Siamo lavoratrici e lavoratori dell’Area della Ricerca del CNR di Bologna(1). Una devastante alluvione ha colpito recentemente la nostra regione ed alcune/i di noi hanno partecipato alle iniziative spontanee di intervento in aiuto delle persone colpite. Questa esperienza ci ha convinte/i a riunirci in assemblea per discutere degli innumerevoli segnali della crisi ecologica e climatica in atto, e del ruolo che possiamo avere in questi tempi turbolenti.
L’alluvione ha mostrato con grande forza cosa significa un disastro ambientale in termini di impatto sulle vite umane e quanto il nostro territorio, tra le cosiddette locomotive dell’economia globale, fosse ancora impreparato ad un evento di tale portata. La concretezza del fango che ha sommerso ogni cosa si scontra con l’ipocrisia di coloro che parlano di “conversione ecologica” e di “green economy”, mentre nulla cambia.
Sentiamo, per cominciare, la voglia di puntualizzare la nostra lettura scientifica di quanto sta avvenendo(2), ma non solo. Da decenni la comunità scientifica lancia appelli(3) ai governi ed alle istituzioni per fermare l’emissione di gas climalteranti, la distruzione della biosfera e il consumo di suolo, con scarsi risultati. Nel frattempo, però, il messaggio è stato raccolto da chi ha voluto ascoltarlo: è grazie ai movimenti per il clima, soprattutto dei più giovani, se ora in molti hanno preso coscienza del problema ed esiste un dibattito pubblico sulla questione.
Per questo vogliamo stare con chi vuole mettere in discussione lo sfruttamento senza fine della Terra e delle risorse naturali e lavorare per costruire davvero un futuro sostenibile a partire da oggi. Il riscaldamento globale può e deve essere stabilizzato entro pochi anni. L’obiettivo di 1.5 °C imposto dagli accordi di Parigi(4) è oggi ancora possibile, ma può essere raggiunto solo con una risposta immediata e radicale, ed un ripensamento strutturale e profondo dell’economia e delle nostre società(5)(6).
Questo appello è rivolto a coloro che credono che un mondo diverso sia possibile. È un appello ad unirsi e agire per il cambiamento, poiché la finestra delle opportunità è aperta ora, negli anni 20 e 30 del XXI secolo. È un appello al mondo della ricerca a sbilanciarsi, a parlare con le persone e non solo con i “policymakers” e gli “stakeholders”, ad ascoltare la paura diffusa (e fondata) che il clima e la biosfera stiano andando verso il collasso, ed agire.
Questa è anche una presa di posizione ed una scelta(7). Siamo con le studentesse e gli studenti che occupano le Università contro il fossile, con le lavoratrici ed i lavoratori che danno forma dal basso a produzioni alternative ed ecologiche, siamo con i movimenti per la giustizia climatica e quelli che si battono contro nuove estrazioni, infrastrutture fossili e grandi opere calate dall’alto, per una diversa gestione del territorio, per proteggere le zone verdi dalla cementificazione, a cominciare dalle nostre città.
È il momento di legarsi a questa causa e di metterci la faccia: abbiamo bisogno di tutte le voci possibili.
Se vuoi sostenere l’appello, firma qui! https://forms.office.com/e/4tmcnd9GB
Note al testo:
- Alcune/i di noi si occupano in prima persona dello studio del cambiamento climatico di origine antropica, dovuto alle emissioni di gas serra, e dei loro impatti sull’uomo e l’ambiente. Altre/i, di aspetti formativi e informativi sui temi delle crisi ecologiche, ambientali e di salute connesse alle attività umane che abusano delle risorse naturali. Ci sono anche ricercatrici e ricercatori in astrofisica, che riconoscono l’incredibile unicità del nostro pianeta Terra. Ci sono anche altri lavoratori e lavoratrici, tecnologhe e tecnologi dell’area di ricerca. L’appello parte da Bologna per la vicinanza alle zone alluvionate, ma è stato diffuso e condiviso da colleghe/i di altre sedi in tutto il paese.
- Sull’alluvione. Le piogge, concentrate nei due eventi del 2-3 e del 16-17 maggio, hanno portato una quantità record di acqua (oltre 500 mm in alcune stazioni) su una vasta zona, che va dalla costa romagnola fino all’Appennino modenese. Oltre alla quantità totale, è la concentrazione di due eventi estremi molto simili in due finestre temporali ristrette, ad una breve distanza temporale l’una dall’altra, ad essere eccezionale. L’evento non accade in un momento storico casuale. Esattamente un anno fa, la nostra regione, con buona parte del Nord Italia, era attanagliata da una grave siccità e da temperature estreme. Tutto questo accadeva nell’anno più caldo di sempre in Europa, in un clima caratterizzato da una temperatura media globale di 1.1°C maggiore rispetto alla media del periodo 1850-1900. Il 2023 invece è ben avviato a battere il record di anno più caldo di sempre sul pianeta, mentre nei dieci giorni tra il 3 e il 13 luglio la temperatura media globale ha sfondato la soglia dei 17°C: non era mai successo prima.
Principale causa riconosciuta del riscaldamento globale è l’aumento della concentrazione atmosferica di CO2, che ha raggiunto ormai le 420 parti per milione (ppm), registrando così un aumento di circa il 50% rispetto ai livelli pre-industriali (280 ppm) – ovvero prima dell’uso massiccio di fonti fossili – e che continua tuttora a crescere. Negli scenari senza una riduzione immediata delle emissioni di gas serra (principalmente CO2 e metano), i modelli climatici prevedono, oltre all’aumento delle temperature, una tendenza alla siccità per l’area mediterranea. Allo stesso tempo, l’intensità degli eventi di precipitazione estrema è destinata ad aumentare ovunque in un clima più caldo, come effetto dell’aumentata capacità dell’atmosfera di trattenere umidità.
- Si veda, ad esempio qui, l’appello di diversi esperte/i del cambiamento climatico nel 2019: https://normalenews.sns.it/no-alle-false-informazioni-sul-clima-lettera-di-roberto-buizza-alle-piu-alte-cariche-istituzionali
- Ci riferiamo qui all’accordo finale della COP21 di Parigi del 2015, dove 195 paesi membri del UNFCCC (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si riunisce annualmente nelle COP) si sono impegnati a mantenere l’aumento della temperatura globale “ben al di sotto dei 2 °C” e a fare il possibile per restare entro 1.5 °C (https://www.un.org/en/climatechange/paris-agreement). La firma dell’accordo ha rappresentato un importante riconoscimento dell’urgenza della crisi climatica, ma non è stata seguita dall’implementazione di vincoli effettivi. Di conseguenza, le azioni per la mitigazione sono state di fatto lasciate alla buona volontà dei vari governi e le emissioni globali hanno continuato a crescere.
La gravità degli impatti del cambiamento climatico è proporzionale al riscaldamento medio globale, e per questo è meglio fermarsi il prima possibile. Ci sono inoltre alcune soglie di riscaldamento che possono portare a cambiamenti improvvisi ed irreversibili in certe componenti del sistema climatico (i cosiddetti “Tipping points”). Andando oltre 1.5 °C il rischio di superare tali soglie aumenta considerevolmente: per questo la comunità scientifica ha più volte indicato proprio 1.5 °C come limite da non superare. A questo proposito il recente articolo apparso su Science è molto chiaro: https://www.science.org/doi/10.1126/science.abn7950.
- Dal 2015 ad oggi poco o nulla è stato fatto, e le emissioni globali hanno continuato a crescere (vedi: https://climateactiontracker.org/global/cat-thermometer/). Ogni anno una enorme quantità di fondi pubblici (oltre 1000 miliardi nel solo 2022, https://www.iea.org/commentaries/the-global-energy-crisis-pushed-fossil-fuel-consumption-subsidies-to-an-all-time-high-in-2022; almeno 3 miliardi solo in Italia) vengono ancora investiti direttamente nelle fonti fossili; senza considerare poi tutti gli aiuti indiretti che gli stati garantiscono all’industria fossile. Ogni nuova infrastruttura fossile costruita oggi (strade, pozzi, oleodotti, centrali energetiche) ci porta oltre il grado e mezzo di riscaldamento previsto, e più vicini all’inferno climatico. In altre parole, perché costruire tali opere se nel budget residuo non c’è posto per le emissioni che genereranno?
La quantità di gas serra che possono ancora essere immessi in atmosfera senza superare una certa soglia di riscaldamento globale viene chiamata “budget residuo di carbonio”. Il budget residuo di carbonio per restare sotto la soglia di 1.5 °C era stimato a inizio 2020 tra le 400 e le 500 GtCO2 (https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg1/downloads/report/IPCC_AR6_WGI_TS.pdf, Tabella TS.3, p. 98). Tale budget è ora ridotto a circa 260-360 GtCO2, corrispondente a 6-9 anni proseguendo all’attuale livello di emissioni (circa 40 GtCO2 all’anno). Ridurre da subito le emissioni non necessarie (ad esempio riformando il sistema dei trasporti e dirottando parte della produzione sull’efficientamento energetico) ha anche l’effetto immediato di darci più tempo per arrivare ad emissioni zero.
- Vogliamo anche sottolineare qui il concetto di giustizia climatica, secondo il quale le responsabilità storiche e attuali, così come la gravità delle conseguenze, non sono equamente distribuite nel consesso umano (come riconosciuto anche dall’IPCC). L’umanità, tutta intera e uniforme, è un concetto astratto; se si trascura l’enorme differenza che separa i più ricchi – privilegiati e meglio protetti – dai poveri – sottomessi e con un futuro gramo – si produce almeno un errore: quello di concentrare l’attenzione sull’aumento demografico indistinto come fattore prevalente di minaccia, considerando al contempo la popolazione tutta ugualmente esposta a scarsità di cibo, siccità, incendi e alluvioni.
- Scienza post-normale. Non è una presa di posizione priva di analisi: si ispira allo sviluppo della scienza post-normale su cui il CNR ha prodotto un lavoro collettivo: https://www.cnr.it/it/scienziati-in-affanno. Per anni l’interazione tra scienza e politica è stata rappresentata come una relazione di tipo unidirezionale, nella quale gli scienziati fornirebbero ai politici una conoscenza neutrale, obiettiva e affidabile a supporto del processo decisionale. La complessità delle sfide attuali, in cui “i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti”, ha reso questa narrazione inadeguata sul piano della conoscenza e della sua condivisione pubblica.
Firme in sostegno all’appello