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Da Traversara, dove le case “che dovranno essere abbattute non potranno essere ricostruite” alle aree del Faentino più volte colpite, ai paesi collinari dove ancora incombono le frane

Il fango a Marzeno: il torrente ha trascinato con sé non solo l’argine, ma addirittura frammenti di muri e pavimentazioni (Corelli) Il a Marzeno: il torrente ha trascinato con sé non solo l’argine, ma addirittura frammenti di muri e pavimentazioni (Corelli)

Ravenna, 27 ottobre 2024 – È il capitolo relativo alle delocalizzazioni quello più spinoso di tutto il dossier sulla ricostruzione,che prenderà ufficialmente il via non appena la struttura commissariale avrà reso pubblico il suo Piano speciale, appuntamento in vista del quale è previsto un confronto a tu per tu con la Regione Emilia Romagna domani, 28 ottobre, a Roma.

Nel corso di alcuni recenti incontri pubblici la presidente regionale Irene Priolo ha tracciato quelle che saranno le coordinate in fatto di delocalizzazioni, a partire da alcuni punti fermi, in primis quello secondo cui “le case che dovranno essere abbattute non potranno essere ricostruite”.

È l’identikit che corrisponde all’intera porzione orientale di Traversara, e cioè alle abitazioni che sorgono ai lati di via Torri (una delle due principali direttrici del borgo), e a quelle alle loro spalle in via Traversa Nuova, lasciate semidistrutte dalle acque fuoriuscite il 19 settembre dalla rotta del Lamone.

Traversara

 

Traversara è il luogo che più apparirà irriconoscibile al termine della ricostruzione, ma azioni più chirurgiche è possibile vedano la luce anche altrove, ad esempio in quelle frazioni più martoriate proprio perché a pochi passi dal corso di un fiume, come la vicina Boncellino, più volte allagata dal Lamone. Un altro elemento di quello che si potrebbe definire ‘il decalogo delle delocalizzazioni’ è relativo a quegli edifici ormai troppo a rischio – ha spiegato la presidente Priolo – in quanto ritrovatisi a picco su quello che è diventato il nuovo argine di un fiume, risagomato da una piena nel momento in cui ha scavato le sponde allargando l’alveo. Situazioni che la terza alluvione ha presentato in più punti, in particolare nell’Appennino, come nella frazione brisighellese di Marzeno e in quella di Zattaglia, al confine fra i comuni di Brisighella e Casola Valsenio. Qui il Sintria allargò i suoi argini fino ad abbattere i muri dei seminterrati di alcuni edifici prossimi alle sponde, trasformandoli in qualcosa di simile a palafitte.

 

In alto nelle campagne fra Casale e la via Emilia una delle aree considerate allagabili
In alto nelle campagne fra Casale e la via Emilia una delle aree considerate allagabili

Marzeno

Marzeno, in via Moronico, l’omonimo torrente diede vita a scenari analoghi, trascinando con sé non solo l’argine, ma addirittura frammenti di muri e tonnellate di pavimentazioni, scoprendo le porzioni ipogee degli edifici prima sepolte dagli strati di terra. Un ulteriore capitolo riguarda quegli edifici che dovranno essere sgombrati perché sorgono in luoghi destinati ad essere inglobati in future aree allagabili o in casse d’espansione. Mentre l’area allagabile che sorgerà a Faenza a servizio del torrente Marzeno dovrebbe occupare quelli che ora sono campi, quella su cui si sta ragionando per il Senio, nelle campagne fra Casale e la via Emilia, potrebbe coincidere con alcune abitazioni: l’opera è tuttavia al livello di ipotesi, non esistono ancora certezze.

Case distrutte e edifici crollati a Lamone
Case distrutte e edifici crollati a Lamone

Casola Valsenio

Il tema delle delocalizzazioni è ancora più complesso quando si parla di frane: gli edifici minacciati da uno smottamento che ha visto coinvolta la roccia dovrebbero essere quelli più a rischio di essere sgomberati, mentre nei casi in cui una frana abbia smosso semplicemente la terra il destino delle abitazioni nel fatidico raggio di cinque o venti metri non sembra scritto in maniera altrettanto netta. Casola Valsenio, con le sue 5500 frane, è, insieme a Brisighella (6200 frane), l’epicentro del dissesto in provincia di Ravenna: in alcuni punti dell’Appennino la vita è come rimasta sospesa al maggio 2023, al punto che ci sono imprese le quali, per l’impossibilità di riportare la produzione nelle loro vecchie sedi, non hanno mai visto la propria attività ripartire. A stendere gli elenchi degli edifici che verranno delocalizzati saranno i Comuni: il tema è stato al centro dell’incontro di alcuni giorni fa a Ravenna tra commissari e cittadini, durante i quali è stato specificato che chi non potrà ricostruire la propria casa riceverà un rimborso di 1800 euro al metro quadro per l’acquisto di un altro immobile, o di un terreno su cui costruirlo.

 
 

De Pascale: vicini a chi sceglie di delocalizzare

Le sfumature della delocalizzazione sono però moltissime: il presidente della Provincia di Ravenna Michele de Pascale ha già fatto sapere di ritenere congruo che le istituzioni siano vicine finanziariamente anche a coloro che delocalizzeranno per loro libera scelta. E’ il caso ad esempio di quei residenti di Riolo Terme che già nel 2023 chiesero per primi di essere delocalizzati dalla loro casa di via Fornace, allagata a ripetizione: oggi sono purtroppo un sentore comune quelle che appena un anno fa parevano grida nel silenzio.