Il nuovo portavoce dell'Alleanza contro la povertà, Antonio Russo, riflette sui rischi di impoverimento nel Paese e sugli strumenti per fronteggiarli
Quel che è certo è che dal primo settembre oltre 600mila persone si ritroveranno senza reddito di cittadinanza. Qual che non si sa e che cosa succederà. Il Documento del governo su come ipotizzano di sostituire il Rdc lascia più incertezze che sicurezze. Serve una strategia multidimensionale e serve una infrastrutturazione sociale. Oltre che politiche attive del lavoro vere. A ragionare con noi Antonio Russo, neo portavoce dell’Alleanza contro la povertà
Sei stato appena eletto portavoce dell'Alleanza contro la povertà, un impegno importante e gravoso. Quale responsabilità ti senti sulle spalle?
Una responsabilità molto grande. La mia elezione arriva dopo dieci anni di impegno dell'Alleanza contro la povertà e do due soli dati per capire come è cambiato lo scenario e il grado di responsabilità. Quando l’Alleanza è nata i poveri assoluti erano 2.028.000, oggi sono sei milioni. Da allora è triplicata la povertà ed è aumentata la marginalità sociale. Certo, prima il Covid e ora la guerra nel cuore dell’Europa, hanno amplificato e aggravato una condizione del nostro Paese, quella di “produrre” fragilità. Da qui la necessità di interventi strutturali, oltre che urgenti. Non possiamo adattarci all’idea che la povertà sia un fattore strutturale. Per questo sentiamo, con le organizzazioni che compongono l’Alleanza, la responsabilità di un nuovo inizio.
Allora, insieme alla Grecia, eravamo gli unici in Europa a non avere una misura diretta di contrasto alla povertà. È grazie all’impegno delle organizzazioni della società organizzata, dei sindacati, se arrivammo al Rei. Da allora a oggi, sono cambiati governi e maggioranze e la misura è cambiata per ben cinque volte senza mai raggiungere un approdo definitivo. Insomma il Paese non riesce a dotarsi di un sistema di politiche strutturali che attraverso un disegno preciso possa assicurare nel tempo sostegno e accompagnamento al superamento della condizione di povertà. Certo, il Reddito di cittadinanza è perfettibile ma è innegabile che, insieme al reddito di emergenza, erogato nel periodo del Covid, ha impedito che un ulteriore milione di persone scivolassero in povertà. Sappiamo che il Rdc potrebbe essere sostituito da una nuova misura (la Mia). Ne discuteremo quando ci sarà un documento ufficiale del governo. Oggi possiamo semplicemente ripetere che la multidimensionalità delle forme di fragilità sociale abbisogna di politiche che si sviluppino universalmente in continuità e attraverso strumenti certi di contrasto.
Facciamo un passo indietro. Perché la società italiana impoverisce?
Il Paese si impoverisce per una serie di ragioni spesso correlate. In primis la mancanza di lavoro, di lavoro di qualità. Quindi, il lavoro povero, sottopagato, nero o grigio non fa altro che creare nuova povertà. Il Reddito di cittadinanza, pur considerando le critiche che gli abbiamo mosso, prevedeva la possibilità che alcune forme di lavoro potessero essere coniugate con la misura stessa. Lo ripeto, c'è un problema di qualità del lavoro che necessita di essere creato quando non c’è e, regolamentato quando non è regolare. La seconda ragione dell’impoverimento del Paese è la crisi economica aggravatasi a seguito della pandemia e della guerra. Il sistema Paese ha bisogno di un nuovo impulso affinché si creino condizioni diffuse di sviluppo. Terza ragione, la mancanza di un sistema di infrastrutturazione sociale capace di svilupparsi diffusamente nel Paese e non a macchia di leopardo. Purtroppo oggi la povertà ha cambiato volto: non si è poveri solo perché non si ha lavoro, si è poveri anche perché non si fa parte di reti di protezione, soprattutto quelle territoriali, che consentano una presa in carico nei momenti di difficoltà della vita. Nell’Italia diseguale, dentro la quale convivono sistemi sociosanitari differenti tra regioni diverse, è ancora fortemente disatteso l’Articolo 3 della Costituzione. Dovremo impegnarci a realizzarlo integralmente visto che, mentre è relativamente facile cadere in povertà, è difficilissimo uscirne.
Il governo ha deciso di eliminare il Reddito di cittadinanza e di sostituirlo con un alto strumento di cui si sa abbastanza poco.
Come anticipavo prima, la scorsa settimana è circolato un documento che potrebbe indicare una direzione di riforma del Rdc. L’Allenza contro la Povertà esprimerà un giudizio compiuto solo a fronte di atti ufficiali. Se ciò che abbiamo letto risponda a una bozza di riforma, non del tutto è chiaro. Si parla di una misura di inclusione attiva che dividerebbe in due il bacino dei percettori di sostegno economico, da un lato i non occupabili e dall’altro i cosiddetti occupabili. Per accedere alla misura si ridurrebbe l’Isee. La platea dei potenziali percettori ne risulterebbe diminuita. Gli occupabili dovrebbero essere poco più di 680mila, di cui circa 440.000 con un titolo di studio inferiore alla terza media e senza esperienze di lavoro da oltre tre anni. Se questo fosse l’impianto della riforma, alcune domande vengono spontanee: come i potenziali occupabili faranno a trovare lavoro? Chi si farà carico in un processo di inclusione socio-lavorativa ? Insomma, dal 1° settembre gli occupabili non riceveranno più il Rdc, cosa succederà al momento non è chiaro. Per contribuire a fare chiarezza e per offrire un contributo fattivo dell’Alleanza, abbiamo chiesto un incontro al ministro del lavoro e delle politiche sociali. Siamo in attesa di essere convocati. Quello che noi pensiamo indispensabile è un intervento in due direzioni: da un lato un piano straordinario sulle politiche attive per il lavoro; dall’altro una strategia di presa in carico del territorio. Ovviamente sono indispensabile risorse adeguate nell’una e nell’altra direzione. Serviranno risorse, investimenti aggiuntivi rispetto a quelli stanziati nelle scorse annualità. Servirà altresì una visione complessiva di riforma che tenga conto di un sistema coordinato di politiche che aiuti chi vive una situazione di disagio sociale a uscire dall’isolamento e dalla povertà. Se l’obiettivo è la riduzione delle diseguaglianze, potrebbe essere un errore strategico affrontare questa nuova fase con l’assillo di risparmiare