Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *


È di questi giorni la notizia che il governo ha deciso di tagliare alla sanità 1,5 miliardi di euro rispetto a quanto stabilito ad agosto nel Patto per la salute, che prevedeva un incremento degli stanziamenti per questa voce di bilancio di circa due miliardi. Quindi ad una riduzione dei fondi stanziati dal governo centrale si sommerà l’annunciato taglio del bilancio delle regioni (all’incirca quattro miliardi). Come ai molti è noto, la voce più corposa del bilancio regionale è dedicata proprio al capitolo sanità.
Il tutto dovrebbe avvenire senza toccare i servizi erogati, cosa che ad una povera addetta ai lavori come me suona strano o quanto meno utopistico. In realtà questi tagli continueranno a gravare sui disservizi già presenti sul servizio sanitario e peggioreranno la performance di un apparato che già ora sente la stanchezza dei tagli lineari attuati in passato.

Mi limito a parlare della realtà regionale che conosco approfonditamente. Non sarà possibile garantire una riduzione o quantomeno un contenimento delle liste di attesa, già attualmente gestite in modo scellerato con l’acquisto di pacchetti di prestazioni da fornitori privati, quando i tempi di attesa eccedono quanto concordato nei LEA (Livelli essenziali di assistenza). Questo tipo di approccio trasferisce denari pubblici nel privato, tampona il problema in modo temporaneo e non strutturale e impoverisce di competenze il SSR, laddove non prevede di aumentare l’offerta professionale all’interno delle strutture pubbliche. Inoltre non è difficile immaginare che, in assenza di offerta pubblica, possa aumentare il costo dell’offerta privata.
Per quanto concerne il taglio lineare dei posti letto pianificato già dal governo Monti, non

sarà possibile proporre una rivalutazione dell’effettiva necessità di tali tagli, in una regione come la nostra che non è in piano di rientro e che ha una forte valenza attrattiva verso altre regioni. Ovvero, parlando un linguaggio più esplicito, la nostra regione negli anni scorsi ha posto grande attenzione al contenimento delle spese in ambito sanitario e ha un bilancio in attivo, non è in “debito” verso il governo centrale, quindi si presume che abbia già scremato lo scremabile. Inoltre la gestione del settore sanitario è da molti anni ispirata ai principi di evidenza scientifica e l’assistenza offerta è di alta qualità. Questo richiama persone che necessitano di cure mediche da altre regioni a standard assistenziali meno elevati. Ridurre i posti letto nella nostra realtà si tradurrà nel razionare la disponibilità di cure ospedaliere a coloro che ne hanno necessità.
In assenza di investimenti non sarà possibile attuare quel trasferimento di attività assistenziale dagli ospedali “classici” ai nuovi postulati “ospedali di comunità/case della salute” che già nel Patto per la salute presentato quest’estate apparivano come una vaga fantasia da contrapporre a tagli reali imminenti.
Lascia presagire male anche la neo Area Vasta Romagna, creata con l’intendimento di generare risparmio, che già in tarda primavera saliva agli onori delle cronache per le molteplici nomine di nuovi dirigenti, con interventi di vari esponenti della Regione dimissionaria che rassicuravano circa il non aggravio dei costi, in maniera peraltro assai poco convincente. Quello che è certo è che saranno tagliati molti posti letto nei piccoli ospedali sul territorio, che spesso servono aree sfavorite sul fronte dei trasporti (si consideri il territorio dell’alta Val Marecchia o il territorio collinare del faentino).
Non sarà possibile destinare fondi per realizzare un idoneo servizio di trasporti che raccordi le strutture periferiche alle strutture centrali e, come i più sanno, oltre un quarto dei residenti in Emilia Romagna è over 65 anni. Le donne di tale fascia di età spesso non hanno la patente, quindi si genereranno nuove solitudini e un peggioramento della qualità della vita dei degenti.
Sempre nel territorio dell’Area Vasta Romagna sarà difficile immaginare che vengano mantenute le convenzioni in essere con le Case di cura private che adesso sono titolari di servizi riabilitativi, servizi di cui non ha più disponibilità la rete pubblica per scelte pregresse. Lungi da me difendere la sanità privata a svantaggio di quella pubblica, ma a fronte della carenza di offerta del servizio riabilitativo credo che sia doveroso garantire un’opportunità di cura, fermo restando che ripubblicizzare l’offerta sarebbe prioritario.

Alessandra Govoni