scalfirlo?
Il neoliberismo è il cuore del problema. Francesco anche oggi ha parlato di “economie liberali che rendono le persone tristi”. Il problema è che il neoliberismo è diventata una ideologia. Per superarla bisogna partire dai principi e dall’etica: ecologismo e i beni comuni sono la base per farlo. Detto questo dobbiamo ricordare però che l’Economia di Francesco non è utopia ma profezia in parte già realizzata: in tanti paesi ci sono progetti di produzione etica che convivono con il mercato: come diciamo sempre: “Noi siamo il mercato”. E da consumatori possiamo condizionarlo in maniera positiva. Dobbiamo essere coscienti di essere ormai una maggioranza silenziosa contraria al neoliberismo.
Con le Fattorie di Francesco siete partiti dall’agricoltura: è questa la strada?
L’implementazione è certamente più semplice nell’agricoltura: in queste Fattorie si produce tramite i precetti dell’agricoltura sostenibile rispettando la natura e chi ci lavora. Sono esempi da diffondere anche in altri campi: hanno effetti dirompenti.
Francesco davanti alla platea di industriali di Confindustria riunite dal presidente Carlo Bonomi ha detto: «Oggi la quota di valore che va al lavoro è troppo piccola, soprattutto se la confrontiamo con quella che va alle rendite finanziarie e agli stipendi dei top manager». La dignità del lavoro per voi è così centrale?
La sfida è grande. Francesco ha sempre parlato di «dignità del lavoro». Noi però prima di pensare a come spartire le torte puntiamo a produrle in modo più giusto. Va ripensata l’idea stessa di proprietà dalla parte del produttore: per questo nella nostra idea di nuova economia è centrale la forma cooperativa dove viene sorpassato il modello datore di lavoro-salariati ma tutti compartecipano alla produzione dividendo in parti uguali i profitti. Nonostante i tanti esempi di sfruttamento del lavoro, non dobbiamo considerare gli imprenditori come nemici ma convincerli che in un nuovo modello di sviluppo anche loro potranno essere protagonisti assieme ai lavorator