Sono passati settanta anni dalla vittoria sul nazifascismo. A quel grande successo della libertà e della democrazia dette un contributo importante la Resistenza ideale, politica e armata presente nei Paesi europei interessati. La Resistenza italiana fece la propria parte per ottenere quella vittoria e per creare le condizioni favorevoli alla costruzione in Italia di una democrazia e una libertà non ingessate, non caratterizzate da forme esteriori, nella sostanza ispirate al principio “bisogna che tutto cambi perché tutto resti come prima”. Il ravennate allora fu in prima linea come impegno attivo. In proposito molto è già stato detto e scritto.
Lo sbocco in Italia fu il passaggio dalla monarchia alla repubblica e, soprattutto, l’adozione di una Carta Costituzionale tra le più avanzate in termini di qualità della democrazia (basata anche sull’equilibrio dei poteri), dei valori cui si ispirava e che affermava. Rileggere oggi gli articoli della nostra Costituzione provoca sentimenti contrastanti tra loro. Ci si esalta, si prova soddisfazione nel vedere scritte le risposte alle nostre più alte aspirazioni e, nello stesso tempo, si prova un profondo
sconforto constatando quanto oggi la realtà si discosti in negativo della lettera e dallo spirito della nostra Costituzione.
Nei primi decenni successivi alla fine della guerra, anche sull’onda di dimensioni almeno europea dello sviluppo economico determinato soprattutto dalla ricostruzione postbellica e del compromesso tra capitalismo e mondo del lavoro, in Italia le grandi lotte per il lavoro, la giustizia sociale e la democrazia, consentirono di ottenere importanti conquiste che mettevano in pratica parte delle “promesse” della Costituzione. Per tutta l’Europa occidentale quella fu la fase dei “trent’anni gloriosi” (si veda anche Piketty). Nella seconda parte degli anni settanta ebbe inizio una fase di arretramento su tutti i piani, accentuata dopo il crollo, meritato, del cosiddetto socialismo reale, e ancora ulteriormente aggravata dall’esplodere di un processo di globalizzazione, possibile, inevitabile, necessario, ma caratterizzato da effetti profondamente negativi sul piano dell’eguaglianza, dei diritti sociali, della democrazia, perché guidato non dalle istituzioni statali e sovranazionali rappresentative formalmente dell’interesse pubblico, ma bensì da quello che è stato chiamato “finanzcapitalismo”.
Oggi qui siamo e, purtroppo, non si vede in Italia e in Europa una volontà, e ancor meno una strategia, per capovolgere questo stato di cose, riportando la politica e le istituzioni rappresentative nazionali e sovranazionali, opportunamente rafforzate, qualificate e democratizzate, al governo delle scelte che riguardano gli interessi generali, l’eguaglianza, i diritti sociali e civili, la tutela dei beni comuni, la tutela e la valorizzazione dell’ambiente.
Perdurando questa situazione, perché stupirsi se i cittadini, soprattutto se giovani, si allontanano o non si avvicinano alla democrazia e alla politica. Perché dovrebbero comportarsi diversamente, quando la democrazia non è tale e non li sostiene e quando la politica non ha poteri per fare il bene e sembra non volerli? Essendo tale oggi il ruolo della politica, ecco che si spiega perché al suo interno la lotta per il governo della cosa pubblica non abbia come base e motivazioni grandi valori e disegni tra loro opposti, perché i programmi delle maggiori forze politiche siano sempre più simili. Ecco quindi emergere a destra e a “sinistra” capi populisti, che propongono soluzioni semplificate a problemi importanti che con esse mai potranno essere risolti, rivolgendosi alla “pancia della gente”, ormai stanca della democrazia e della politica che conosce, e disponibile a chiedere e seguire “l’uomo solo al comando.” E così vengono emarginate le persone di grande valore ed emergono i “piccoli uomini” e si aprono spazi sempre più grandi per il diffondersi della corruzione.
I segni di questo stato delle cose sono presenti anche dalle nostre parti. Alle ultime elezioni in Emilia-Romagna il 63% degli aventi diritto non si è recato alle urne. Nella nostra provincia il 58%. La vita politica di base nei partiti non esiste più.
Che fare dunque?
Bisogna creare in Italia e in Europa quello che più sopra ho affermato e che ancora non si vede.
A questo fine, senza sottovalutare l’impegno dentro i partiti per coloro intendono agire anche su quel piano, è indispensabile aggregare associazioni, movimenti, comitati, personalità, per dare vita a quella che Salvatore Settis chiama “Azione popolare-cittadini per il bene comune”. Questa “non va intesa come la soluzione di tutti i problemi, ma come una fase intermedia necessaria perché i cittadini facciano sentire la propria voce, perché esercitino una forte influenza sulle organizzazioni politiche e le istituzioni di governo, spingendole a cambiare decisamente rotta. Per ricreare la cultura che muove le norme, ripristina la legalità, si fonda sulla sovranità, fa perno sull’interesse collettivo e sulla progettazione del futuro, l’idea di bene comune e quella di azione popolare sono due facce della stessa medaglia.”
Al centro ci deve essere il ripensamento della proprietà pubblica e dei beni comuni, che porta anche al ripensamento della natura stessa dello Stato. Perciò occorre articolarne i principi secondo un manifesto “che non rimandi ogni azione ad un futuro indeterminato, ma si presti a stimolare una iniziativa politica immediata ... …questo manifesto è già pronto. Si chiama Costituzione.” Senza dimenticare che oggi, l’equilibrio dei poteri su cui essa è incardinata, è sotto attacco da parte del Governo.
Questo noi dobbiamo oggi ai partigiani, a tutti i resistenti contro il nazifascismo, ma anche a noi stessi e a coloro che verranno dopo di noi. Ognuno faccia la propria parte, singolarmente e in associazione con altri. Anche le Istituzioni.
Il ravennate sia ancora in prima linea. Una curiosità: Mussolini è ancora cittadino onorario di Ravenna?
Rino Gennari