Gentile direttore,
Lettera di una mamma.
La nostra esperienza sul territorio.
Noi siamo genitori. Come tutti i genitori mettiamo al primo posto il benessere dei nostri figli. Quando abbiamo iniziato il progetto “si può fare” abbiamo rimesso tutto in discussione a cominciare da noi stessi. Entrare in questo progetto ci ha richiesto molto, a tutti i livelli. Sacrificio economico e materiale ma, più di tutto, ci è stato richiesto un importante sforzo psicologico. Ci siamo dovuti spogliare di tutte le nostre certezze, del nostro orgoglio di genitori che pensavano di fare il massimo per il proprio figlio, abbiamo dovuto riconoscere, non senza dolore, che avevamo sbagliato tanto nel rapporto con i nostri ragazzi. Per questo abbiamo fatto ore ed ore di formazione, ad oggi sono ormai 3 anni che ci sottoponiamo con rigore scientifico alla formazione attraverso la facoltà di“pedagogia speciale” dell'università di Bologna.
Noi, però, siamo genitori. Questa condizione ci consente quello che, purtroppo, non è consentito quasi a nessun altro. Il nostro rapporto con il territorio, in particolare con le istituzioni e le cooperative che agiscono in questa città è difficile; veniamo avvertiti come un pericolo, come qualcuno che vuole sovvertire lo status quo, che mette in discussione la loro professionalità, che potrebbe finanche mettere a rischio il loro posto di lavoro con pretese di percorsi diversi che non siano quelli che sono già stati stabiliti da altri che non sono le famiglie.
A Faenza non esiste un “dopo di noi”, in passato è sempre stato affossato, e non esisterà in futuro senza un “durante noi”. Perché il futuro dei nostri figli quando non ci saremo più vogliamo tracciarlo adesso, mentre siamo ancora qui, e vogliamo affidarlo a persone che siano in grado di mettersi in discussione come abbiamo fatto noi, a persone che costruiscono la loro professionalità col pensiero al benessere dei nostri ragazzi, che per questo fine mettono da parte il loro orgoglio e si fanno contaminare dalla “passione” dei traguardi arditi da raggiungere.
Per fare questo occorre una cosa semplice che si chiama “umiltà”.
Occorre molta umiltà per concedersi il dubbio, per saper ascoltare, per riconoscere ai genitori il loro ruolo importantissimo di guide d'amore nel rapporto tra i loro figli e il mondo che li circonda, perché esso non sia loro estraneo o soltanto professionale.
Le istituzioni le cooperative ed anche le associazioni continuano a gestire l'esistente senza progetti innovativi, continuano a lavorare segnando ognuno il proprio territorio slegati gli uni dagli altri
pensando ognuno di non aver niente da imparare da nessun altro, disperdendo così risorse umane ed economiche sulla pelle viva dei nostri figli. Arriverà il giorno, volenti o nolenti, che i fatti supereranno le resistenze di oggi, e quello che si è voluto conservare con le unghie e con i denti svanirà per avvenuta autodistruzione.
Per i ragazzi del progetto “si può fare” è forse troppo tardi?
A vedere le reazioni che ha provocato sembrerebbe di si, però un seme è stato gettato per quelli che verranno dopo di noi. I genitori dei piccoli saranno più attrezzati di noi, sapranno intervenire per tempo, avranno più conoscenze e più forza per incidere sulle decisioni che vengono prese dall'alto per i loro figli. Potranno essere protagonisti nel costruire il loro futuro.
Qualunque cosa accadrà a questo piccolo gruppo di 9 ragazzi con le loro famiglie, noi sappiamo di essere, in questo territorio, dei precursori e col tempo questo ci verrà riconosciuto, se non lo faranno i contemporanei lo farà la storia di questa città.
Rita Menichelli
a nome dei genitori del progetto “si può fare”